Scrivendo di uva e di vino, dall’arte alla simbologia esoterica e religiosa, si potrebbero riempire pagine e pagine di cultura.
Sicuramente si tratta di un argomento divino, se si considera l’aurea protettrice del greco Dioniso e del romano Bacco, Divinità che simboleggiavano non solo l’ebbrezza e l’estasi della liberazione dei sensi, ma anche lo spirito vitale, la Zoe greca che tutto pervade.
Etimologicamente l’origine del ‘vino’ è varia: vi è chi la collega all’amore –radice sanscrita “ven” come Venus-, chi ai termini latini vir (uomo) e vis (forza), per non dire di altri imparentamenti medio-orientali, proprie delle aree in cui si sviluppò la viticoltura.
Come per molti termini del nostro vocabolario, la versione più accreditata è però che la parola vinum derivi dal greco (Fοἶνος ), termine eolico utilizzato nelle isole di Lesbo e Samo, dove molto probabilmente il prodotto giunse dall’Egitto e dal vicino Oriente (attuali Palestina, Siria, Libano) che vantava una produzione vitivinicola intensa e diffusa già intorno al 1000 a.C.
Ma veniamo in medias res. Degli oltre 10.000 vitigni esistenti al mondo – già Plinio il Vecchio ne elencava 80 e riferiva che nel mondo ne esistessero 190- io, nativa di Valdobbiadene, intendo parlare di quello del Prosecco, frutto di un paesaggio collinare candidato al riconoscimento Unesco.
Che i filari erti tra S. Pietro di Barbozza e Pieve di Soligo esprimano immagini di rara poesia, lo si può constatare percorrendo le strade che li attraversano. Parlano di riti antichi, di un sapere tramandato per stagioni, di fatica e mani ruvide.
Ci sono altri riti molto meno bucolici che si sono diffusi in tempi rapidi per rispondere alla fame commerciale di questo vino fortunato, giovane e pop, destando anche legittime preoccupazioni nella popolazione residente: sono quelli legati ai trattamenti di fitofarmaci, che hanno portato a manifestazioni di protesta nel territorio e di cui hanno parlato le trasmissioni televisive di Report.
In relazione all’aumento di valore del prodotto e allo sfruttamento intensivo del territorio con la piantumazione di nuove barbatelle un po’ ovunque, è sorta l’esigenza di un coordinamento amministrativo tra i Comuni della Docg Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, che ha condotto alla sottoscrizione di nuovi protocolli di pratiche agrarie, di recente rafforzati dalle necessità di tutela connessa al dossier Unesco.
E sono arrivati anche i primi contenziosi, avanti al Giudice civile e amministrativo. Rari entrambi, invero: sarà anche che in campagna siamo lontani dallo spirito litigioso di cui alle goldoniane baruffe lagunari.
Darò qui atto delle questioni di-viti/e (significativamente evocative del termine latino divitiae, ricchezze) che hanno condotto a sentenza, riguardanti per lo più l’area pedemontana mediana del pievigino, territorio connotato da politiche ambientali significative, quasi in continuità con l’ambientalismo ante litteram di Andrea Zanzotto, Poeta del Paesaggio.
Riferisco quindi di 2 contenziosi decisi dal Giudice Civile ai sensi della L. n. 689/1981, ovvero su ricorsi in opposizione alle ordinanze-ingiunzione emesse dalle autorità amministrative competenti.
In entrambi i casi determinanti sono state le segnalazioni alla Polizia municipale del privato residente, confinante col vigneto, che ha denunciato in un caso il mancato rispetto del filare di viti (cd. sesto d’impianto) dalle distanze minime di 3 mt. dalla strada pubblica previste dal Codice della Strada, nell’altro, i trattamenti di fitofarmaci con atomizzatore sul medesimo vigneto dalla strada pubblica, in modalità vietata dal Regolamento di Polizia rurale vigente nel Comune.
