Da qualche anno gli avvocati dispongono di un efficace strumento per la notifica degli atti giudiziari, ossia la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata.
Come noto, l’art. 1 della l. n. 53/1994 consente di eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, anche in via telematica. Per l’esercizio di tale facoltà occorre: essere iscritti all’Albo; disporre della procura ad litem del cliente ex art. 83 c.p.c.; disporre di un indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi; possedere un dispositivo di firma digitale; infine, che il destinatario della notifica che si vuole compiere abbia un indirizzo PEC tratto da pubblici elenchi.
Su quest’ultimo requisito è doveroso precisare, come rileverà nel prosieguo del presente contributo, che ai sensi dell’art. 16 ter del d.l. 179/2012, come modificato dall’ art. 45-bis, comma 2, lett. a), n. 1), D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114., “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 6, comma 12, del presente decreto; dall’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dall’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia”.
Tale importante ed innovativo strumento presenta numerosi ed indubbi vantaggi sotto il profilo pratico, di cui mi permetto di enuclearne i principali: la sua sostanziale gratuità; la non necessità di autorizzazione da parte del Consiglio dell’Ordine di appartenenza ai sensi della legge n. 53/1994 (e ciò a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 24.6.2014 n. 90); la non necessità di annotazione delle notifiche effettuate a mezzo PEC sul Registro Cronologico (che continua ad essere obbligatoria unicamente per le notifiche in proprio eseguite a mezzo posta); la non necessità di apporre alcuna marca al momento dell’esibizione o del deposito nella relativa procedura dell’atto notificato (cfr. art. 10 l.n. 53/94, come modificato dal D.L. 24.6.2014 n. 90); la sostanziale coincidenza del momento dell’invio della notifica con quello della sua consegna (sempre che il medesimo indirizzo risulti attivo e valido) e, quindi, l’immediata contezza del buon fine e della tempestività della notifica effettuata (che si ha, appunto, nel momento in cui il notificante riceve la distinta di avvenuta consegna, ai sensi dell’art. 3bis, comma 3, l.n. 53/1994).
Nel processo amministrativo, tuttavia, il completo recepimento del nuovo mezzo tecnologico per la notifica dei ricorsi è risultato tutt’altro che agevole e, nonostante il recente arresto dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato di cui si dirà infra, sembra incontrare ancora alcune importanti resistenze.
In prima battuta, si erano fronteggiati due orientamenti giurisprudenziali, aventi ad oggetto la dibattuta questione se, nel sistema anteriore all’entrata in vigore dell’art. 14 del d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (“Regolamento recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico”), fosse ammissibile nel processo amministrativo la notifica del ricorso introduttivo a mezzo PEC, anche in difetto di apposita autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, C.P.A.
Sul punto si era creata un’evidente spaccatura nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. In base all’orientamento minoritario, nel processo amministrativo, in assenza di apposita autorizzazione presidenziale ex art. 52 comma 2, C.P.A., era da considerare inammissibile la notifica del ricorso giurisdizionale mediante posta elettronica certificata ai sensi della l. n. 53/94 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 2017, nr. 130; id., 17 gennaio 2017, nr. 156; id., 13 dicembre 2016, nr. 5226; id., sez. III, 20 gennaio 2016, nr. 189).
Secondo tale indirizzo, la notifica a mezzo PEC non era utilizzabile, “essendo esclusa, in base al disposto di cui all’art. 16-quater, comma 3-bis [aggiunto dall’art. 46 del d.l. 24 giugno 2014, nr. 90] del D.L. n. 179/12 come convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, l’applicabilità alla giustizia amministrativa delle disposizioni idonee a consentire l’operatività nel processo civile del meccanismo di notificazione in argomento (ovvero i commi 2 e 3 del medesimo art. 16-quater), solo all’esito della cui adozione (…) detto meccanismo ha acquistato effettiva efficacia nel processo civile e penale (…); e ciò tenuto conto della mancanza di un apposito Regolamento, che, analogamente al D.M. 3 aprile 2013, n. 48 concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, detti le relative regole tecniche anche per il processo amministrativo e che non può che individuarsi nel D.P.C.M. previsto dall’art. 13 dell’All. 2 al c.p.a. (…) solo all’esito del quale l’intero processo amministrativo digitale avrà una completa regolamentazione e la notifica del ricorso a mezzo PEC potrà avere effettiva operatività ed abbandonare l’inequivocabile ed ineludibile carattere di specialità oggi affermato dall’art. 52, comma 2, c.p.a., che prevede per il suo utilizzo, facendo all’uopo espresso riferimento all’art. 151 c.p.c., una specifica autorizzazione presidenziale, del tutto mancante nel caso all’esame” (Cons. Stato, sez. III, n. 189/2016, cit.).
