Riparto giurisdizionale in tema di revoca dei contributi economici[1]
.I. Brevi cenni introduttivi: le giurisdizioni coinvolte.
La cognizione processuale in tema di revoca dei contributi pubblici è argomento assai complesso e dibattuto, sul quale si sono nel tempo espresse voci autorevoli e pure a volte discordanti[3]. Proprio per questo, occorre più che mai aver presenti alcuni punti fermi o, se si preferisce, degli assi cartesiani, che guidino nell’approfondimento della tutela giurisdizionale su atti che incidono su posizioni giuridiche consolidate del destinatario. Per introdursi al tema, infatti, occorre comprendere cosa possa dirsi un contributo e chi ne possa essere erogatore. Di conseguenza, si dovrebbe individuare la consistenza della posizione giuridica soggettiva del destinatario del provvedimento sia prima che dopo l’erogazione del beneficio. Infine, inquadrato giuridicamente l’atto di revoca, si potranno comprendere i rimedi in caso di revoca del contributo, a partire dal riparto di giurisdizione stesso sull’atto.
La giurisdizione sui provvedimenti di revoca si pone porre in termini di alternativa: o si adisce il giudice ordinario, o si chiede giustizia innanzi il T.A.R. Se si inquadra in questi termini il problema, è evidente che il punto focale di studio è il momento a partire dal quale dalla cognizione di un plesso (quello amministrativo) si passa a quella dell’altro (quello ordinario). La differenza cognitoria non è di poco momento: diverse sono le domande che si possono proporre, diverse le risposte che si possono così ottenere. Addirittura, pare potersi dire diversa perfino la realtà fattuale che emerge dal processo, posto che ogni giudice guarda alla realtà con “occhiali” suoi propri.
Ecco allora che diviene di capitale importanza per individuare lo snodo giurisdizionale comprendere cosa possa intendersi con il termine “contributo e cosa si intenda invece con la sua “revoca”.
.II. Segue. Sulla nozione di contributo
Già epidermicamente, il significato da attribuire alla parola “contributo” [4] parrebbe evidente: un aiuto economico garantito ad un beneficiario per le ragioni più varie (dallo start up di una società o azienda, alla ricostruzione di un immobile distrutto da fenomeni sismici o alluvionali). Ciò che conta, insomma, è che l’atto comporti un trasferimento di ricchezza -anche immateriale- o, per meglio dire, la costituzione o trasformazione di beni giuridici economicamente valutabili, tra due soggetti, almeno uno dei quali pubblico. Non è coessenziale invece il modus con cui avviene questo trasferimento, potendo essere una dazione diretta di danaro, uno sgravio contributivo, una sovvenzione condizionata o, addirittura, uno stesso provvedimento amministrativo[5].
Il primo e più importante richiamo a questa categoria di provvedimenti si trova probabilmente nella legge fondamentale del procedimento amministrativo, l. 7 agosto 1990, n. 241, il cui art. 12 annovera alla categoria la “concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere”, precisando poi che il relativo conferimento “a persone ed enti pubblici e privati … (deve essere) subordinat(o) [6] alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi”.
Ecco allora che ai fini della qualificazione in termini di contributo pubblico in senso stretto, ciò che conta non è l’an, il quantum o il quomodo, bensì il fine di utilità[7] sociale con cui verranno spese le somme: proprio per tale ragione estende un puntuale potere sindacatorio della Corte dei conti[8]. L’elemento qualificante pare quindi essere costituito dallo scopo perseguito dal beneficiario attraverso il quantum erogatogli, che deve giocoforza corrispondere in via – sia pure indiretta – a finalità di utilità sociale non meramente individuale[9]. In definitiva, il profilo teleologico è l’unico elemento che veramente può avere valenza definitoria per i contributi pubblici, connotandone un minimo comune denominatore. Di conseguenza la sovvenzione, materialmente, può estrinsecarsi nelle forme più diverse: si va dall’agevolazione creditizia rispetto alle condizioni di bancabilità dell’impresa o del progetto sul mercato, alla concessione in via diretta del danaro a fondo perduto per fare fronte a gravi situazioni di diseguaglianza socio-economica, financo alla previsione di sgravi contributivi per neoassunti o ragazze-madri. Ciascuna di queste formule di concessione di benefici economici porta con se diverse modalità di controllo –contestuale o successivo– sulla sua “spendita”: di qui la possibilità che vi siano diverse tipologie di provvedimenti attraverso cui l’’amministrazione “ripensa” il proprio operato.
.III. Segue. Sulla nozione di revoca.
Il nostro ordinamento conosce la nozione generale di revoca[10] del provvedimento amministrativo all’art. 21-quinquies della già ricordata legge n. 241/1990: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti …”.
La norma si applica con tutta evidenza pure alla revoca dei contributi economici, dettando tra l’altro una specifica disciplina per l’indennizzo spettante al privato che veda rescissa la propria posizione giuridica a seguito del ripensamento amministrativo. Tuttavia, come proprio l’indennizzo dimostra, l’aver consolidata una aspettativa sulla legittimità e stabilità dell’atto non è sufficiente a rendere intangibile l’assetto delle situazioni giuridiche soggettive rispetto ad un successivo ripensamento della P.A., nel protrarsi del tempo: per tale ragione la riedizione del potere è ampiamente discrezionale e deve essere compendiata in un adeguato supporto istruttorio. Ecco allora che può esservi anzitutto una revoca dovuta res melius perpensa, ovverosia basata sulla volontà di imprimere un diverso assetto agli interessi soggettivi coinvolti a monte ed a valle del provvedimento[11], oppure ancora sia dovuta dall’emergere di aberrazioni istruttorie non prima evidenziate, e che potremmo chiamare “revoca ripensamento”[12]. D’altro canto, però, potrebbe esservi pure un altro tipo di revoca – statisticamente assai maggioritaria – che potremmo chiamare di “revoca controllo”, che viene esitata allorquando le verifiche eseguite dalla P.A. sull’utilizzo dei fondi concessi diano esito negativo.