Partendo dal secondo caso, il contenzioso è sorto in seguito all’opposizione del viticoltore sanzionato all’ordinanza- ingiunzione emessa ai sensi dell’art. 22 e ss. L. n. 689/1981, a causa del mancato pagamento della sanzione amministrativa.
La tesi difensiva del ricorrente enfatizzava la provenienza privata dei documenti sui quali si era fondato l’avviso di accertamento e l’alterabilità del materiale fotografico e video di provenienza privata, che ritraevano la tipica nuvola di veleni sollevata dal trattore in azione, ritenendo illegittimo l’accertamento compiuto sulla base di fotografie rammostrate dai vicini, in asserita violazione dell’art. 13 della L. n. 689/ 1981 che attribuisce il potere accertativo solo alla Polizia Locale, alla Polizia Giudiziaria e alle ULSS competenti per territorio.
Sia il Giudice di Pace che il Tribunale hanno invece convalidato l’operato dell’Ente comunale ritenendo che la segnalazione privata abbia dato impulso all’accertamento dell’illecito, senza però interferire con l’esercizio del potere accertativo della Polizia Locale, che in via autonoma aveva compiuto l’istruttoria necessaria, compresa l’acquisizione delle fotografie scattate dalla vicina di casa di cui aveva verificato l’autenticità.
Per i giudicanti la fase istruttoria è quindi suscettibile di essere condotta dagli agenti con l’ausilio di materiale fotografico e video prodotti dai vicini segnalanti, se verificati entrambi nell’immediatezza dei fatti.
Rispetto alle modalità esecutive dell’accertamento, l’art. 13 della L. n. 689/1981 vieta espressamente le ispezioni nei luoghi di privata dimora, intesa dalla giurisprudenza di legittimità, come “qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente all’esplicazione della vita privata o di attività lavorative e quindi qualunque sito, anche se diverso dalla casa di abitazione in cui la persona si soffermi per compiere, pur se in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata riconducibili al lavoro, al commercio, allo studio, allo svago”: in tale contesto i Giudici hanno precisato che tra i luoghi di privata dimora vada senza dubbio ricompreso anche un vigneto, evidenziando tuttavia come nel caso di specie l’ispezione non fosse stata condotta sul vigneto e fosse quindi legittimamente compiuta.
Quanto al secondo caso, esso nasceva sempre dalle contestazioni verbalizzate dalla Polizia Municipale, ma non già per la violazione del Regolamento di Polizia rurale, quanto piuttosto del Regolamento del Codice della strada, in quanto fonte deputata a regolamentare le distanze minime delle piantagioni dal sedime stradale.
La norma in contestazione risultava quella dell’art. 26, co. 9, del Regolamento di esecuzione del Codice della Strada, secondo cui “le prescrizioni contenute nei commi 1 e 8 – che stabiliscono una distanza dal confine stradale di 3 mt fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare lateralmente alle strade siepi vive o piantagioni di altezza superiore ad 1 metro sul terreno- non si applicano alle opere e colture preesistenti”.
In tal caso la prova per testi ha suffragato le evidenze documentali agli atti del Comune, dimostrando che il filare piantumato a mezzo metro dal sedime stradale non risultava preesistente al 1992, data di entrata in vigore della norma. Il ricorrente è stato condannato in doppio grado, e richiesto quindi di espiantare il filare fronte strada. Pur di non perdere le divitiae delle viti propose ricorso in Cassazione, che è ancora pendente.
Anche a Roma, sia in terzo grado civile, sia per un diverso profilo in appello al Consiglio di Stato su sentenza del Tar Veneto, si conoscono quindi ormai i contenziosi del Prosecco.
