Non so se sia l’età che, avanzando, mina la mia pazienza (di cui pure ritenevo d’essere sufficientemente munito) o se, invece, le amministrazioni nostrane vadano facendo e dicendo le cose più incredibili, inanellando perle di straordinaria stravaganza.
Fatto sta che quest’anno – per la prima volta, donde forse il mio stupore – mi sono un tantino dedicato alle faccende scolastiche delle mie figlie, la prima alle prese con la quarta ginnasio, la seconda con la terza media.
Ebbene, lo confesso, mi sono trovato proiettato in un universo parallelo, che merita qualche cenno.
Comincio con quello che va comunemente sotto il nome di “contributo volontario”, dalla cui locuzione dovrebbe invero, fuor d’ogni ipocrisia, essere espunto l’aggettivo: più che le poche decine di euro, ciò che disturba è la presa in giro. Se una gabella per l’accesso alla scuola pubblica ha da esservi, la si chiami col suo nome.
Proseguo con l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Chi per caso intendesse esonerare il proprio figlio dall’insegnamento della religione cattolica si troverebbe in un certo imbarazzo. Non tanto per la scelta in sé, ma per le modalità conseguenti alla scelta. Al riguardo, circola un modulo prestampato (che allego per comodità del lettore), consistente in due facciate. La prima reca l’autorizzazione del genitore a che il proprio figlio entri un’ora dopo (nel caso la lezione di religione venga tenuta alla prima ora); la seconda a che il proprio figlio esca un’ora prima (nel caso la lezione di religione venga tenuta all’ultima ora). Tali autorizzazioni legittimano, quindi, o l’ingresso ritardato o l’uscita anticipata, visto il consenso espresso dal genitore.
Nulla quaestio e ciò dovrebbe bastare. Ma non è così.
Vi è una seconda facciata prestampata, che reca una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, in base alla quale il genitore deve dichiarare – ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000, sotto la propria (penale) responsabilità – che (cito testualmente): (i) “la propria attività lavorativa si svolge dalle ore … alle ore …”; (ii) “non conosce altra persona maggiorenne disponibile ad assumersi il compito di ritirare da scuola il/la proprio/a figlio/a, come previsto dal regolamento d’istituto”; (iii) “il/la proprio/a figlio/a, pur minorenne, ha, a proprio parere, un grado di maturità tale da effettuare il percorso scuola-casa in sicurezza”; (iv) “il/la proprio/a figlio/a conosce il percorso scuola-casa per averlo più volte effettuato anche da solo”; (v) “tale percorso non manifesta profili di pericolosità particolare rispetto al tipo di strade e di relativo traffico”; (vi) “comunque il/la proprio/a figlio/a, durante il tragitto potrà essere da voi controllato tramite il telefono cellulare”; (vii) “in qualità di genitore si impegna a monitorare i tempi di percorrenza del percorso scuola-casa ed a comunicare alla scuola eventuali variazioni delle circostanze sopra descritte”.
Lascio a chi legge ogni commento, mi limito alla mera cronaca delle molteplici dichiarazioni, richieste in un crescendo rossiniano.
Vengo ai vaccini.
Tramite D.L. 7 giugno 2017, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2017, n. 119 lo Stato ha legiferato in tema di vaccini obbligatori, affermando l’obbligatorietà di determinati vaccini ed introducendo nell’ordinamento alcune misure di diretto interesse per i genitori con figli minori di sedici anni.
La Regione Veneto, dal canto suo, ha impugnato la norma in Corte Costituzionale; ha cercato di bloccarne l’efficacia per l’anno scolastico 2017/2018 con rimedi casalinghi, salvo poi cedere con fermezza; ha anche chiesto lumi al Consiglio di Stato, che con parere reso nell’Adunanza della Commissione speciale 20 settembre 2017 ha affermato l’immediata applicabilità della legge anche all’anno scolastico 2017/2018.
Ma non mi occuperò di profili di alto diritto. Mi occuperò delle conseguenze della norma per i genitori, i cui figli siano in regola con i vaccini, quindi nella piena osservanza degli obblighi di legge.
L’art. 3, comma 1, del D.L. n. 73/2017, come convertito, reca l’obbligo dei dirigenti scolastici di richiedere a tutti i genitori di presentare “idonea documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni” indicate come obbligatorie. Per l’anno scolastico 2017/2018 – ai sensi dell’art. 5 del D.L. n. 73/2017 – il termine di presentazione è fissato al 10 settembre per le scuole d’infanzia ed al 31 ottobre per le altre scuole. Termini che valgono per produrre l’autocertificazione (s’è visto che la scuola se ne ciba). Ma non basta: va data comunque prova delle intervenute vaccinazioni obbligatorie entro il 10 marzo 2018. Autocertificazione più certificazione, con buona pace di quella che dovrebbe essere la dichiarazione sostitutiva – appunto – di certificazione. Di qui una nuova fattispecie: in tema di vaccini è di fresco conio la dichiarazione temporaneamente sostitutiva di certificazione. Non vale più il principio statuito dall’art. 40, comma 01, del D.P.R. n. 445/2000, secondo cui “Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47”, per l’appunto sostitutive.
