1. Premessa: breve introduzione del tema. L’Articolo 103 del D.L. n. 35/2020 cc.dd. Decreto Rilancio ed i settori ai quali si riferisce la precitata norma giuridica.
Una necessaria, preliminare e doverosa precisazione: il presente contributo non possiede finalità alcuna di natura politica, né tantomeno pretende di fungere da metro per “giudicare” alcun fatto e/o circostanza storico – fattuale. Trattasi solamente di brevi ragionamenti (giuridici o che, quantomeno, tali vogliono essere e rimanere) espressi a voce alta, di primo getto e senza qualsivoglia ulteriore o recondita finalità.
Ora, un tanto doverosamente premesso, come certamente ben noto ai lettori del sito torna la possibilità di regolarizzare rapporti di lavoro con personale straniero irregolarmente residente nel nostro Paese.
Storicamente è solo l’ultima di una serie di normative di tal fatta registrate negli anni.
Nel 2002, la legge cc.dd. “Bossi-Fini”, permise la regolarizzazione di circa 634 mila persone di cui circa la metà per rapporti di lavoro domestico.
Si passò, quindi, alla regolarizzazione del 2006, per il tramite del Decreto Flussi, per poi giungere al 2009 quando, a fronte di una previsione del Ministero dell’Interno di circa 500 mila/700 mila richieste ci furono solo 294 mila domande, e, infine, nel 2012 dove si è assistito ad un’adesione alla regolarizzazione assai contenuta (circa 105 mila domande) dovuta soprattutto – par di capire – all’alto costo da sostenere per la regolarizzazione dei soggetti interessati.
Arriviamo, quindi, al recentissimo D.L. n. 34/2020 cc.dd. Decreto Rilancio e precisamente all’Art. 103, intitolato “Emersione di rapporti di lavoro” ovvero una nuova normativa che offre la possibilità di far emergere e di regolarizzare i rapporti di lavoro irregolari con personale straniero.
Al netto di ogni (complessa) questione sostanziale e procedimentale (delle quali non ci occuperemo in questa sede), devesi evidenziare che i settori indicati dalla norma sopra indicata, ai fini dell’emersione, sono i seguenti:
1) agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse;
2) assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza;
3) lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.
Resta, quindi, esclusa (e del tutto ingiustificatamente ad avviso dello scrivente), ogni altra attività di produzione di beni e servizi, ed in particolare il settore edilizio, il settore industriale, il settore manifatturiero nonché quello della logistica, nei quali storicamente il peso del lavoro irregolare ovvero l’apporto da parte di lavoratori stranieri è rilevante od anche assai rilevante.
Vediamo, se in sede di conversione del Decreto Legge in Legge sia possibile o, forse, anche necessario (o piuttosto doveroso) aumentare la platea dei beneficiari e quali i benefici, in tal caso, ne deriverebbero anche per lo Stato.
A tali fini, necessita indagare, in primis, quale sia la ratio della vigente legislazione ordinaria in materia di immigrazione di cittadini extracomunitari e ciò al fine di comparare detta ratio con quella che si rinviene nell’incipit nell’Articolo 103 del D.L. n. 35/2020.
2. Alcune brevi e sintetiche annotazioni in merito alla ratio della vigente legislazione in materia di immigrazione di cittadini extracomunitari.
In materia di politiche migratorie, la scelta seguita dal Legislatore Italiano, in linea astratta e generale, è stata sempre quella di individuare una strada intermedia tra l’apertura incondizionata al flusso migratorio e la chiusura totale, sulla scia di quanto è avvenuto nel corso della storia in quasi tutti i Paesi democratici. La normativa italiana si ispira, infatti, al principio del cosiddetto flusso regolato, tendente cioè ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato lavoro, mezzi idonei di sostentamento, in una parola un livello minimo di dignità e di diritti, e tra questi, a mero titolo esemplificativo quelli alla casa ed allo studio.