Sulla scorta di tale giurisprudenza, quindi, fino all’entrata in vigore del d.P.C.M. previsto dall’art. 13 dell’Allegato 2 al codice del processo amministrativo, la notifica a mezzo PEC doveva essere considerata una forma speciale di notificazione che, in assenza di apposita autorizzazione presidenziale, non poteva che risultare inesistente e, dunque, insanabile.
L’altro orientamento, di gran lunga prevalente, riconosceva, al contrario, l’immediata applicazione nel processo amministrativo delle norme sancite dagli artt. 1 e 3-bis della legge nr. 53/1994, secondo cui “la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata” (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2016, nr. 4895; id., sez. V, 4 novembre 2016, nr. 4631; id., sez. VI, 26 ottobre 2016, nr. 4490; id, sez. III, 10 agosto 2016, nr. 3565; id., 6 luglio 2016, nr. 3007; id., 14 gennaio 2016, nr. 91; id., sez. VI, 22 ottobre 2015, nr. 4862; id., sez. III, 9 luglio 2015, nr. 4270; id., sez. VI, 28 maggio 2015, nr. 2682; C.g.a.r.s., 8 luglio 2015, nr. 615).
Nelle sentenze che si conformavano a tale secondo indirizzo, veniva osservato che il sopra citato art. 46, che ha introdotto il comma 3-bis all’art. 16-quater del d.l. nr. 179/12, non ha sancito l’inapplicabilità, al processo amministrativo, del meccanismo della notificazione in via telematica a mezzo PEC prevista dalla legge nr. 53/1994, ma solo delle disposizioni (commi 2 e 3 dell’art. 16-quater del d. l. nr. 179/2012) che demandavano a un decreto del Ministro della giustizia l’adeguamento alle nuove disposizioni delle regole tecniche già dettate col d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, e che regolavano l’acquisizione di efficacia delle disposizioni di cui al comma 1 dell’art. 16-quater. Ancora, veniva sostenuto che neppure l’immediata applicabilità delle norme di legge vigenti sulla notifica del ricorso a mezzo PEC potesse essere subordinata all’entrata in vigore del d.P.C.M. al quale fa riferimento l’art. 13 dell’Allegato 2 al codice del processo amministrativo.
Stante, dunque, l’immediata applicabilità della legge nr. 53/1994, secondo tale orientamento la mancata autorizzazione presidenziale non poteva considerarsi ostativa alla validità ed efficacia della notificazione del ricorso a mezzo PEC, atteso che la disposizione di cui all’art. 52, comma 2, cod. proc. amm. si riferisce a “forme speciali” di notifica, quale non era considerata, quella in esame.
Nel dibattito, il T.A.R. di Venezia sembra avere conservato un atteggiamento prudente, senza aderire ad uno o all’altro orientamento e senza, soprattutto, penalizzare il ricorrente notificante tramite pec. In un caso in cui un Comune, costituendosi, aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso per nullità della notifica eseguita via pec in difetto di autorizzazione del Presidente, il T.A.R. Veneto ha, difatti, dato atto dell’esistenza del contrasto sopra ricordato e così disatteso l’eccezione: “La sussistenza del cennato contrasto giurisprudenziale legittima, ad avviso del Collegio, la concessione dell’errore scusabile, come già ritenuto da questo T.A.R. in casi analoghi a quello oggi scrutinato (cfr. ordinanza 8 ottobre 2015 n. 1016; sentenza 14 giugno 2016 n. 630)” (sezione Terza, sentenza n. 129 del 2.2.2017).