Le tipologie di provvedimento delle quali si è proposta una sommaria suddivisione, non mutano il risultato finale, posto che in tutti casi il contributo viene meno, tendenzialmente in via retroattiva e in deroga alla struttura dell’istituto come ex nunc. Nondimeno, la “revoca ripensamento” non potrà basarsi su di un mero accertamento fattuale come avviene per il controllo, ma dovrà articolare puntualmente le ragioni che hanno indotto in allora la P.A. ad erogare le somme per poi confutarle allo stato attuale dei fatti[13]. E, qualora le ragioni di inopportunità dell’atto fossero presenti già al momento della relativa emanazione, l’impianto motivo del provvedimento di ritiro dovrà essere ancor più severamente strutturato. Si ottiene così quasi un climax motivo nei provvedimenti all’esame.
.IV. Petitum sostanziale e riparto di giurisdizione.
Avendo individuato quelle che potrebbero essere due diverse fisionomie che il provvedimento di revoca può assumere, occorre spostare ora l’attenzione sul giudice competente alla cognizione lungo l’arco del procedimento che dalla domanda del privato passa per la concessione del contributo e termina nella sua eventuale revoca.
In apicibus, pare evidente che, quantomeno all’inizio, non si potrà negare al T.A.R. l’agnizione degli atti prodromici l’erogazione del contributo: si tratta sino a quel momento di un procedimento amministrativo propriamente inteso. Il punto di rottura della continuità giurisdizionale viene allora convenzionalmente individuato nella giurisprudenza con il momento in cui si stila la graduatoria dei beneficiari: dopo tale istante il giudice amministrativo vede estinta la propria competenza in favore del plesso ordinario.
È tuttavia evidente che il scambio giurisdizionale non è dovuto da un dato di fatto, ma dalla mutazione della situazione sostanziale del beneficiario, che vede consolidarsi il proprio interesse legittimo attraverso il provvedimento. I problemi sorgono pertanto quando si viene a tangere e quella posizione di diritto consolidata. Secondo una tesi, si potrebbe, infatti, sostenere che la revoca, essendo atto di supremazia che comprime il “diritto” alla sovvenzione non possa che esser emanato da un ente che si pone ad un livello superiore rispetto al cittadino, sul quale esercita così un potere di eterodisciplina. E ciò a prescindere da qualsivoglia previsione para-contrattuale esistente tra le parti. Donde l’atto di supremazia non potrebbe che essere sempre soppesato dal T.A.R., quale unico giudice nell’amministrazione e non dell’amministrazione[14]. Solo il G.A., in tale ottica, può valutare l’esercizio del potere amministrativo di fare tabula rasa del proprio atto.
Non si deve tuttavia dimenticare che il futuro beneficiario, all’atto di stendere la richiesta di contributo, si sottomette consapevolmente ed in toto alla disciplina che la P.A. vorrà impartire. E se, tra le clausole vi è previsto il potere di revoca da parte dell’amministrazione, allora il cittadino dovrà sottostare alla volontà pubblica per propria consapevole scelta. Non pare, infatti, che tutti gli atti di revoca siano ascrivibili all’esercizio di una potestas (recte della possibilità di agire in autotutela), specie tenendo conto del fatto che nella maggior parte dei casi i contributi vengono revocati non per ragioni di pubblico interesse, bensì per violazioni o inadempienze del beneficiario.
Per di più, pure nel caso dell’erogazione dei contributi economici il principio di inesauribilità dell’azione amministrativa non precluderà mai del tutto alla P.A. da agire sugli atti a monte o a valle del contributo qualora fossero inopportuni e/o illegittimi, sussistendone i presupposti.
In sintesi, la natura pubblicistica del soggetto erogante è indicativa, ma non sufficiente per l’individuazione del giudice competente. Così come è indicativo, ma non sufficiente, il nomen iuris assunto dal provvedimento di revoca, che dovrà invece essere soppesato caso per caso.
Come da tempo noto, il sistema di giustizia amministrativa ripartisce, infatti, le controversie sulla base del c.d. petitum sostanziale. Il giudice viene pertanto individuato sulla base della natura della situazione giuridica belata in giudizio[15]. Nessun rilievo ha pertanto oramai la veste giudica assunta dal soggetto che elargisca il contributo poiché in ogni caso ove questo risulti ammantato di pubblica autorità[16], i relativi atti sono soggetti al sindacato amministrativo. Donde, come visto, il problema sotteso al riparto di giurisdizione in tema di revoca dei contributi, non concerne la soggettività del soggetto erogante, bensì la condizione giuridica soggettiva del beneficiario alla luce della qualificazione giuridica data al provvedimento di revoca.
