Nel 1921, nei “Quaderni della Voce” diretti da Giuseppe Prezzolini, Pietro Calamandrei pubblicò un pamphlet titolato “Troppi avvocati”. Il volume si presentava come uno scritto divulgativo che – complice la penna pungente, lucida e rigorosa di Calamandrei – offriva una disamina brillante e smagata della professione forense. È trascorso un secolo e troviamo molte di quelle pagine per nulla illanguidite dal tempo. Ci sorprende l’attualità vigorosa di certe analisi che toccano i temi “di fondo” (verrebbe da dire, “di sempre”) dell’avvocatura e che rimandano ad una idea molto precisa dell’attività forense: la professione come impegno ad essere pienamente ed attivamente cittadini. Scoprire, esattamente cento anni dopo, la freschezza di quei pensieri significa anche fare i conti con la necessaria “storicità” di quella visione, che rimane un’opzione tra altre e non sempre la preferita tra di noi. Come tutte le idee nel loro farsi storico, essa si confronta, combatte, si arricchisce e si precisa, anche nel contrasto, ma così cresce e, pur se a volte sconfitta, riprende o può riprendere la sua strada. Alimentata da quanto richiama Calamandrei, la dimensione civica del nostro impegno è il luogo giusto di un’esplorazione troppo spesso rifiutata. Sulla misura di questo orizzonte, se si riesce a guardarlo limpidamente, è possibile rimettere al loro posto le ambizioni, le contese, i rancori, la carriera, le invidie, il denaro e tutto ciò che, lasciato a se stesso, senza giustificazioni, riduce la professione a “questione di bottega”. Abbiamo la fortuna, anche grazie alla vita associativa, di tenere fisso lo sguardo su questo orizzonte. La pausa feriale ci consegna un rallentamento significativo delle attività ordinarie che aiuta la riflessività. Di seguito viene proposta una breve rassegna di alcuni stralci di “Troppi avvocati” (tratti da P. CALAMANDREI, Opere giuridiche, vol. II, 1966, Morano Editore), in verità mai troppi se realmente avvocati “dentro”.
E.G.
“È necessario riaffermare energicamente un principio, fondamentale per il nostro argomento: che lo Stato conserva e disciplina gli avvocati, perché essi esercitano una funzione di carattere pubblico.
L’esistenza dei professionisti legali non si giustifica più se non quando si veda in essi dei collaboratori, anziché dei mistificatori, del giudice, ufficio dei quali non tanto è quello di battersi per il cliente quanto quello di battersi per il diritto. Che la funzione degli avvocati sia una funzione pubblica, è oggi, del resto, concordemente ammesso dagli studiosi (cfr. per ultimo: ZANOBINI, L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, (Milano, 1920), n. 56); ma di questa utilità pubblica della loro funzione, non credo che sia diffusa la coscienza tra i profani. Eppure questa coscienza non dovrebbe mancare, quando si volesse serenamente valutare quali preziosi benefici per il buon funzionamento della giustizia dello Stato può ritrarre da un ordine di professionisti legali conscio dei propri doveri … L’intervento dei professionisti legali serve appunto a liberare il giudice da una lotta contro la ignoranza e contro la disonestà, che gli toglierebbe ogni serenità ed ogni agilità di giudizio: poiché la presenza del legale, che rappresenta o assiste la parte, è garanzia di scienza e garanzia di probità … Che sia garanzia di scienza, tutti intendono: nella sempre crescente complicazione della vita giuridica moderna, nei rigori dei formalismi procedurali che sembrano misteriosi tranelli ai profani … Il professionista legale è un prezioso collaboratore del giudice, perché lavora in vece sua a raccogliere i materiali di lite, a tradurre in linguaggio tecnico frammentarie e slegate affermazioni della parte, a trar fuori da queste l’ossatura del caso giuridico e a presentarlo al giudice in forma chiara e precisa e nei modi processualmente corretti; onde, in grazia di questo professionista paziente, che nel raccoglimento del suo studio sgrossa, interpreta, sceglie e riordina gli informi elementi fornitigli dal cliente, il giudice è messo in condizione di vedere a colpo, senza perder tempo, il punto vitale della controversia che è chiamato a decidere … Per le ragioni suaccennate la funzione dell’avvocato ha, dunque, carattere eminentemente pubblico. L’avvocato appare così come un elemento integrante dell’ordinamento giudiziario, come un organo intermedio, posto tra il giudice e la parte, nel quale l’interesse privato ad avere una sentenza favorevole, e l’interesse pubblico ad avere una sentenza giusta si incontrano e conciliano. La sua funzione è perciò necessaria allo Stato, come quella del giudice, in quanto anche l’avvocato alla pari del giudice agisce come “servitore del diritto” (pp. 68-70).