Quale corollario alla decisione di porre un limite all’ingresso dei cittadini extracomunitari, si pone l’obbligo di espulsione per quelli fra costoro che non sono in regola, sia in relazione all’ingresso, sia in relazione al soggiorno. Due sono i limiti esterni all’impostazione sopra esposta: uno è dato dalle ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, per cui, quando sono in gioco tali valori (di primaria e costituzionale rilevanza), uno straniero può sempre essere espulso, anche ove si trovi regolarmente in Italia (ed anche qualora ne abbia acquisito la cittadinanza che, in tal caso, può essere revocata in base all’Articolo 14 del D.L. n. 113/2018 come successivamente convertito in legge).
L’altro limite, questa volta di segno opposto, è dato da particolari esigenze umanitarie, che consentono una deroga alle norme sull’ingresso; si tratta, infatti, di dare priorità ai principii dei diritti dell’Uomo fatti propri dalla Costituzione Repubblicana (in particolare dall’Articolo 10 di essa) ed introdotti nell’Ordinamento italiano con la ratifica di numerosi accordi internazionali. Viene in rilievo, in particolare, la tutela dell’integrità della famiglia e dei minori (donde le deroghe all’ingresso per favorire il ricongiungimento familiare), nonché di coloro che si trovano in particolari situazioni di difficoltà, fino a giungere, in caso di accertate persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche, alla concessione dello status di rifugiato politico.
E’ evidente, quindi che, come affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza 21 novembre 1997 n. 353), le ragioni della solidarietà umana non possono essere sancite al di fuori di un equo e corretto bilanciamento dei valori in gioco: tra questi, vi sono indubbiamente la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a chi la elude. Il bilanciamento dei vari interessi in gioco è stato effettuato dal Legislatore, che ha graduato le varie situazioni: in alcuni casi, ad esempio, ha disposto l’espulsione dello straniero in via quasi automatica, al semplice verificarsi di determinati presupposti, mentre, in altri, ha ammesso una certa discrezionalità in capo alla P.A., nella valutazione e ponderazione dei fatti.
Naturalmente, anche nell’applicazione della normativa sui cittadini extracomunitari trovano ingresso i principi generali dell’Ordinamento giuridico, in specie quelli regolanti l’attività della P.A., tra cui basterà menzionare quello relativo all’obbligo della motivazione dell’atto amministrativo (più attenuato qualora si tratti di un atto dovuto, più stringente qualora la discrezionalità dell’Amministrazione sia più estesa), quello dell’economicità dell’azione amministrativa, per cui determinate irregolarità si considerano sanate qualora l’atto abbia raggiunto il suo proprio scopo, ed infine la potestà dell’Amministrazione di revocare in ogni tempo un atto amministrativo ad effetti permanenti, qualora vengano meno i presupposti per la sua concessione.
3. La precipua ratio dell’Articolo 103 del D.L. n. 35/2020 cc.dd. Decreto Rilancio e la possibile estensione degli ambiti ai quali fa riferimento la norma di regolarizzazione.
Ancorché nata (anche) al fine di “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da COVID-19”, manca all’interno della lunga norma di cui all’Articolo 103 del D.L. n. 35/2020 ogni riferimento ad una qualsivoglia forma di contrasto alla diffusione del virus. Pare che la mera presentazione della domanda abiliti il lavoratore allo svolgimento dell’attività lavorativa, senza che lo stesso venga sottoposto ad un accertamento medico-sanitario.
Quindi la legislazione emergenziale è stata l’ “occasione” ma non la “causa” precipua dell’adozione di detta normativa “straordinaria”.
Ma se così è, e diversamente non pare possa essere, la norma giuridica de qua presenta una portata esclusivamente di natura economico-produttiva e non sanitaria, per vero limitata, come si è sopra visto, ad alcuni settori produttivi del nostro Paese.
Premesso che la discrezionalità del Legislatore non è consuetamente sindacabile è certo, tuttavia, che risulterebbe maggiormente ragionevole che la norma in oggetto fosse estesa anche ad altri Settori Produttivi e, in particolare, al settore edilizio, al settore industriale, al settore manifatturiero nonché a quello della logistica.