Alla luce del contrasto giurisprudenziale rilevato e considerato il significativo rilievo pratico della questione controversa (le disposizioni del citato d.P.C.M. nr. 40/2016 – giusta il disposto dell’art. 21 del medesimo decreto, come modificato dall’art. 2, comma 1, d.l. 30 giugno 2016, nr. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, nr. 161 – potevano applicarsi solo ai ricorsi depositati a partire dal 2 gennaio 2017, di modo che la questione si sarebbe potuta porre ancora in un cospicuo numero di giudizi introdotti in data anteriore), il Consiglio di Stato, sez. III, con ordinanza del 23 marzo 2017, n. 1322, ha ritenuto opportuno sottoporla all’Adunanza plenaria.
Così, con l’arresto del n. 6/2017 pubblicato il 19.9.2017, l’Adunanza Plenaria ha aderito all’orientamento prevalente, stabilendo il seguente principio di diritto: “la notificazione del ricorso instaurativo del processo amministrativo può avvenire per posta elettronica certificata (PEC), nel rispetto delle disposizioni che la regolano, anche prima dell’adozione del d.P.C.M. 16 febbraio 2016 n. 40 ed indipendentemente dall’autorizzazione presidenziale, di cui all’art. 52, comma 2, del codice del processo amministrativo”.
Secondo l’Adunanza Plenaria non poteva risultare ragionevole ritenere che l’emanazione di un decreto recante regole tecniche per i processi civile e penale, da emanarsi da parte del Ministro della Giustizia, autorità priva di competenza in merito al processo amministrativo telematico, potesse condizionare l’attuazione di quest’ultimo e, segnatamente, bloccare, nel suo ambito, le disposizioni relative alla notifica degli atti a mezzo PEC da parte degli avvocati. Né poteva sostenersi che, non essendo state all’epoca emanate le regole tecniche per il processo amministrativo, il “difetto di disciplina” avrebbe reso impossibile l’applicazione della notificazione a mezzo PEC.
Il Massimo Consesso della Giustizia amministrativa ha, quindi, concluso che la natura di mezzo generale di notificazione (e di immediata applicazione) riconosciuta alla notifica a mezzo PEC consente di affermare che la stessa non risulta impedita fin tanto che non è stato emanato il d.P.C.M., previsto dall’art. 13, all. 2 (norme di attuazione) del c.p.a. che, come è noto, è stato successivamente emanato (d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40).
Se a seguito della fondamentale pronuncia suddetta è finito ogni dibattito sull’ammissibilità ex se dei ricorsi pendenti e radicati a mezzo pec anche prima del d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40, è comunque seguita una serie di arresti di alcuni T.A.R. che hanno censurato l’ammissibilità dei ricorsi notificati via pec alle Pubbliche Amministrazioni all’indirizzo pec di quest’ultime estratto dal registro IPA (disciplinato dall’art. 16, comma 8, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, conv. in L.n. 2/2009), tuttavia non presente nel registro delle P.A. tenuto dal Ministero della Giustizia.
Secondo alcuni Giudici Amministrativi, difatti, è da considerarsi nulla la notifica di un ricorso al TAR effettuata via posta elettronica certificata ad una Pubblica Amministrazione, se l’indirizzo utilizzato risulta unicamente dal registro IPA.
Secondo tale indirizzo, che pare essersi consolidato negli ultimi mesi (cfr. T.A.R. Catania, 13 dicembre 2017, n. 2870; T.A.R. Catania, 4 dicembre 2017, n. 2806; T.A.R. Palermo, 14 novembre 2017, n. 2603 ; T.A.R Firenze, 27 ottobre 2017, n. 1287; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 13 ottobre 2017, n. 2401; T.A.R. Basilicata, 21 settembre 2017, n. 607), ai fini della regolare notifica telematica di un atto processuale nei confronti di una amministrazione pubblica non può utilizzarsi qualunque indirizzo pec, ma solo quello inserito nell’apposito registro tenuto dal Ministero della Giustizia: ciò in quanto, a differenza dell’elenco del registro delle imprese (cd. INI-PEC), il registro IPA non è più espressamente annoverato tra i pubblici elenchi dai quali estrarre gli indirizzi pec da utilizzare per le notificazioni e comunicazioni: ” Il D.M. 16 febbraio 2016, n. 40, recante le regole operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, all’art. 14 stabilisce che le notificazioni alle amministrazioni non costituite in giudizio sono eseguite agli indirizzi PEC di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. n. 