Il decreto legge n. 34 del 19.05.2020 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché’ di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
(20G00052), convertito con modificazioni dalla l. n. 77 del 17.07.2020 e noto come cd. decreto rilancio, all’art. 119, c. 3, I periodo prevede che: “Ai fini dell’accesso alla detrazione, gli interventi di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo devono rispettare i requisiti minimi previsti dai decreti di cui al comma 3-ter dell’articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90”. Analoga disposizione si rinviene nell’art. 13 lett. a) e, con precipuo riferimento alle parti comuni degli edifici plurifamiliari, l’art. 13-ter statuisce: “Al fine di semplificare la presentazione dei titoli abilitativi relativi agli interventi sulle parti comuni che beneficiano degli incentivi disciplinati dal presente articolo, le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili plurifamiliari, di cui all’articolo 9-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e i relativi accertamenti dello sportello unico per l’edilizia sono riferiti esclusivamente alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi”.
Dalla normativa surriferita sembra dedursi che, per usufruire del cd. superbonus 110%, l’immobile debba rispettare i requisiti dettati dal d.l. n. 63/2013 e, dall’altro lato, il professionista debba rilasciare un’asseverazione sullo stato legittimo dell’immobile.
Per quanto concerne il secondo aspetto, il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico (MISE) del 06.08.2020, noto come decreto asseverazioni (G.U. 05.10.2020 n. 246), contiene le specifiche tecniche necessarie per predisporre le asseverazioni de quibus. In questa sede preme solo sottolineare che, benchè l’art. 13-ter si riferisca solo alle parti comuni degli edifici plurifamiliari, il rinvio al nuovo art. 9 bis del d.P.R. n. 380/2001 sembra avere portata generale e, quindi, dovrebbe applicarsi a prescindere dalla tipologia dell’alloggio di riferimento, come vedremo meglio infra. Analogamente, il d.m. 06.08.2020, noto come decreto requisiti (G.U. 05.10.2020 N. 246), all’art. 8 stabilisce che: “2. Le asseverazioni di cui al comma 1, nei casi indicati all’Allegato A, possono essere sostituite da un’analoga dichiarazione resa dal direttore lavori nell’ambito della dichiarazione sulla conformita’ al progetto delle opere realizzate, obbligatoria ai sensi dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modifiche e integrazioni”.
Tale ultima disposizione, si riaggancia al primo requisito previsto ex lege, ovvero lo stato legittimo dell’immobile.
Sul punto, come visto supra, l’art. 14, c. 3, I periodo del d.l. n. 63/2013, convertito in l. n. 90/2013, prevede che: “Con uno o piu’ decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definiti i requisiti tecnici che devono soddisfare gli interventi che beneficiano delle agevolazioni di cui al presente articolo, ivi compresi i massimali di costo specifici per singola tipologia di intervento, nonche’ le procedure e le modalita’ di esecuzione di controlli a campione, sia documentali che in situ, eseguiti dall’ENEA e volti ad accertare il rispetto dei requisiti che determinano l’accesso al beneficio. Nelle more dell’emanazione dei decreti di cui al presente comma, continuano ad applicarsi il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 febbraio 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2007, e il decreto del Ministro dello sviluppo economico 11 marzo 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 18 marzo 2008”.
Ad oggi, come visto supra, il Ministero competente ha già emanato i suddetti decreti, ovvero il cd. asseverazioni e quello cd. requisiti, il cui art. 8 rinvia all’art. 8 del d.lgs. n. 192/2005 secondo cui: “La conformità delle opere realizzate rispetto al progetto e alle sue eventuali varianti ed alla relazione tecnica di cui al comma 1, nonché l’attestato di qualificazione energetica dell’edificio come realizzato, devono essere asseverati dal direttore dei lavori e presentati al comune di competenza contestualmente alla dichiarazione di fine lavori senza alcun onere aggiuntivo per il committente. La dichiarazione di fine lavori è inefficace a qualsiasi titolo se la stessa non è accompagnata da tale documentazione asseverata”.
Quindi, sembra desumersi che il requisito della conformità urbanistico-edilizia derivi da tale normativa finale (rectius: dall’art. 8, c. 2 del d.lgs. n. 192/2005).
La conclusione, tuttavia, non muterebbe nemmeno continuando ad applicare, in via transitoria e/o residuale, il d.m. 19.02.2007 richiamato dall’art. 14, c. 3, I periodo del d.l. n. 63/2013.
Sul punto giova però fare una precisazione.
Infatti, sussistono due d.m. datati 19.02.2007: uno emesso dal Ministero Economia e Finanza (MEF) rubricato “Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, in attuazione dell’articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387” e pubblicato in GU n. 45 del 23.2.2007; un altro emanato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze (MEF) di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico (MISE) rubricato “Disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’articolo 1, comma 349, della legge 27 dicembre 2006, n.
296” e pubblicato in G.U. n. 47 del 26.02.2007.