Ma vediamo ora di riportare l’articolato che interessa per aver stabilito il divieto di trattamento con atomizzatore dalla strada pubblica: si tratta dell’art. 9 del Regolamento intercomunale di polizia rurale- stralcio sulla gestione e sull’uso dei prodotti fitosanitari dei Comuni della d.o.c.g. Conegliano-Valdobbiadene -Prosecco Superiore, vigente dall’11 aprile 2014 (e recentemente modificato), adottato in modo pressoché uniforme dai Comuni dell’area candidata al riconoscimento Unesco, che al punto 14 prevede espressamente il divieto di eseguire trattamenti da strade di uso pubblico, fatti salvi i trattamenti di igiene pubblica.
Più in generale si regolamenta in tale articolo l’“Esecuzione dei trattamenti con prodotti fitosanitari e loro coadiuvanti e adozione delle tecniche di difesa integrata e biologica”, versione aggiornata insomma della letteratura tecnica sorta già con i pragmatici romani.
Partendo dal richiamo, presente in premessa, dei “principi generali della difesa integrata obbligatoria quali l’applicazione di tecniche di prevenzione e monitoraggio delle infestazioni e infezioni, dell’utilizzo di mezzi biologici di controllo dei parassiti e del ricorso a pratiche di coltivazione appropriate nonché di uso di Prodotti Fitosanitari che presentino il minor rischio per la salute umana e per l’ambiente”, si stabilisce che l’utilizzo dei PF sia riservato a personale qualificato, munito di certificato di abilitazione all’acquisto e all’utilizzo di PF, e che in virtù dei principi generali di precauzione, riduzione dei rischi per la salute umana e salvaguardia ambientale, i prodotti fitosanitari devono essere impiegati nella misura strettamente necessaria allo scopo prefisso, nell’assoluto rispetto della normativa comunitaria, nazionale e locale vigente, e comunque in scrupolosa ottemperanza alle modalità descritte in etichetta e nella scheda di sicurezza del prodotto.
Le norme più interessanti nell’ottica di tutela dei vicini sono:
- la previsione che sia fatto obbligo (in alcune versioni “fortemente raccomandato”) di avvisare i vicini confinanti prima del trattamento quando abbiano chiesto di esserne informati, con le modalità concordate tra le parti,
- il divieto di trattare con prodotti fitosanitari e loro coadiuvanti in presenza di vento che abbia una intensità tale da provocare la deriva della miscela, e la conseguente contaminazione di altre colture o aree non interessate al trattamento, e da non consentire un trattamento efficace,
- il divieto di trattamento di fitosanitari con qualsiasi attrezzatura (valido anche per l’utilizzo di diserbanti) nei 5 metri dalle pertinenze di edifici di civile abitazione, dalle aree particolarmente sensibili e dai corsi d’acqua superficiali, sorgenti di acqua non potabile, specchi lacustri.
E rispetto al turista che si trovi a transitare in primavera in un percorso viticolo suscettibile di trattamento? Il Regolamento stabilisce che durante l’erogazione delle miscele in prossimità di linee ferroviarie, strade ad uso pubblico, incluse piste ciclabili, marciapiedi e parcheggi, è obbligatorio accertarsi dell’eventuale passaggio di mezzi, ciclisti, pedoni e adottare tutti gli accorgimenti utili per non contaminare le persone e/o i mezzi in transito, fermo restando il rispetto della distanza di irrorazione consentita in funzione dell’attrezzatura utilizzata.
Il vino protagonista di celebri avvenimenti biblici, dall’antichità potentissimo simbolo religioso – dai sacrificia pagani al Sacro graal dell’ultima cena, a quello delle messe degli ordini monastici- non può essere prodotto oggi in spregio alla salute altrui, e le normative regolamentari citate attestano un’attenzione in tal senso.
L’eventuale filare posto a confine della strada dovrebbe ad esempio essere trattato dall’esterno verso l’interno con lancia a mano a bassa pressione. Tuttavia non è il Regolamento di Polizia Rurale a stabilire a quali distanze da zone di servizi F o siti sensibili possono essere piantumati i nuovi vigneti, trattandosi di una questione urbanistica che alcuni Comuni hanno disciplinato con varianti ai Piani degli Interventi.
