Siamo reduci da un referendum che rivendica al Veneto maggior autonomia per realizzare l’autogoverno del suo popolo “in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”, recita l’art. 2 dello Statuto. Maggior autonomia non come “sete di potere”, ma come “ritorno alle origini”. Va appena rilevato che il richiamo all’identità del popolo della Regione è unico tra le quindici Regioni “a Statuto ordinario”, il che – possiamo dire – faccia del Veneto una Regione “quasi speciale”.
1. Proprio in tema di “risparmio dei suoli” c’è un precedente specifico di straordinaria aderenza al problema che la legge regionale del giugno 2017 vorrebbe risolvere, di risparmiare il terreno produttivo agricolo preservandolo dalla cementizzazione: è la legge (allora si diceva parte) del Senato della Repubblica Serenissima 10 ottobre 1556, di creazione di un vero Dicastero (o Assessorato) all’Agricoltura: il Provveditorato ai Beni Inculti.
Vennero nominati tre Componenti del Senato con ampia facoltà di officiare Tecnici specialisti di materia con obbligo di recarsi sul posto rimanendovi un anno continuo, per studiare la situazione e individuare i possibili interventi, sia programmatici che specifici e locali. La nomina comportava obbligo d’immediata accettazione e messa all’opera, con termini precisi per l’esecuzione: venti giorni per un primo parere di massima; quindici giorni di sopralluogo sito per sito, ed entro l’anno il progetto completo per l’intero Veneto, sotto pena di 500 ducati di multa (un ducato circa duemila euro d’oggi).
Allora troppi boschi e acquitrini; ora troppo cemento.Oggi la fase diagnostica dei troppi mali è fin troppo facile: basta andare per Veneto -città come campagna; pianura come montagna- per rendersi conto che siamo caduti nel regno dei due infami cugini, i signori “Affittàsi” e “Vendèsi”: tutto loro! Quello che stringe il cuore sono le fabbriche abbandonate e in rovina: cadaveri putrescenti che degradano il paesaggio, brutalizzandolo.
Colpa della crisi, certo; ma innegabile colpa anche d’un’urbanistica impazzita: il cemento produce oneri d’urbanizzazione; che poi la fabbrica funzioni è affar loro!
Quando una ditta commerciale protesta centinaia di cambiali la si fa fallire e giustamente: significa che ha una governance inadeguata. Dopo le migliaia di scempi urbanistici, va tolta ai Comuni la funzione della programmazione urbanistica: hanno fatto abbastanza guasti!
Ed ecco il Referendum e il diritto del popolo veneto (e non dei suoi più o meno sprovveduti amministratori) ad un “autogoverno in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”.
Tornare alla storia gloriosa del potere locale della Serenissima Repubblica di Venezia!
Nessuna remora di carattere costituzionale, perché l’art. 117.2, lett. g, Cost. riserva alla legislazione esclusiva statale “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, mentre il riordino del “potere locale”, anche con radicale sovvertimento dell’assetto attuale, è pienamente giustificato dal richiamo alle “caratteristiche e tradizioni della storia” del popolo veneto, come subito si va a dimostrare.
2. Il quadro d’azione
a) Il tratto caratteristico della struttura territoriale dell’attuale Veneto è il c.d. policentrismo, già bene evidenziato nella premessa del PTRC della L. r. 61/1985 (pp. 19/20), che individua 5 poli regionali; 4 poli urbani intermedi; 8 poli urbani locali di prima classe; 9 poli urbani locali di seconda classe; 25 poli urbani locali di terza classe; 8 centri suburbani di supporto agricolo.
Con una connotazione ben caratterizzata del concetto di contado, che in Veneto è lo spazio “non urbano”, quello che sta fuori del centro abitato a cui accede; concetto relativo, perché per i “poli regionali” contado è l’intera Regione; per i “poli urbani” sia “intermedi” che “locali” contado è tutto il “fuori mura”, di cui molti sono tuttora cinti e via degradando di polo in polo. Di solito con una forte connotazione “paesana” sia “urbana” dell’intero centro abitato, sia rionale per suoi singoli quartieri.
b) Muovendo per praticità espositiva dall’avvento del Dominio di Terra Ferma (la prima Dedizione a Venezia fu della Spettabile Reggenza dei 7 Comuni, 20 febbraio 1404 m.v., quindi 1405), e limitando l’analisi ai quattro secoli della ”Dominazione” (1405-1797), s’osserva come essa ha ingessato la situazione precedente, individuando ambiti territoriali ben marcati, denominati Terre (grosso corrispondenti alle attuali Province), al cui interno vennero individuati ambiti territoriali minori (circondari), caratterizzati da una certa omogeneità sia territoriale che economico – demografica, eretti in Vicariati (la circoscrizione territoriale di media area, poi, col Concilio di Trento, copiata dalla Chiesa Cattolica), con un Vicario di nomina “provinciale” (della Terra), salvo che -per particolari meriti di dedizione nel ”biennio d’oro”- non fosse stata sede di Podestaria, retta da un Nobile veneziano, il che era connotato dalla presenza del Leone marciano sulla colonna nella piazza principale. All’interno dei Vicariati e per attuarne le determinazioni di governo operavano i Comuni, allora chiamati ufficialmente Ville.