179 del 2012, conv. in L. n. 221/2012. Il predetto comma 12 (come modificato da ultimo ad opera del D.L. n. 90/2014, conv. in L.n. 114/2014) onerava le amministrazioni pubbliche di comunicare entro il 30 novembre 2014 l’indirizzo di posta elettronica certificata ai fini della formazione dell’elenco presso il Ministero della Giustizia. Il comma 1 bis, aggiunto all’art. 16 ter del medesimo D.L. n. 179 cit. dalla l.n. 114/2014, estende alla giustizia amministrativa l’applicabilità del comma 1 dello stesso art. 16 ter, a tenore del quale ai fini della notificazione si intendono per pubblici elenchi “quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto; dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dall’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia”. Non è più espressamente annoverato tra i pubblici elenchi dai quali estrarre gli indirizzi pec da utilizzare per le notificazioni e comunicazioni degli atti il registro IPA, disciplinato dall’art. 16, comma 8, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, conv. in L.n. 2/2009. Più precisamente, l’art. 16 L.n. 2/2009, al comma 8, prevedeva che tutte le amministrazioni pubbliche istituissero una casella di posta elettronica certificata e ne dessero comunicazione al Centro Nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, che così provvedeva alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica. L’elenco, l’IPA appunto, era stato dapprima equiparato agli elenchi pubblici dai quali poter acquisire gli indirizzi pec validi per le notifiche telematiche dall’art. 16 ter D.L. n. 179/2012. Ma quest’ultima disposizione è stata modificata dall’art. 45 bis,comma 2 lettera a) numero 1), D.L. n. 90/2014 nel senso sopra trascritto ed il registro IPA, che prima era espressamente contemplato, non è stato più richiamato dalla norma come novellata, che continua a richiamare l’art. 16 L.n. 2/2009, ma limitatamente al comma 6, che riguarda il registro delle imprese. Ne discende che ai fini della notifica telematica di un atto processuale ad una amministrazione pubblica non potrà utilizzarsi qualunque indirizzo pec, ma solo quello inserito nell’apposito registro tenuto dal Ministero della Giustizia, al quale gli enti avrebbero dovuto comunicarli entro il 30 novembre 2014…” (cfr. T.A.R. Palermo n. 2603/2017 cit.).
Pertanto, se la notifica viene effettuata presso un indirizzo della P.A. presente nel registro IPA, tuttavia assente in quello tenuto dal Ministero della Giustizia, il ricorso è da considerarsi inammissibile.
Per quanto riguarda la giurisprudenza del T.A.R. Veneto, si registra la pronuncia n. 955 del 26.10.2017, con cui in parte motiva risulterebbe l’adesione a tale orientamento rigoroso, nonché la negazione dell’efficacia sanante di un’eventuale costituzione comunque avvenuta da parte della P.A. intimata: “In proposito, tuttavia, assumono rilevanza, anzitutto, i dubbi di nullità della notifica del ricorso, in quanto eseguita ad un indirizzo di “P.E.C.” non contenuto nel registro “ReGinDe”, ma estratto dal Registro “PP.AA.”: nullità, per la quale la costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata è assai dubbio possa avere l’efficacia sanante prevista dall’art. 44, comma 3, c.p.a., avendo la P.A. svolto le sue difese – nel corso della discussione orale della causa, all’udienza pubblica del 5 luglio 2017 – con esclusivo riguardo proprio alla nullità della ridetta notifica.”
L’orientamento sopra riportato pone una serie di riflessioni critiche.
Innanzitutto, nel caso di costituzione spontanea della P.A. resistente a cui è stato notificato il ricorso via pec al solo indirizzo estratto dal registro IPA, la nullità della notifica eseguita via pec dovrebbe considerarsi sanata in ossequio al principio generale del raggiungimento dello scopo (in tali termini, si segnala T.A.R. Catanzaro, 4 settembre 2017, n. 1370).
Inoltre, recentemente, si rileva come in luogo di dichiarare inammissibile tout court il ricorso notificato via pec (ad indirizzo estratto da IPA) in difetto della costituzione della pubblica amministrazione resistente, ben potrebbe ordinarsi al ricorrente di rinnovare la notifica o tramite Ufficiale Giudiziario o in proprio a mezzo posta (vedansi le recentissime ordinanze del T.A.R. Palermo n. 2779 del 1.12.2017 e n. 2809 del 4.12.2017), senza quindi pregiudicarne inesorabilmente gli interessi sottesi all’impugnativa.