Ovviamente, è a quest’ultimo che occorre riferirsi, dato il tenore letterale della norma cd. di rinvio.
L’art. 4, c. 1, lett. a) del surriferito d.m. prescrive che: “I soggetti che intendono avvalersi della detrazione relativa alle spese per gli interventi di cui all’articolo 1, commi da 2 a 5, sono tenuti a:
a) acquisire l’asseverazione di un tecnico abilitato che attesti la rispondenza dell’intervento ai pertinenti requisiti richiesti nei successivi articoli 6, 7, 8 e 9. Tale asseverazione può essere: – sostituita da quella resa dal direttore lavori sulla conformità al progetto delle opere realizzate, obbligatoria ai sensi dell’art. 8, comma 2, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modifiche e integrazioni;
– esplicitata nella relazione attestante la rispondenza alle prescrizioni per il contenimento del consumo di energia degli edifici e relativi impianti termici, che, ai sensi dell’art. 28, comma 1, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, il proprietario dell’edificio, o chi ne ha titolo, deve depositare presso le amministrazioni competenti secondo le disposizioni vigenti, in doppia copia, insieme alla denuncia dell’inizio dei lavori relativi alle opere di cui agli articoli 25 e 26 della stessa legge”.
Orbene, gli artt. 6, 7, 8 e 8 si riferiscono alle asseverazioni, rispettivamente, di: “interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti”, “interventi sull’involucro degli edifici esistenti”, “interventi di installazione di pannelli solari”, ed “interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale”.
A sua volta, l’art. 8, c. 2 del d.lgs. n. 192/2005 stabilisce che: “La conformità delle opere realizzate rispetto al progetto e alle sue eventuali varianti ed alla relazione tecnica di cui al comma 1, nonché l’attestato di qualificazione energetica dell’edificio come realizzato, devono essere asseverati dal direttore dei lavori e presentati al comune di competenza contestualmente alla dichiarazione di fine lavori senza alcun onere aggiuntivo per il committente. La dichiarazione di fine lavori è inefficace a qualsiasi titolo se la stessa non è accompagnata da tale documentazione asseverata”.
Quindi, anche dal plurimo rinvio contenuto nelle norme surriportate, sembra desumersi che il requisito della conformità urbanistico-edilizia derivi dall’art. 8, c. 2 del d.lgs. n. 192/2005.
Ma vi è di più.
Come noto, il d.l. n. 76/2020 conv. in l. 120/2020 (cd. decreto semplificazioni) ha introdotto l’art. 9 bis del d.P.R. n. 380/2001 sullo stato legittimo dell’immobile: “Ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dal presente testo unico, le amministrazioni sono tenute ad acquisire d’ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull’autenticità di tali documenti, informazioni e dati.c1-bis.
Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia”.
Tale disposizione indica gli elementi che possono essere presi in considerazione per dimostrare la legittimità di una costruzione, nel caso in cui non si trovi un titolo edilizio (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 19.12.2020, n. 486 e T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 29.06.2020, n. 1245), fermo restando che, in via generale, deve sempre sussistere coincidenza tra lo stato cd. di fatto e quello cd. autorizzato della costruzione.
Infatti, quando si presenta una pratica edilizia, il professionista deve attestare nel PdC o nella SCIA la conformità tra lo stato esistente e quello progettuale (cfr. art. 20 del d.P.R. n. 380/2001 e art. 19 della l. n. 241/1990).
Sotto un profilo squisitamente fiscale, l’art. 49, c. 1 del d.P.R. n. 380/2001 impone la conformità urbanistico-edilizia dell’immobile per ottenere gli sgravi contributivi: “Fatte salve le sanzioni di cui al presente titolo, gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero il mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione”.
Anche dal successivo art. 50, c. 1 e c. 2 del d.P.R. n. 380/2001 esalta la conformità urbanistico-edilizia che può essere ottenuta anche in seguito ad una sanatoria edilizia: “1. In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 49, le agevolazioni tributarie in materia di tasse ed imposte indirette sugli affari si applicano agli atti stipulati dopo il 17 marzo 1985, qualora ricorrano tutti i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni agevolative ed a condizione che copia conforme del provvedimento di sanatoria venga presentata, contestualmente all’atto da registrare, all’amministrazione cui compete la registrazione. In mancanza del provvedimento definitivo di sanatoria, per conseguire in via provvisoria le agevolazioni deve essere prodotta, al momento della registrazione dell’atto, copia della domanda di permesso in sanatoria presentata al comune, con la relativa ricevuta rilasciata dal comune stesso. L’interessato, a pena di decadenza dai benefìci, deve presentare al competente ufficio dell’amministrazione finanziaria copia del provvedimento definitivo di sanatoria entro sei mesi dalla sua notifica o, nel caso che questo non sia intervenuto, a richiesta dell’ufficio, dichiarazione del comune che attesti che la domanda non ha ancora ottenuto definizione. 2. In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 49, per i fabbricati costruiti senza permesso o in contrasto con la stesso, ovvero sulla base di permesso successivamente annullato, si applica la esenzione dall’imposta comunale sugli immobili, qualora ricorrano i requisiti tipologici di inizio e ultimazione delle opere in virtù dei quali sarebbe spettata, per il periodo di dieci anni a decorrere dal 17 marzo 1985. L’esenzione si applica a condizione che l’interessato ne faccia richiesta all’ufficio competente del suo domicilio fiscale, allegando copia della domanda indicata nel comma precedente con la relativa ricevuta
rilasciata dal comune. Alla scadenza di ogni anno dal giorno della presentazione della domanda suddetta, l’interessato, a pena di decadenza dai benefici, deve presentare, entro novanta giorni da tale scadenza, all’ufficio competente copia del provvedimento definitivo di sanatoria, o in mancanza di questo, una dichiarazione del comune, ovvero una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attestante che la domanda non ha ancora ottenuto definizione”.