.V. La posizione della giurisprudenza dominante
La recente ordinanza del Tribunale di Trieste[17] di remissione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione pare consapevole che trattare del riparto di giurisdizione in tema di revoca di contributi economici equivalga ad analizzare il tipo di potere esercitato, a prescindere dal soggetto che lo eserciti,[18] ove afferma “irrilevante … l’indagine sulla natura di ente pubblico economico (come sostiene il ricorrente) o non economico (come ritiene il procuratore generale), perché, come è noto, lo svolgimento di attività imprenditoriale ha rilievo soltanto sulla disciplina applicabile alle relazioni intersoggettive, nelle quali si svolge la gestione del servizio, e che ricadono nel dominio del diritto privato, fermo restando, anche per gli enti pubblici economici, che, nei rapporti interni, l’esercizio dei poteri autoritativi e di autoorganizzazione ha rilievo solo sul piano pubblicistico (v. da ultimo Cass. sez. unite n. 1243/2000 e 12654/1997) … pertanto, a fronte dell’esercizio di poteri autoritativi di organizzazione le situazioni giuridiche soggettive … (coinvolte) non possono che assumere consistenza di interessi legittimi. Per tale ragione deve ritenersi che correttamente i ricorrenti hanno adito il giudice amministrativo che ha giurisdizione generale di legittimità su tutte le controversie aventi ad oggetto situazioni soggettive di interesse legittimo”[19].
Appurato che ai fini del riparto giurisdizionale rilevi soltanto la situazione giuridica sostanziale dedotta in giudizio, il passo seguente del ragionamento consiste nell’individuare con precisione il momento in cui P.A. e cittadino vengono a trovarsi su livello paritetico; ovverosia individuare l’istante in cui quello che prima era un semplice interesse legittimo al contributo[20] si consolidi in un “diritto soggettivo”[21] tutelabile innanzi il giudice ordinario. Pare a tal fine utile intessere un parallelo con il caso è degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, ove si individua il discrimine giurisdizionale stipula del contratto tra imprenditore e P.A. Da quell’istante cessa la giurisdizione amministrativa, si passa ad un rapporto paritetico (seppur sui generis), e tutte le successive controversie saranno conosciute dal giudice ordinario, poiché appunto afferenti rapporti inter pares. Ed un tanto, si badi bene, pure qualora il contratto non sia stato ancora formalmente stipulato, ma si sia in fase di esecuzione anticipata d’urgenza[22]. Per meglio comprendere i termini della questione, pare allora utile ripercorrere per analogia della procedura seguita nell’assegnazione dei benefici economici. In buona sostanza, la P.A. dà il via ad una procedura concorsuale con la redazione di un bando per lo stanziamento di fondi da impiegare per le attività più varie (sempre tenendo a mente il necessario vincolo di pubblica utilità che debbono perseguire i progetti beneficiari, ad es. si potrebbero finanziare progetti innovativi per lo sfruttamento energetico ovvero favorire l’agricoltura biologica). Espletata la procedura[23], si redige una graduatoria ed assegna il contributo ai vincitori. In questo preciso momento si conclude la fase pubblicistica e si apre la fase civilistica che molto affanna i giuristi.
L’orientamento da ultimo consolidatosi innanzi la corte di Cassazione, recentemente scolpito nell’ordinanza delle Sezioni Unite del 5 agosto 2016, n. 16602, afferma la giurisdizione ordinaria “a) sia, in generale, quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge ed alla pubblica amministrazione è demandato solo il compito di verificare l’effettiva esistenza dei presupposti per la sua concessione, senza alcuno spazio discrezionale in ordine all’an, al quid ed al quomodo dell’erogazione, sia, in particolare, quando la revoca discenda dall’accertamento di un inadempimento (da parte del fruitore) delle condizioni stabilite in sede di erogazione o comunque dalla legge stessa, nonché nel caso di sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato. Sussiste invece giurisdizione amministrativa “in ordine alle controversie sulla revoca del contributo, quando occorra sindacare il corretto esercizio della ponderazione comparativa degli interessi in sede di attribuzione del beneficio o in relazione a mutamenti intervenuti e nel prosieguo e, quindi, quando il giudizio riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio oppure quando, successivamente alla concessione, l’atto sia stato annullato o revocato per illegittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario”.
Volendo, riassumere potremmo dire così:
- Con l’ammissione in graduatoria, muta la natura giuridica della posizione dei vincitori, che da legittima aspettativa diviene diritto al contributo;
- Il discrimine giurisdizionale in tema di revoca dei contributi pubblici è pertanto il provvedimento di immissione in graduatoria dei vincitori;
- Prima della proclamazione dei vincitori l’unico giudice che può conoscere degli atti del procedimento amministrativo è il T.A.R.;
- Dopo la proclamazione dei vincitori del contributo, il contenzioso è affidato al giudice ordinario, ma con significative deroghe concernenti le motivazioni e modalità di revoca del contributo;
- Qualora si faccia questione di illegittimità che inficino la fase della procedura anteriormente alla redazione delle graduatorie, la ponderazione dei pubblici interessi sottesi ovvero la rispondenza della intera procedura al pubblico interesse, il giudice competente potrebbe ancora essere il T.A.R.;
- In tutti gli altri casi di mera verifica di corrispondenza fattuale tra quanto fatto con i contributi e quanto prescritto da norme, regolamenti e provvedimenti, la cognizione appartiene al giudice ordinario.
.VI. Segue. I casi di revoca e i risvolti in punto giurisdizione.
Gli Ermellini affermano dunque che alla concessione del contributo, si giunga alla mutazione nella cognizione giurisdizionale: ciò avviene automaticamente. Si può tornare dal giudice amministrativo solamente quanto vi siano errori nella fase pregressa della procedura (illegittimità iniziale) o qualora si tratti di sindacare la ponderazione delle situazioni giuridiche collettive coinvolte.