Esaminando, poi, la parte motiva della maggior parte della sentenze succitate, trattansi di casi limite in cui la Pubblica Amministrazione resistente non ha ritenuto di costituirsi ed in cui l’eccezione di inammissibilità è stata sollevata o da un controinteressato evocato in giudizio (T.A.R. Basilicata n. 607/2017 cit.; T.A.R. Catania n. 2401/2017, n. 2806/2017, n. 2870/2017) o autonomamente dal Collegio (T.A.R. Palermo n. 2603/2017 cit.; T.A.R. Firenze n. 1287/2017 cit.). In rari casi, difatti, è stata censurata l’ammissibilità del ricorso pur in presenza della regolare costituzione della Pubblica Amministrazione intimata (T.A.R. Catania n. 2806/2017 cit., in cui peraltro i Giudici hanno comunque ritenuto di rigettare anche nel merito i ricorsi; T.A.R. Veneto n. 955/2017, comunque dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse).
Nella maggior parte dei casi è stata così, paradossalmente, indirettamente “premiata” la decisione delle P.A. intimate di non costituirsi, probabilmente assunta, invero, onde evitare ulteriori aggravi da una probabile soccombenza. Difficilmente, difatti, i legali che assumono l’incarico di difendere una Amministrazione Pubblica a cui è stato notificato un ricorso al T.A.R., si prenderebbero il rischio di evitare la difesa giudiziale sperando che qualche controinteressato, se presente, o il Collegio, ex officio, scrutinino l’ammissibilità del ricorso perché notificato ad un indirizzo pec presente nel registro IPA ma non nel registro tenuto dal Ministero di Giustizia, compiendo tutte le meticolose ricerche del caso mediante l’accesso ad ogni singolo registro.
Va, infine, doverosamente sottolineato come ben poche amministrazioni pubbliche abbiamo spontaneamente comunicato al Ministero della Giustizia il proprio indirizzo pec onde potere ricevere le notifiche. Si invita il lettore, accedendo a mezzo del proprio dispositivo di firma digitale al polisweb, a compiere una ricerca a campione sul predetto registro ministeriale : troverà ben pochi Enti Pubblici.
Di contro, il registro IPA, realizzato e gestito dall’Agenzia per l’Italia digitale della Presidenza del Consiglio di Ministri, contiene tutti gli indirizzi Pec delle Pubbliche Amministrazione e dei singoli uffici di quest’ultime, stante l’obbligo espresso di legge, ex art. 47, comma 3, del C.A.D. (Codice dell’Amministrazione Digitale), di pubblicarne almeno uno sul registro di cui si discute.
Di tale problema è pur ben conscio il Consiglio di Stato che, in sezione consultiva in relazione al trasmesso schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179, ha così osservato con decreto n. 02122/2017 (data 10/10/2017 di spedizione): “La Commissione osserva, infine, che l’art. 62 del correttivo prevede, al comma 6, che “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato, di concerto con il Ministro della giustizia, sono stabiliti le modalità e i tempi per la confluenza dell’elenco di cui all’articolo 16, comma 12, del decreto-legge n. 179 del 2012 in una sezione speciale dell’elenco di cui all’articolo 6-ter del decreto legislativo n. 82 del 2005, consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti e dagli avvocati. Con il medesimo decreto sono altresì stabilite le modalità con le quali le pubbliche amministrazioni che non risultino già iscritte nell’elenco di cui all’articolo 16, comma 12, del decreto-legge n. 179 del 2012, comunicano l’indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nella sezione speciale di cui al presente comma”. Il registro che la norma richiama è il registro generale degli indirizzi elettronici delle Pubbliche Amministrazioni, gestito dal Ministero della giustizia, che costituisce il registro al quale si fa riferimento ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale. Nel comprendere le ragioni che fanno ritenere utile la confluenza di tale registro in una apposita sezione speciale dell’elenco di cui all’articolo 6-ter del CAD, la Commissione sottolinea l’esigenza di mantenere la separazione fra i due elenchi e di assicurare che la confluenza non determini minori garanzie nella tenuta del registro e nella gestione dei dati ritenuti necessari dal Ministero della giustizia per il suo popolamento. 