Se non si presentano le autocertificazioni e le certificazioni, che succede? Non si può accedere alle scuole d’infanzia. Nulla con riferimento ai successivi cicli scolastici; se non il fatto che il dirigente scolastico segnala la mancata presentazione della documentazione all’azienda sanitaria locale, che irrogherà una sanzione amministrativa (da cento a cinquecento euro) a chi non avesse fatto immunizzare i propri figli. La sanzione colpisce l’omessa vaccinazione, ma non la mancata produzione documentale, inadempimento sprovvisto di conseguenze, di talché – esclusa la scuola d’infanzia – chi avesse i figli vaccinati, ma non declinasse la relativa documentazione, non patirebbe alcunché.
Qualche annotazione.
La prima. Se la norma intende affermare l’obbligo dei vaccini, perché mai onera dell’obbligo di produzione – dapprima della dichiarazione, indi della documentazione a comprova – i soggetti in regola con la legge? Diversamente detto: chi è in regola con le vaccinazioni obbligatorie deve dimostrare di esserlo (e non basta neppure l’autocertificazione). C’è qualcosa che stona.
Forse era più semplice (ed anche più equo) costringere solo la nettissima minoranza di genitori a dichiarare di non essere in regola con l’obbligo di legge. Ma non è così: la conseguenza sarà un numero spropositato di dichiarazioni sostitutive di certificazione e di documentazione a comprova.
Oppure il silenzio, dei non vaccinati come dei vaccinati, tanto (salvo le scuole d’infanzia) la conseguenza è la trasmissione della lista dei silenti all’azienda sanitaria locale per il seguito di competenza, ossia la sanzione amministrativa nel solo caso dei non vaccinati.
La seconda. Esiste – non da ieri – un sacrosanto principio normativo, che suona più o meno così: l’amministrazione non può richiedere al cittadino documenti o informazioni in possesso di altre amministrazioni, ma deve reperirle mediante accesso diretto alle amministrazioni, che li detengono (al riguardo, si vedano l’art. 18 della L. n. 241/1990 e l’art. 43 del D.P.R. n. 445/2000). Principio di civiltà giuridica, che mi illudeva circa l’effettività del principio di buona amministrazione scolpito nell’art. 97 della Costituzione. Fino al D.L. n. 73/2017. Semplice sarebbe per il genitore (ma anche per la scuola), se il dirigente scolastico inviasse l’elenco degli iscritti all’azienda sanitaria competente, affinché questa li restituisse con l’indicazione dei soggetti non vaccinati. Per il vero, tale modalità non è stata del tutta dimenticata dal nostro legislatore, posto che l’acquisizione diretta dei dati mediante richiesta del dirigente scolastico all’azienda sanitaria è prevista dall’art. 3-bis del D.L. n. 73/2017. Ma solo quale misura di semplificazione e solo a partire dall’anno scolastico 2019/2020 (salvo proroghe). Perché non da subito, ma tra due anni?
Terza considerazione: il paradosso. Il principio dovrebbe essere l’obbligatorietà di determinati vaccini, “al fine di assicurare la tutela della salute pubblica e il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale”, come recita l’art. 1, comma 1, del D.L. n. 73/2017. Ma, nei fatti, la norma introduce un divieto (di accesso alle scuole di infanzia per i non vaccinati); una sanzione amministrativa (pure d’importo limitato) per chi non fosse in regola; tanta carta da compilare tra dichiarazioni temporaneamente sostitutive e certificazioni. Ma nessun strumento di coercizione, che obblighi effettivamente i dissenzienti alle vaccinazioni obbligatorie: pagata la sanzione amministrativa i non vaccinati continuano a non essere immunizzati, al massimo non sarà dato loro accesso alla scuola d’infanzia e saranno convocati (nulla accade se non si presentano) dall’azienda sanitaria per un colloquio informativo sulle vaccinazioni e per sollecitarne l’effettuazione. Insomma, un buffetto, che non assicura il perseguimento della finalità della legge, ma che per converso onera, da un lato, i genitori dei figli in regola con gli obblighi normativi a farsi carico di incombenti inutili e senza senso, dall’altro, la scuola a governare un importante flusso di dichiarazioni e certificazioni.
Una sintesi sui vaccini: tanto rumore per nulla. Dichiarazioni, comprova delle dichiarazioni, sanzioni amministrative, ma chi non è in regola con l’obbligo dei vaccini non viene costretto in alcun modo alla vaccinazione, che ci dicono essere obbligatoria. Al più non potrà entrare nella scuola d’infanzia, che peraltro non è obbligatoria.
Una sintesi complessiva: il mondo della scuola offre solo una delle tante prospettive, da cui si può osservare la nostra amministrazione e, più in generale, il nostro ordinamento, orfani entrambi del buon senso e che sempre più trattano il cittadino come suddito e non come sovrano, quale dovrebbe essere.
Al cittadino – specie al giurista – il diritto ed il dovere di richiamare al buon senso e di riconquistare la propria sovranità, unitamente al rispetto.
Alessandro Veronese