Terminata, infatti, senza intoppi quella che potremmo definire una “fase amministrativa di erogazione”, inizia la “fase amministrativa di verifica-riscontro”, ove i pubblici uffici controllano che le somme erogate siano utilizzate con le modalità e per le finalità prescritte. Peraltro, il controllo potrebbe essere: unisussistente, attraverso il collaudo finale delle opere; progressivo con analisi periodica; ovvero financo in continuo. Si badi bene che la porzione del procedimento in parola è interamente vincolata dalla legge e dagli atti amministrativi precedenti: la P.A. non può esprimere alcuna valutazione in ordine ad an, quomodo, quando e quid, poiché si tratta di un semplice riscontro fattuale (per quanto magari tecnicamente complesso) rispetto a quanto previsto in astratto. Di qui la giustificazione della cognizione esclusiva da parte del giudice ordinario.
Vi sono tuttavia dei casi limite, non risoluibili in maniera così netta: il più importante è l’erogazione in via anticipata dei contributi rispetto alla realizzazione dell’opera finanziata ovvero al completamento della graduatoria. Non si deve dimenticare, infatti, che la Corte di Cassazione, in tema di pubblici appalti, incardina al plesso ordinario le vertenze sull’anticipata esecuzione dei lavori anche in assenza della stipula del contratto, sostenendo che si tratti già di un rapporto paritetico nel quale la P.A. ha dismesso la propria superiorità[24]. Donde, in caso di erogazione anticipata di della sovvenzione, ben si potrebbe sostenere la cognizione spetti al G.O., stante che la procedura competitiva è già stata espletata, ancorché non perfezionata in via definitiva.
Occorre pertanto fare ordine sulle tipologie di revoca che avvengono durante la “fase di monitoraggio”, ed all’esito delle verifiche. Paiono esservi, infatti, tre possibilità che necessitino la revoca del contributo:
- A) la concessione del beneficio si è basata su di una illegittimità del procedimento a monte (ad es. il beneficiario ha dichiarato il falso o non era eleggibile per il contributo o vi è stata una incompetenza amministrativa): in tal caso il contributo non avrebbe mai dovuto/potuto essere erogato (“revoca ripensamento”);
- B) il beneficio rebus sic stantibus poteva essere erogato, ma sopravvenienze di fatto ed inadempimenti del beneficiario (che ad esempio non ha ottenuto per tempo le autorizzazioni necessarie) hanno reso necessaria la revoca (“revoca controllo”);
- C) le caratteristiche previste quali requisiti indispensabili per ottenere il contributo vi erano al momento della concessione, ma sono venute meno per causa -anche- non imputabile al beneficiario o comunque per fatti non prevedibili (anche questo caso ascrivibile al novero della “revoca controllo”).
La distinzione dei possibili casi di revoca è di non poco momento, poiché solo nel primo caso, le condizioni – anche di opportunità amministrativa – non erano ab origine esistenti. Dunque, e qui aggiungiamo un ulteriore tassello al ragionamento che si va proponendo, pare che l’elemento distintivo nel riparto di giurisdizione sia non tanto l’istante in cui viene concesso il contributo, bensì il momento temporale di genesi del “vizio” che ha portato alla necessità di rimuovere il beneficio economico concesso. Anche la Corte di Cassazione dà, infatti, rilevanza alla tipologia di alterazione della procedura riscontrata definir ire il riparto giurisdizionale.
Pare, infatti, che se vi fosse un vizio originario, non si sia venuta a creare alcuna posizione di diritto, né consolidata alcuna aspettativa del beneficiario. Il tempo trascorso e la distrazione dell’amministratore, non possono creare posizioni giuridiche ascrivibili al novero dei diritti soggettivi se non quando ciò sia espressamente previsto dal legislatore (cfr. art. 20, l. n. 241/1990[25]). La soluzione che ci parrebbe suggerire il buon senso è allora la seguente: se le caratteristiche non c’erano ab origine, non può esservi diritto perfetto del privato a valle: la posizione del cittadino permane – non regredisce, ma anzi resta tale e quale – quella di legittima aspettativa. Sulla cui può agire la P.A. in autotutela rimuovendo dalla realtà l’apparenza di un diritto al contributo. In altri termini, proprio perché non vi è alcuna solidità nella situazione giuridica del beneficiario si può agire ancora con potestà amministrativa d’imperio. Di qui un provvedimento amministrativo in senso proprio e di secondo grado da vagliare innanzi il T.A.R.[26]
Ben diversa la questione nei casi B) e C): in tali eventualità i requisiti inizialmente vi erano –ed erano stati positivamente accertati– dunque è più facile sostenere che l’aspettativa del privato si trasformi in una sorta di “diritto soggettivo al contributo”[27] a seguito dell’immissione in graduatoria. Donde, sicuramente non si potrà procedere ad un autoannullamento di un provvedimento in allora perfettamente legittimo, ma si eserciteranno invece le sanzioni contrattuali cui il beneficiario si è assoggettato nel sottoscrivere la domanda di contributo. Il potere di etero determinare la situazione giuridica del cittadino non deriva più, infatti, da una potestà pubblicistica, bensì da un volontario atto di sottomissione. Come si intuisce, ci si trova innanzi ad un rapporto paritetico: la P.A. non può valutare nuovamente l’opportunità del contributo, ma è essa stessa autovincolata pure dai documenti di gara che ha prodotto (oltre che evidentemente dalle leggi che ha applicato).