13. Nell’occasione la Commissione deve anche rilevare che il registro delle pubbliche amministrazioni gestito dal Ministero della giustizia risulta notoriamente scarsamente popolato, in parte a causa di alcune rigidità che occorre rimuovere ed in parte per la mancanza di adeguata sensibilità di numerose pubbliche amministrazioni, soprattutto enti locali. E ciò determina gravi inconvenienti per il corretto funzionamento del sistema e per i soggetti che intendono notificare un atto o un ricorso ad una pubblica amministrazione. 13.1. Per quanto riguarda le rilevate rigidità del sistema, si deve ricordare che, a differenza di quanto previsto per il registro IPA, nel registro delle P.A. gestito dal Ministero della giustizia ogni pubblica amministrazione può, al momento, indicare un solo indirizzo digitale anche quando la sua articolazione prevede diversi organi legittimati a stare in giudizio (come accade ad esempio per l’INPS o per altri soggetti pubblici con diverse articolazioni territoriali). Per superare tale inconveniente e rendere possibile anche in questi casi l’effettivo popolamento del registro, ed il suo uso per le finalità per le quali il registro è stato creato, occorre prevedere una disposizione che consenta a ciascuna pubblica amministrazione, in un regime controllato ma secondo il principio di responsabilità, di indicare anche eventualmente più di un indirizzo di posta elettronica certificata, quale corrispondente domicilio digitale, e ciò sia nel caso in cui, in base alla normativa vigente, singoli organi o articolazioni territoriali abbiano una autonoma capacità o legittimazione processuale, o comunque sia prevista la notifica degli atti processuali presso di essi, sia nel caso in cui le pubbliche amministrazioni stiano in giudizio tramite propri dipendenti (nel caso di costituzione tramite avvocati interni, iscritti nel loro registro speciale, valgono invece le ordinarie regole di domiciliazione presso il difensore, con la conseguenza che viene meno l’utilizzo di tale registro). Si ritiene pertanto necessario prevedere una disposizione che recepisca tale esigenza già nel testo dell’art. 62 in esame. 13.2. Il citato art. 62, comma 5, dello Schema delle disposizioni correttive del CAD, prevede poi, come si è già accennato, che con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato, di concerto con il Ministro della giustizia, con il quale si procederà a disciplinare la confluenza del registro gestito dal Ministero della Giustizia nella sezione speciale dell’elenco di cui all’articolo 6-ter del CAD , saranno stabilite anche le modalità con le quali le pubbliche amministrazioni che non risultino già iscritte nell’elenco di cui all’articolo 16, comma 12, del decreto-legge n. 179 del 2012, comunicano l’indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nella sezione speciale. Al riguardo la Commissione, al fine di consentire il definitivo superamento dei problemi connessi al mancato popolamento del registro delle P.A. gestito dal Ministero della giustizia, causati dalla ingiustificata inerzia di numerose pubbliche amministrazioni, ritiene di dover segnalare l’opportunità di prevedere, nell’art. 62 dello schema del decreto correttivo, anche un potere sostitutivo che l’AgID, decorso un ragionevole tempo dall’accertata inerzia, potrebbe esercitare per l’iscrizione del soggetto pubblico inadempiente nel registro.”
In conclusione, ci si augura un sollecito intervento del legislatore volto a correggere un’evidente situazione priva di senso, o emendandosi l’art. 16 ter del d.l. 179/2012 con il semplice richiamo anche al registro IPA (che è pur sempre un pubblico registro gestito da un’agenzia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e senz’altro il più aggiornato) oppure facendo proprie le indicazioni suggerite dal Consiglio di Stato nel prevedere un intervento sostitutivo dell’agenzia per il popolamento effettivo del registro delle P.A. tenuto dal Ministero di Giustizia, così da rendere completamente operativo il processo amministrativo telematico.
Nel frattempo, si invitano i colleghi che notificano ricorsi contro le P.A. a tenere ben presenti i rischi di un’eventuale notifica a mezzo pec presso un indirizzo non presente nel registro delle P.A. tenuto dal Ministero di Giustizia; come anche non può che augurarsi che, nelle more, il Giudice Amministrativo eventualmente adito con tali forme possa consentire al privato di rinnovare la notifica, come già recentemente ammesso da alcuni stessi T.A.R. propulsori di tale rigoroso indirizzo (cfr. T.A.R. Palermo, ordinanze n. 2779/2017 e n. 2809/2017 cit.).
Giorgio Nespoli