Un tratto caratterizzante e connotante la vita del territorio -fattore determinante della coesione territoriale- fu il sistema fiscale. Obbligata al pagamento dell’imposta di dedizione era la Terra nel suo complesso e l’ammontare dovuto era determinato dalla “legge finanziaria”, che anno per anno veniva approvata dal Senato. La Camera fiscale di ogni Terra determinava il carato che ogni Vicariato doveva versarle da trasmettere alla Dominante. Ogni Vicariato aveva la “caratura di Villa”, l’ammontare delle imposte erariali che ogni Villa doveva versare alla Camera fiscale della Terra. L’esazione delle imposte era funzione spettante alla Villa, retta da un proprio consiglio elettivo, presieduto dal Degan, mentre il responsabile finanziario della Villa era il Massaro. L’imposta era determinata sulla base del catastico, tenuto da Degan e Massaro. La tenuta dei catastici di Villa era spesso contrastata, anche se nei quattro secoli della Dominazione s’ebbe una sola rivolta armata, ad Arzignano nel 1631, definita con undici impiccagioni nella piazza principale.
Il periodo austriaco (1815-1871) generalmente mantenne le circoscrizioni veneziana salvo qualche accorpamento dei Vicariati più contigui. Il Regno d’Italia riordinò le Province, creando i Mandamenti, che non sempre rispettarono la confinazione veneziana, con una notevole concentrazione di funzioni sul territorio, compresa quella giurisdizionale con la creazione delle Preture Mandamentali.
Resta tuttora vivo e marcato il policentrismo sullo schema descritto nel PTRC.
3. Ipotesi di assetto
L’attuale Veneto, pur complessivamente connotato da notevole omogeneità, presenta notevole peculiarità locali sul piano socio-economico e produttivo, che consentono d’individuare tre macro-aree: ad oriente la PA(dova)TRE(viso)VE(nezia); od ovest la VI(cenza)VE(rona) RO(vigo); a nord la Montagna. Venezia-città “fa parte a se stessa”; non è certo la capitala esponenziale del Veneto; è una splendida portaerei ancorata lì come avrebbe potuto esserlo altrove con uguale solitaria funzione catalizzatrice.
L’individuazione delle macro-aree PATREVE e VIVERO deve portare a dimensionare talune funzioni di area vasta (si pensi alla disciplina del commercio o alla programmazione territoriale e delle infrastrutture viarie e/o di comunicazione). La loro individuazione dovrebbe portare a delle strutture amministrative e gestionali consortili, senza apparati propri.
Alla macro-area Montagna (tutta la Montagna veneta, dal Cansiglio al Garda) va dedicata attenzione particolare per arrestare la paurosa recessione in atto; particolare attenzione va dedicata alla valorizzazione dell’antico istituto delle Regole, strumento essenziale per il coinvolgimento diretto della gente. Radicale revisione dei Comuni, con valorizzazione delle Comunità di Vallata a elezione popolare diretta.
4. Il potere locale
Il primo e più radicale intervento di “venezianizzazione” del Veneto, col richiamo alle sue tradizioni storiche, è il riordino del “potere locale”, col ristabilimento e la valorizzazione del nostro policentrismo: ripristinare quel “ente di media area”, tanto caro al grande Benvenuti (che dello Statuto della Regione fu l’ispiratore e per larga parte il redattore), il Comprensorio (comunque lo si denomini: distretto, circondario, mandamento, o cos’altro), tanto sprovvedutamente abolito negli anni ottanta in ossequio al “partitocrazia” allora imperante. Eliminata ovviamente la c.d. “Area metropolitana”, null’altro che un ectoplasma, assolutamente estraneo alla stessa mentalità del Veneto.
L’ente di media area dovrà avere un’amministrazione ad elezione diretta e la titolarità di tutte le funzioni “territoriali” comunque afferenti alla gestione del suo territorio, armonizzandone lo sviluppo nell’ambito della macro-area d’appartenenza.
Il Comune attuale resta come gestore in loco delle funzioni “locali”, organizzate sul territorio dall’Ente di media area. Sarebbe così anche ovviato quanto di negativo deriva dalle gravi incongruenze dell’attuale confinazione dei Comuni, spesso al limite del grottesco.
Ivone Cacciavillani