“Specialmente in questi ultimi tempi, nella febbrile crisi di rinnovamento che il mondo traversa, le proteste contro la parassitaria improduttività delle professioni legali son diventate un luogo comune: soprattutto in Italia, dove da tutte le parti concordemente si addita nell’ “avvocatismo” l’ostacolo più formidabile che, insieme colla burocrazia, si oppone alla nostra rapida rinascita nazionale … Per essi dire avvocatura vuol dire affarismo, parlamentarismo, intrigo; per essi avvocatura è sinonimo di ciarlataneria, di retorica senza sincerità, di verbosità senza fatti, di apparenza senza sostanza, di astuzia senza giustizia” (pp. 72-73).
“Si rifletta, infatti, che la sentenza giusta si può considerare come la resultante di tre forze che agiscono in tre direzioni diverse e con diseguale intensità, cioè di tre intelligenze che esaminano uno stesso problema da tre differenti punti di vista e con diverso interesse: di fronte all’opera del giudice, che in posizione centrale guarda la lite nella sua interezza e con spirito che, per essere disinteressato, è imparziale ed equanime, ma anche, spesso, superficiale e svogliato, efficacemente si aggiunge l’opera dei due avvocati competitori, ciascuno dei quali, se può difettare di obiettiva serenità per la unilateralità dell’interesse che lo muove e per la sua tendenza a porre in luce soltanto gli aspetti della questione che giovano al suo cliente, è tuttavia in grado, appunto per la passione con cui si mette al lavoro, di compiere su alcuni elementi della controversia un’indagine assai più profonda di quella che da sé potrebbe compiere il giudice. Dall’incontro di queste tre forze nasce la verità … Il carattere pubblico della funzione esercitata dai legali non è in contrasto colla loro condizione economica di privati professionisti; l’avvocatura, quando è, come da noi e come in tutti gli Stati del mondo eccettuata la Russia, esercitata in forma di libera professione, non è che uno dei molteplici esempi di quell’interessante fenomeno che la scienza giuridica studia sotto il nome di esercizio privato di pubbliche funzioni” (pp. 80-81).
“Oggi gli avvocati che studiano a fondo le cause a loro affidate sono una minoranza sempre più esigua. Riprendendo in mano le memorie forensi dei nostri predecessori di cinquanta e sessanta anni fa, restiamo stupiti non solo della profonda dottrina che vi è profusa a piene mani e della bella cura con cui essa è ornatamente esposta, ma sopra tutto della serena e onesta diligenza con cui la questione appare sviscerata in tutti gli aspetti suoi, della coscienziosa, quasi amorosa, attenzione con la quale vengono considerate le singolarità del caso giuridico: si sente, insomma, attraverso a quelle memorie, l’avvocato che difendeva le cause non solo per amor di lucro ma anche per amor dell’arte, che si appassionava alla sua professione anche dal lato scientifico o estetico, che s’indugiava pazientemente a studiare i vecchi testi per il gusto di arricchire di un aforisma di più la sua dissertazione fiorita … Più volte mi è avvenuto, parlando con magistrati di sicura scienza, di udirli deplorare il progressivo abbassamento di preparazione giuridica che diventa sempre più impressionante nei giovani avvocati. Né si dica che ormai le discipline giuridiche si sono talmente moltiplicate ed allargate che sarebbe troppo pretendere da un giovane agli inizi della professione la padronanza piena di tutto il diritto positivo nei suoi complicatissimi rami: certo, i nostri predecessori trovavano più facile di noi la via per farsi una buona cultura giuridica, quando il diritto romano costituiva ancora la maggior ricchezza nel patrimonio professionale di un giurista; ma ciò che oggi manca ai giovani non è tanto la conoscenza specializzata di singoli rami del diritto, che nessuno può esiger da loro, quanto la attitudine a colmare con metodo le inevitabili lacune della loro cultura, e la voglia di faticare per colmarle” (pp. 102-104).