Quindi, la conformità urbanistico-edilizia dell’immobile non è solo un elemento che rileva dal punto di vista amministrativo e dei controlli che, ex art. 27 del d.P.R. n. 380/2001, competono in via generale all’ente locale, ma rileva anche per l’Agenzia delle Entrate, quale presupposto inscindibile per accedere al bonus e, soprattutto, per non perdere i vantaggi fiscali ottenuti e subire, altresì, sanzioni pecuniarie.
Conferma pienamente ciò anche le FAQ del Sottosegretario di Stato del MEF, on. Alessio Villarosa, ove si legge: “14. IRREGOLARITA’ URBANSITICHE 14.1. È possibile usufruire del Superbonus nel caso di un immobile non in regola dal punto di vista urbanistico? No, gli edifici con abusi edilizi non sanati sono esclusi dal Superbonus. Non si possono applicare incentivi dove non c’è conformità edilizia ed urbanistica” ed ancora: “14.3. Cosa è il certificato di conformità urbanistica e a cosa serve? Il certificato di conformità urbanistica consente di verificare se l’immobile presenta una difformità o un abuso edilizio. Si tratta di quel documento che attesta la corrispondenza tra lo stato di fatto dell’immobile e il titolo edilizio con cui è stato realizzato. Grazie ad esso sarà possibile stabilire se l’immobile è in regola oppure no e, in quest’ultimo caso, l’entità dell’abuso”.
Riassumendo, se da un lato è possibile dedurre che, per usufruire delle agevolazioni del cd. superbonus 110%, la conformità urbanistico-edilizia dell’immobile è un requisito imprescindibile, dall’altro lato, è altrettanto vero che la asseverazione sullo stato legittimo del fabbricato non è un unicum introdotto dal cd. decreto rilancio, perché tale condicio è insita nel sistema giuridico italiano e, come visto, rinviene la sua fonte in plurimi e diversificati testi legislativi aventi valenza sia urbanistico-edilizia sia fiscal-contributiva.
La conclusione però non muta: per poter accedere alle agevolazioni fiscali, gli interventi edilizi posti in essere devono riguardare un immobile regolare – in via originaria, ovvero sanato ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (PdC in sanatoria) o 37 del d.P.R. n. 380/2001 (S.C.I.A. in sanatoria), ovvero condonato ex l. n. 47/1985 (cd. primo condono); l. n. 724/1994 (cd. secondo condono); l. n. 326/2003 (cd. terzo condono) – e non abusivo (in tutto o in parte), salvo le cd. tolleranze costruttive di cui all’art.
34 bis del d.P.R. n. 380/2001 secondo cui: “1. Il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo. 2. Fuori dai casi di cui al comma 1, limitatamente agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, costituiscono inoltre tolleranze esecutive le irregolarità geometriche e le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, nonché la diversa collocazione di impianti e opere interne, eseguite durante i lavori per l’attuazione di titoli abilitativi edilizi, a condizione che non comportino violazione della disciplina urbanistica ed edilizia e non pregiudichino l’agibilità dell’immobile. 3. Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero, con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali”.
Infatti, poiché la cd. fiscalizzazione dell’abuso di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 non equivale ad una sanatoria edilizia, essa non dovrebbe – in astratto – consentire di usufruire della normativa de qua; al contrario, la l.r. Veneto n. 50/2019 (cd. mini condono regionale) dovrebbe – in astratto – permettere di accedere alle agevolazioni di cui si discorre, dato che essa regolarizza le difformità producendo gli effetti di una vera e propria sanatoria edilizia.
Sul punto giova ricordare che, di regola, l’Agenzia delle Entrate non sindaca il merito dei provvedimenti amministrativi emessi dalla P.A. e, quindi, la categoria giuridica dell’intervento edilizio assentito dal Comune competente. Cosicché, una volta sanato o condonato un’immobile, essa non potrebbe revocare il contributo concesso adducendo l’illegittimità del provvedimento.
Matteo Acquasaliente