.VII. Tutela del cittadino in caso di revoca.
Riassumiamo i passaggi logici della Suprema Corte: fino all’immissione in graduatoria il privato ha solo una legittima aspettativa di vedersi riconoscere un beneficio economico. Se ritiene vi siano atti lesivi nei propri confronti, adisca il T.A.R. che, anche grazie alla possibilità di sospendere rapidamente gli atti, gli consentirà una tutela effettiva. Successivamente all’immissione in graduatoria invece, quello stesso cittadino ha visto convertirsi l’aspettativa in qualcosa di più solido, forse in un “diritto” alle somme da erogarsi, donde dovrà rivolgersi al giudice dei diritti, quello ordinario. Il beneficiario, infatti, non è più in posizione di sottomissione rispetto alla P.A., ma si trova “alla pari” con la stessa, per l’autovincolo assunto da quest’ultima. Questo “diritto” può tuttavia ancora venire meno per un atto di revoca. E sulla base dei motivi della revoca si adirà il T.A.R. (illegittimità/contrarietà al pubblico interesse di carattere originario o attuale) o il G.O. (in tutti gli altri casi).
Ora, se nulla è stato ancora elargito al momento in cui è intervenuta la revoca è evidente che l’azione stesa dal soggetto che si assuma leso sarà quella di condanna al pagamento nei confronti della P.A.[28] Ma quali rimedi si possono invece invocare innanzi al Tribunale ordinario a fronte della richiesta di restituzione delle somme erogate e già incassate? Non certo una rapida sospensiva innanzi il T.A.R. (la cui giurisdizione rimane limitatissima). Forse allora si potrebbe agire il giudice ordinario chiedendo la sospensione interinale del provvedimento ex art. 700 c.p.c., ma con il fondato rischio di soverchiare le potestà amministrative con quelle giurisdizionali. Paradossalmente, allora, l’arma migliore del privato di fronte alla revoca è la stasi. Agendo in via paritetica (casi B) e C) sopra illustrati), la P.A. non ha un titolo immediato per la restituzione delle somme ex art. 21-ter della oramai più volte citata l. n. 241/1990 e dovrà passare per i canali ordinari onde farsi reintegrare di quanto sborsato (richiesta di decreto ingiuntivo e/o emissione di cartella esattoriale)[29]. Ed attraverso tali canali il cittadino “agendo in difesa” potrà far valere l’eventuale illegittimità patita, proprio in virtù della pariteticità del rapporto.
.VIII. Spunti conclusivi sui provvedimenti sospensivamente condizionati.
Ci si potrebbe invece domandare se i casi di cui stiamo trattando (che per semplicità si sono indicati con le lettere B e C) siano delle vere e proprie “sanzioni contrattuali” coniate per giustificare la giurisdizione civile. Dopotutto, stride all’orecchio in un giudizio inter pares non solo la possibilità di risolvesi unilateralmente dal vincolo da parte di uno dei contraenti, ma pure la potestà di infliggere sanzioni – quand’anche queste possibilità siano previste pattiziamente tra i soggetti coinvolti. Il privato si sottomette alla P.A. nel momento in cui presenta richiesta di contributo: o accetta tutte le condizioni in toto, o rinuncia. Si tratta, direbbero i civilisti, di una asimmetria di potere contrattuale[30], a fronte della quale il cittadino non ha scelta.
Pare allora che ci si trovi piuttosto innanzi ad una qual sorta di potere di controllo che spetta all’amministrazione sulle modalità di spesa dei fondi pubblici. In altri termini, le ipotesi di revoca dei contributi in questi casi sono null’altro che una mera verifica di adempimento delle obbligazioni gravanti sul beneficiario e dedotte nel progetto ammesso a contribuzione[31].
Ed, allora, perché non considerare il contributo pubblico quale atto amministrativo sospensivamente condizionato, laddove la condizione consiste nella completa realizzazione del progetto od obbiettivo per il quale viene richiesto l’aiuto della P.A.? In tal caso, ove il beneficiario non adempia alle regole lui impartite (anche per il sopravvenire di cause non imputabili) si attiverebbe la clausola in via retroattiva. Ed ecco che la situazione giuridica soggettiva del destinatario non si cristallizzerebbe, permanendo quale interesse tutelabile solamente innanzi il T.A.R. La possibilità che la posizione del beneficiario non si consolidi, d’altronde, è direttamente prevista nel provvedimento (recte nel titolo) di attribuzione del contributo e così il petitum sostanziale ritorna tal qual era prima dell’erogazione del contributo – recte non viene a mutarsi da tale posizione.
Non muterebbero in tal caso i poteri amministrativi nella fase di monitoraggio, posto che quest’ultima dovrebbe in ogni caso verificare la corrispondenza al vero di quanto affermato dal beneficiario in fase procedimentale nonché la corretta esecuzione di quanto beneficiato con l’erogazione. Ed, infatti, attenta dottrina ha affermato come “il controllo opera come vera e propria condizione sospensiva, esplicando i suoi effetti in modo retroattivo, ossia dal perfezionamento dell’atto”[32]. Pertanto, sotto il profilo delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte, il privato non maturerebbe un “pieno diritto” al contributo con il mero inserimento in graduatoria, bensì all’esito dell’espletamento positivo delle verifiche necessarie.