Qualora la distanza minima imposta per i nuovi impianti sia tale da sacrificare una parte significativa della produzione vitivinicola si pone naturalmente il problema di contemperare l’esigenza di tutela della salute e della biodiversità da un lato -alla base delle scelte comunali anche restrittive- con quella della libertà di iniziativa economica degli imprenditori agricoli: si tratta di questioni concrete, sollevate da recenti ricorsi al TAR Veneto, che attendono di essere decisi.
Se su questi temi si dovranno esprimere i Giudici in un prossimo futuro, pare interessante e curioso ricordare che già in epoca romana imperiale la viticoltura era diventata così intensiva da ridurre altre coltivazioni, ad esempio di cereali, tanto che, secondo quanto riferisce Svetonio nel De vita Caesarum, Domiziano nel 92 si determinò a vietare la costituzione di nuovi vigneti e ad imporre lo spiantamento della metà delle vigne esistenti nelle “provinciae” romane.
Ma sono le colline ad emme (quelle descritte graficamente dai versi del famoso zanzottiano “mai mancante neve di metà maggio” – MMNMM) e il loro richiamo alla Bellezza del loro Paesaggio a farmi chiudere.
Un contenzioso deciso dal Tar Veneto sez. II (sentenza n. 1059/2017) ha accolto le tesi dell’Amministrazione Comunale di seguito al ricorso contro un rigetto di compatibilità paesaggistica sul sesto d’impianto a ritocchino. Con la Soprintendenza era stato evidenziato che il paesaggio collinare candidato al riconoscimento Unesco è connotato dalla tecnica di girappoggio, in cui la disposizione dei filari segue le curve di livello e il ripiano dei terrazzamenti, mantenuti in una condizione sostanzialmente pianeggiante e con andamento curvilineo col profilo del pendio. Si tratta cioè di impianto che dal punto di vista idrogeologico ha il vantaggio di consentire che l’acqua piovana scenda dal pendio in modo rallentato e uniforme senza il rischio di concentrarsi in punti particolari, e che dal punto di vista paesaggistico determina un paesaggio dalle figure morbide, che seguono i livelli di pendenza e la morfologia dei terreni. Se l’alterazione dell’assetto idrogeologico a seguito della modifica del sesto d’impianto del vigneto da “girappoggio” a ritocchino ( che imposta i filari lungo la linea di massima pendenza del versante, creando figure rigide uniformi e ortogonali) è per il Tar indubbia (giusta anche i riconoscimenti in tal senso svolti dal proprietario del vigneto nelle proprie relazioni tecniche di accompagnamento alle istanze edilizie), il Giudice Amministrativo ha altresì ritenuto di valorizzare la bozza di articolato unico dei Comuni dell’area candidata Unesco, e riguardante proprio le sistemazioni agrarie, il regime delle acque e quello di tutela delle strade.
Si tratta di un lavoro in fase di rifinitura proprio in questi giorni in sede di tavolo tecnico intercomunale, nell’ottica di una tutela uniforme del territorio.
Insomma, “Finché c’è Prosecco c’è speranza”, se oltre all’abbondanza per i viticoltori porterà al riconoscimento della Bellezza nel rispetto della salute, quindi ad un turismo sostenibile.
E chiudo, dulcis in fundo, con l’immagine poetica dei Sumeri di Gilgameš (3° millennio a.C.!), che per primi lasciarono una testimonianza scritta sul vino: “vive presso il mare la donna della vigna, colei che fa il vino; Siduri siede nel giardino sulla riva del mare con la coppa d’oro e i tini d’oro che gli Dei le diedero“.
La donna, il giardino, il mare, la coppa d’oro e il vino: ovvero la ricerca dell’immortalità.
Buone Feste, Prosit!
Rossella Tramet