Anzi, a parere dello scrivente la norma dovrebbe avere una vis espansiva ed operare in tutti i settori produttivi del Nostro Paese al fine di consentire, finalmente, una potenziale ma globale regolarizzazione di cittadini extracomunitari in posizione irregolare con la documentazione amministrativa ovvero richiedenti asilo o protezione internazionale che sono titolari di un permesso di soggiorno solo in ragione della pendenza di procedure giudiziarie (ricorsi avanti ai competenti Tribunali, Sezioni specializzate per l’immigrazione ovvero avanti alla Suprema Corte di Cassazione).
Vedremo poi nel Paragrafo seguente i vantaggi per lo Stato di una tale norma giuridica alla quale, ovviamente, dovrà accompagnarsi, nel contesto di una politica migratoria comune europea, l’effettuazione ed il rigoroso perseguimento di un equo e corretto bilanciamento di tutti i valori in gioco: come già scritto in precedenza, la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, l’efficace presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a chi la elude.
L’attuale Articolo 103 D.L. n. 35/2020 è destinato, infatti, a lasciare migliaia di migranti senza permesso di soggiorno ed anche senza diritti, a far si che i migranti siano costretti a cercare il conseguimento di requisiti in molti casi del tutto irraggiungibili ed illusori, gravando inutilmente sulla Pubblica Amministrazione con la presentazione di istanze del tutto infondate.
Infine, anche il periodo della presentazione delle istanze, ora previsto dal 1 giugno al 15 luglio, dovrà, a mio personale avviso, essere necessariamente prorogato, per ragioni di legittimo affidamento e certezza del diritto, ad una data successiva a quella di conversione del D.L. Rilancio ossia successiva al 21 luglio 2020.
4. I possibili benefici, diretti ed indiretti, in favore dello Stato in ipotesi di estensione degli ambiti di regolarizzazione di cui all’Articolo 103 del D.L. n. 35/2020.
Le modifiche proposte potranno consentire allo Stato di conseguire, in via diretta ed indiretta, molteplici benefici.
Il primo beneficio diretto è dato dal potenziale gettito conseguente all’operazione di regolarizzazione, gettito certamente importante se i settori dovessero essere ampliati.
Tuttavia, vi sarebbero anche benefici indiretti di non poco momento.
Faccio riferimento all’estesissimo contenzioso in materia di protezione internazionale e richiedenti asilo, pendente fra il primo grado, le Corti di Appello (per le posizioni cc.dd. pre-Minnitti) e la Corte di Cassazione: non conosco esattamente dette stime ma credo che esse si potrebbero attestare tranquillamente oltre i 100.000 ricorsi i quali vedrebbero la cessazione della materia del contendere con l’ampliamento della platea dei beneficiari di cui all’Articolo 103 D.L. n. 35/2020 e la conclusione favorevole del relativo iter procedimentale.
In tal caso, tutte le relative energie giudiziarie si libererebbero e potrebbero occuparsi della cognizione di altri contenziosi di maggior interesse e rilevanza.
Peraltro, anche la Pubblica Amministrazione riceverebbe un notevole vantaggio giacchè la presente normativa potrebbe indurre più di qualche disperato migrante a cercare fra le pieghe della norma una soluzione che non esiste, presentando istanze del tutto infondate (se non false) sulle quali la P.A. dovrebbe, comunque, pronunciarsi e in ipotesi di dinieghi si aprirebbe il conseguente iter processuale (in aggiunta alle eventuali denunce per falso).
Ovviamente una tal norma modificata con l’ampliamento dei settori interessati non dimostrerebbe la debolezza dello Stato quanto, piuttosto, nella discrezionalità del Legislatore un sano e corretto pragmatismo politico considerata l’impossibilità materiale di rimpatriare tutti coloro che vivono nel Nostro Paese e lavorano senza documento alcuno, nonché considerati gli altissimi ed insostenibili costi sociali necessari per detti rimpatri (sempre ammesso e non concesso che essi siano fattibili, ciò che non si crede affatto anche in base all’esperienza professionale).
Si sottolinea in maniera chiara che il presente modesto contributo riflette, come sempre, le opinioni, meditate ma del tutto personali, di colui che lo ha redatto e non riflette affatto i pensieri dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti il cui sito si limita ad ospitarlo.
Giovanni Attilio De Martin