Nel frattempo, dunque, non ha un diritto soggettivo, non si pone in posizione paritetica con la P.A. e non potrebbe adire il giudice ordinario invocando giustizia sulla scorta delle disposizioni “contrattuali” cui la stessa amministrazione si sarebbe vincolata.
Prendendo in prestito una felice intuizione del professor Boscolo in tema di S.C.I.A., parrebbe allora che il beneficiario sub conditione maturi un “diritto soggettivo a regime amministrativo”[33], quale posizione giuridica ancora immatura ed imperfetta. Ed il giudice con la cognizione su tali posizioni, che ancora non costituiscono pieno diritto[34] innanzi la P.A., sarebbe il T.A.R.
Ecco così che si chiarirebbe con precisione il limite giurisdizionale sulla base delle effettive situazioni giuridiche coinvolte, a tutto vantaggio degli operatori economici e giuridici. Vi sarebbe infatti giurisdizione amministrativa sino a quando sia espletato l’ultimo controllo. Il G.O., d’altro canto, avrebbe cognizione successivamente. Con l’esistenza di un atto formale (collaudo dell’opera o altro), il discrimine avrebbe l’ulteriore pregio della visibilità esteriore, recte della prevedibilità.
Ed un tanto perché il contributo erogato dovrebbe qualificarsi come atto amministrativo condizionato: laddove la condizione è il completo raggiungimento degli obbiettivi prefissati dalla misura, laddove la necessità – recte l’interesse pubblico – alla revoca è stato valutato ex ante nel momento in cui il beneficio è stato considerato sovvenzionabile.
Traendo dunque le somme di queste poche righe, avremo due casi di revoca dei contributi: una prima categoria afferisce le revoche per ragioni ab origine esistenti, anche di opportunità della misura(A); una categoria (composta eventualmente di diversi sottotipi B) e C)), nella quale vi erano tutti i requisiti di legge e di fatto, ma il provvedimento amministrativo deve venire meno per fatto del beneficiario o, a volte, anche per fatto a questi non imputabile.
Nulla quaestio quanto alla prima categoria, in tali eventualità il giudice amministrativo è pacificamente dotato di potere cognitorio nella materia de qua.
Qualora invece la revoca avvenga per inadempimento, se si reputa che il contributo sia un provvedimento sospensivamente condizionato, anche nei casi B) e C) avrebbe cognizione il T.A.R. E ciò quand’anche il mancato raggiungimento degli obbiettivi prefissi nell’elargizione delle sovvenzioni sia stato dovuto al caso fortuito. Ovvio che in tali circostanze sarà questione delicata la richiesta di reintegro della parte del conquibus già versato, che dovrà essere adeguatamente soppesato e motivato. Non muta tuttavia il fatto che le somme, essendo di provenienza pubblica, sono soggette a vincolo di scopo e, pertanto, il mancato raggiungimento dello scopo non può che essere la prima e migliore sanzione di una P.A. o di un cittadino inefficienti.
In tempi come questi, pare fondamentale trovare soluzioni che semplifichino la vita tanto dei cittadini quanto degli operatori economici: unificare la giurisdizione in tema di contributi pubblici, prendendo un punto certo di demarcazione tra le diverse cognizioni coinvolte appare un auspicabile passo in questa direzione.
Giacomo Biasutti[2]
[1] Lo scritto riprende, anche nell’andamento discorsivo, la relazione tenuta al convegno Il potere pubblico e le imprese: l’effettività della tutela giurisdizionale in Italia, Germania e Polonia – Public power and enterprises. The effectiveness of jurisdiction in Germany, Poland and Italy, Trieste, 9 ottobre 2017, organizzato nell’ambito dei programmi di scambio della Rete Europea di Formazione Giudiziaria (EJTN – REFJ) dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia in collaborazione con il Dipartimento di Scienza Politiche e Sociali – DISPES e il Dipartimento di Scienze Giuridiche, del Linguaggio, dell’Interpretazione e della Traduzione – IUSLIT.
[2] Dottorando di ricerca in diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Sassari, Cultore di diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Avvocato e socio ordinario dell’Associazione Avvocati Amministrativisti del Friuli Venezia Giulia.
[3] Ad es. la pronuncia del T.A.R. per la Sicilia, Catania, sez. IV, 13 luglio 2015, n. 1946 è particolarmente attenta nel distinguere le diverse fasi procedimentali sulla base delle quali individuare il corretto riparto giurisdizionale sugli atti, richiamando, infatti, l’ammaestramento della Corte di Cassazione civile a Sezioni Unite, ordinanza 24 gennaio 2013, n. 1710 ed, ancor prima, 23 settembre 2010, n. 20076. Non si possono però dimenticare altre posizioni giurisprudenziali non del tutto simmetriche, come quelle esposte dal Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 luglio 2013, n. 17, ove pur distinguendo le fasi procedimentali, sembra lasciarsi maggior margine alla cognizione giurisdizionale del plesso amministrativo. In dottrina, innumerevoli gli Autori che si sono soffermati sul problema. Solo a scopo introduttivo R. Chieppa – R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2016, pag. 147 e ss.; G. Corso – G. Fares – F. Follieri – F. Jacinto – M. Trimarchi, Giustizia amministrativa. Casi di giurisprudenza, Torino, 2014, specie 27 e ss., nonché G. D’angelo, Appunti per lo studio del diritto amministrativo, Milano, 2015; G. Stella Richter, La giurisprudenza sul codice di procedura civile, I, Milano, 2010 pag. 178 e ss; M. Cafagno – F. Manganaro, L’intervento pubblico nell’economia, Firenze, 2016, in particolare pag. 242 e ss.
[4] Cfr. G. Corso, Lo Stato come dispensatore di beni. Criteri di distribuzione, tecniche giuridiche ed effetti, in Soc. dir., 1990. Significativa la disamina dell’Autore che individuava ben undici modi in cui lo stato poteva dirsi dispensatore di erogazioni economiche di vario genere e tipologia in favore di cittadini ed associazioni.
[5] Si pensi alla concessione in aumento di cubatura edificabile in cambio di esecuzione di opere di urbanizzazione da parte del proprietario del terreno con tecniche edilizie biocompatibili.
[6] La formula, si noti, è amplissima – forse addirittura omnicomprensiva. Ad esempio la P.A. nei tempi andati avrebbe potuto garantire un maggiore orario di apertura ad un pubblico esercizio in cambio dell’assunzione di oneri di nettezza della pubblica via da parte del privato beneficiato.
[7] Cfr. H. Caroli Casavola, Giustizia ed eguaglianza nella distribuzione dei benefici pubblici, Torino, 2004.
[8] Il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, stabilisce infatti all’art. 1: “La Corte dei conti ha giurisdizione nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all’erario e negli altri giudizi in materia di contabilità pubblica”. Ed il danno all’erario può esser causato pure dalla cattiva spesa del pubblico danaro concesso in sovvenzione a privati che poi non ne rispettino il vincolo di destinazione.
[9] Gli esempi sono svariati: vantaggi in termini di posti di lavoro acquisiti, di conservazione dei siti archeologici etc. Per V. Ottaviano, Considerazioni sugli enti pubblici strumentali, Padova, 1959, ora in Scritti giuridici, I, Milano, 1992, l’erogazione delle sovvenzioni deve essere invero ricondotta al principio di solidarietà che impernia e, secondo una più recente rielaborazione del tema, guida, l’azione amministrativa.
[10] Sul tema in diritto amministrativo generale, senza alcuna pretesa di esaustività, si rinvia la lettura a G. Corso, Autotutela (dir. amm.), in S. Cassese (a cura di), Dizionario d diritto pubblico, Milano, 2006, F. Benvenuti, voce Autotutela (dir. amm.) in Enc. dir. IV, Milano, 1959, A. Corapaci, voce Revoca e abrogazione del provvedimento amministrativo, in Dig. disc. Pubbl. XIII, Torino, F. Ghetti, voce, Annullamento d’ufficio dell’atto amministrativo, in Dig. sic. pubbl. Torino, 1997, F.G. Scoca, Un’ipotesi di autotutela amministrativa impropria, in Giuri. Cost. 2000, pag. 824 e ss., A. Contrieri – M. Immordino, L’omessa comunicazione di avvio del procedimento di revoca, in Foro amm. TAR, 2006, pag. 2783 e ss., M. Immordino – M.C. Cavallaro, voce Revoca del provvedimento amministrativo, in Diz. Dir. pubbl.
[11] L’equilibrio di situazioni giuridiche soggettive ben poteva però essere legittimo rebus sic stantibus. Anzi, l’assetto deve essere per forza legittimo, altrimenti la P.A. dovrebbe procedere in autoannullamento e non, invece, in revoca dell’atto.
[12] Particolarmente delicata la possibilità che si possa addivenire ad una revoca sulla base della rivalutazione dell’interesse pubblico originario in caso di erogazioni economiche, posto che tale eventualità è esclusa dall’art 21-quinquies citato. Nondimeno, la giurisprudenza tende a ritenere legittimi questi tipi di ripensamento qualora dovuti a sopravvenuta (o in allora non percepita) mancanza di fondi da erogare.
[13] Solitamente, la motivazione di questi atti è la sopravvenuta mancanza dei fondi necessari.
[14] Come ammoniva già S. Spaventa nel proprio discorso -mai pronunciato- di inaugurazione della IV sezione del Consiglio di Stato. Tale espressione è stata poi peraltro ribadita pure dalla Corte costituzionale nella famosa sentenza n. 204/2004.
[15] Per una panoramica sul vastissimo tema A. Zito, L’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2013, pag. 67 e ss e bibliografia ivi citata.
[16] Si pensi, ad esempio, ad una società di gestione autostradale.
[17] Pres. ed est. Arturo Picciotto, d.d. 26 luglio 2017 r.g. 154/2017.
[18] Si trattava in quella sede di dichiarare inefficaci alcune delibere assembleari.
[19] Si segnala inoltre l’ordinanza elle Sezioni Unite 10 ottobre 2002, n. 14475 ove si afferma l’inutilità della verifica sulla natura dell’ente, perché un suo eventuale svolgimento di attività imprenditoriale avrebbe rilevanza solo nella gestione del servizio e non nella qualificazione dei singoli atti. Assai più pericoloso, invece, è qualificare il soggetto erogatore non sulla scorta dei poteri esercitati, bensì sulla provenienza dei contributi elargiti: compito questo portato avanti puntualmente dalla Corte dei Conti e che involge, semmai, il diverso profilo della responsabilità erariale nell’erogazione/percezione indebita dei contributi, sulla quale si può solo fare accenno, ma che meriterebbe particolare attenzione specie per i risvolti economici nell’ambito del ciclo produttivo degli imprenditori.
[20] Che può sempre essere motivatamente rimosso dalla P.A. in esercizio dei propri poteri autoritativi.
[21] Si utilizza il virgolettato per i notevoli problemi che comporta la qualificazione delle situazioni giuridiche in casi come quelli in esame.
[22] Si segnala, tra le ultime la pronuncia delle Sezioni Unite Civili, 29 maggio 2017, n. 13454, nonché 31 maggio 2016, ordinanza n. 22368. Peraltro, in tali casi, si suole agganciare la giurisdizione civile all’aggiudicazione definitiva dell’incanto, quale atto che modifica la situazione giuridica soggettiva de destinatario.
[23] In questa fase non esiste revoca nel senso in cui la definiamo in questa trattazione, perché non essendo assegnato il contributo, nulla ha ancora da vantare il privato. Per tale ragione, fino all’emanazione della graduatoria, la P.A. può adoperarsi in revoca o in autoannullamento, sulla scorta dell’art. 21-quinquies e del 21-nonies, l. n. 241/1990 (seguendo dunque senza varianti le procedure afferenti gli atti amministrativi di secondo grado), ed il G.A. sarà l’unico giudice competente a conoscere di tali atti amministrativi.
[24] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 settembre 2016, n. 3865 secondo cui l’esecuzione in via d’urgenza anticipa gli effetti del rapporto paritetico; in termini T.A.R. Calabria, 4 maggio 2017, n. 425, nonché Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 31 maggio 2016, ordinanza n. 11368)
[25] In generale, cfr. F.G. Scoca – M. D’Orsogna, Silenzio, clamori e novità, in Dir. proc. amm. 1995, pag. 416 e ss., nonché V. Parisio, I silenzi della pubblica amministrazione. La rinuncia alla garanzia dell’atto scritto, Milano, 1996 e M. D’Orsogna – R. Lombardi, Il silenzio assenso, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011.
[26] E di qui pure la giurisdizione amministrativa qualora si faccia questione della revoca per illegittimità degli atti presupposti (id est commissario d’esame in conflitto di interesse ovvero prove svolte a porte chiuse etc.).
[27] Si usa consapevolmente la terminologia in maniera impropria.
[28] In base al riparto di cui si è detto, spiccherà azione innanzi il T.A.R. o innanzi il G.O.
[29] Ben vero che pure il Codice civile, all’art. 823, comma II, prevede “spett(i) all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice”. Tuttavia nel caso che ci occupa l’amministrazione agisce in via paritetica. Le potestà dunque, non possono essere invocate qualora si agisca a livello paritetico: la norma è inserita nel Codice civile ma riguarda poteri autoritativi, di converso, non tutto quanto risulti nel codice riguarda rapporti paritetici. Senza peraltro addentrarsi nella materia, giova pure rimarcare come per alcuni autori l’articolo altro non fosse che il riconoscimento di meri poteri di “polizia demaniale”; cfr. M Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano, 2004.
[30] Per G. Oppo, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ, VI, 2006, i contratti nascono e vivono nel mercato. Se non vi è possibilità di scelta da parte di uno dei contraenti non vi è nemmeno un mercato che giustifichi l’imposizione di clausole così severe. Utile invece la lettura di G. Rossi, Diritto e mercato, in Rivista delle Società, 1998, ove è posto l’accento sul fatto che la vincolatività del contratto possa essere misurata solo in relazione al concreto raggiungimento dello scopo del negozio.
Per vero, la disciplina dei contratti asimmetrici è stata sviluppata con maggiore profondità dal diritto civile nell’ambito della tutela del contraente debole, ossia il consumatore (cfr. P. Perlingeri, Nuovi profili del contratto, in Riv. crit. dir. priv., 2001, M. Nuzzo, Condizioni generali di contratto, in Dizionario di diritto privato, Milano, 1980, V. Roppo, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»), in Riv. dir. priv., 2007, A. Zoppini, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008). Anche in materia di contributi pubblici, nondimeno, vi è una forte asimmetria: il problema semmai è che non si rinvengono norme di specifica tutela del contraente debole. Proprio per questo appare oltremodo necessario costruire un sistema di tutela del legittimo interesse particolarmente strutturato ed in grado di recuperare quel deficit nella posizione di chi si interfacci con i pubblici poteri.
[31] Si è ben consapevoli della possibile obiezione che questo punto del discorso si potrebbe porre, ma sulla quale non ci si può intrattenere per questioni di spazio. Così opinando il cittadino non verrebbe mai a consolidare alcuna posizione, nemmeno al termine del procedimento, e permarrebbe sempre e soltanto in una posizione di mera aspettativa nei confronti della P.A. Ci si limita a sottolineare che non è affatto detto, in tal caso, che il privato abbia una tutela minore o più lenta rispetto a quella che conseguirebbe innanzi il giudice ordinario.
[32] M.R. Spasiano, Il regime dei provvedimenti. L’efficacia, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo pag. 307, cit.
[33] E. Boscolo, Diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art.19 della legge 241/1990 e altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001. Cfr. pure, sul tema Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 29 luglio 2011, n. 15. Da segnalare, inoltre, che secondo una diversa prospettiva, potrebbe pure parlarsi di un “diritto soggettivo potenziale”, come fa invece L. Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo. Autonomia ricognitiva, denuncia sostitutiva e modi di produzione degli effetti, Padova, 1996. Il problema, nondimeno, non muta quanto alla soluzione in unto di giurisdizione che si vorrebbe proporre.
[34] O che, quantomeno, concretano situazioni nelle quali diritti soggettivi ed interessi legittimi uniti da un inestricabile nodo gordiano Cfr. Corte costituzionale, n. 204/2004.