Sommario: § 1. Illustrazione dei contenuti della L.R. 23 dicembre 2019, n. 51: finalità, ambito oggettivo, contenuti e condizioni d’applicabilità; § 2. Titolo abilitativo e contributo di costruzione; § 3. Diritto intertemporale, Piano Casa ed attuazione della L.R. n. 51/2019 ad opera dei Comuni; § 4. Il rapporto derogatorio della L.R. n. 51/2019 rispetto al D.M. 5 luglio 1975; § 5. Il recupero dei sottotetti a fini abitativi consuma l’eventuale volumetria disponibile?
1. Illustrazione dei contenuti della L.R. 23 dicembre 2019, n. 51: finalità, ambito oggettivo, contenuti e condizioni d’applicabilità.
Tra le strenne natalizie del 2019 si conta anche la L.R. 23 dicembre 2019, n. 51, recante: “Nuove disposizioni per il recupero dei sottotetti a fini abitativi”. La norma è stata pubblicata sul B.U.R. 27 dicembre 2019, n. 150 ed è entrata in vigore il giorno 11 gennaio 2020.
I primi commenti “a caldo” oscillano – con piacevole ironia – tra il compiacimento[1] e la critica[2].
In effetti, se l’intento del legislatore regionale può essere commendevole, il provvedimento normativo in commento porta con sé molteplici dubbi interpretativi, che vanno affrontati.
Molti interrogativi sono stati già anticipati in vista di questa mattinata di confronto, a riprova della sussistenza di varie incertezze: il che aumenta la fatica e la responsabilità del giurista, chiamato ad offrire una lettura delle norme coerente e di buon senso.
Ciò cercherò di fare con queste note di prima interpretazione, iniziando con una sintetica illustrazione della L.R. n. 51/2019, che ha sostituito la L.R. n. 12/1999, espressamente abrogata dalla stessa novella in commento (art. 6).
L’art. 1 della L.R. n. 51/2019 reca le finalità della norma e la definizione di sottotetto.
Nel primo senso, l’obiettivo è quello di recuperare i sottotetti a fini abitativi, di riutilizzare i volumi esistenti, di valorizzare il patrimonio edilizio, di contenere il consumo di suolo (in continuità con il tema di Veneto 2050), di favorire l’adeguamento tecnologico ed il risparmio energetico. Il tutto nel rispetto delle caratteristiche tipologiche e morfologiche degli edifici e con l’osservanza delle disposizioni igienico-sanitarie inerenti alle condizioni di agibilità; per il vero, con alcune deroghe in materia igienico-sanitaria, come si vedrà.
Il sottotetto viene definito – in modo identico rispetto al previgente art. 1, comma 2, della L.R. n. 12/1999 – come “il volume sovrastante l’ultimo piano degli edifici destinati in tutto o in parte a residenza”. Il legislatore veneto ha ritenuto di riproporre la definizione, nonostante la XXIII definizione (in teoria “uniforme”) del Regolamento Edilizio Tipo – come recepita anche dall’Allegato B alla D.G.R.V. 15 maggio 2018, n. 669 – definisca il sottotetto come “spazio compreso tra l’intradosso della copertura dell’edificio e l’estradosso del solaio del piano sottostante”.
Comunque sia, l’ambito oggettivo della norma in commento riguarda il recupero dei sottotetti a fini abitativi, quindi a destinazione residenziale. L’applicazione concreta è evidente e tendenzialmente ampia, siccome volta in qualche modo a regolarizzare in punto d’agibilità le superfici mansardate, realizzate nel recente passato con l’escamotage dei locali “praticabili, ma non agibili”.
Il fenomeno è a tutti noto, in epoche ancora floride per il mercato dell’edilizia avendo le imprese di costruzioni immesso sul mercato una gran quantità di immobili siffatti. Che si trattasse di locali assentiti sotto il profilo edilizio, ma non utilizzabili, era di tutta evidenza. La reiterata tendenza normativa, nel 1999, così come nel 2019, è quella di porre rimedio alla situazione di fatto venutasi a creare.
L’art. 2 della L.R. n. 51/2019 consente il recupero dei sottotetti, alle condizioni che dovranno essere determinate dal regolamento edilizio comunale, ferme restando alcune condizioni ex lege previste (da ritenersi inderogabili da parte dei regolamenti comunali), ossia: (i) la legittima realizzazione del sottotetto alla data del 6 aprile 2019; (ii) l’altezza utile media di 2,40 m. (2,20 per i Comuni montani, con rinvio alla L.R. n. 40/2012) o di 2,20 m. per i locali accessori (disimpegni, corridoi, bagni); la norma indica i criteri di calcolo dell’altezza utile; (iii) la chiusura degli spazi con altezza inferiore ai minimi (1,60 o 1,40 per i Comuni montanti) tramite opere murarie o arredi fissi (armadiature, è da ritenersi)[3]; (iv) il rapporto illuminante pari o superiore ad un sedicesimo; (v) la previsione di idonee opere di isolamento termico, anche ai fini del contenimento di consumi energetici, che devono essere conformi al D.Lgs. n. 192/2005[4]; (vi) il recupero dei sottotetti è consentito solo per l’ampliamento delle unità abitative esistenti, senza alcun aumento del loro numero[5].
Altri limiti ope legis si rinvengono all’art. 2, comma 2, posto che con gli interventi per il recupero dei sottotetti a fini abitativi non si possono modificare la sagoma dell’edificio esistente, le altezze (di colmo e di gronda), le linee di pendenza delle falde; sembra possibile realizzare lucernai, ma non abbaini, che modificherebbero la linea di falda e la sagoma. Unica eccezione è rappresentata dall’incremento di altezza delle falde per ragioni di coibentazione. La novella regionale non reca limiti incrementali dell’altezza delle falde, limiti però desumibili dall’art. 14, comma 7, del D.Lgs. 4 luglio 2014, n. 102; vale a dire che le altezze massime degli edifici sono incrementabili nella misura massima di trenta centimetri per il maggior spessore degli elementi di copertura, alle condizioni previste dalla disposizione nazionale testé citata.
Il regolamento edilizio comunale, inoltre, dovrà determinare la tipologia di apertura nelle falde, per la realizzazione, ad esempio, di lucernai e tagli di falda; lo stesso regolamento edilizio dovrà determinare e le altre condizioni, al fine di rispettare gli aspetti paesaggistici, monumentali e ambientali dell’edificio; ferme restano le attribuzioni delle competenti Soprintendenze[6], il cui parere dovrà essere richiesto in caso di vincolo paesaggistico o di bene culturale, ai sensi rispettivamente delle parti terza e seconda del D.Lgs. n. 42/2004. Va ricordato come, limitatamente al vincolo paesaggistico, alcuni interventi edilizi possano essere realizzati senza il parere della Soprintendenza, ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 e dell’Allegato A. Il riferimento vada, in particolare, all’Allegato A2 ed agli interventi di coibentazione eseguiti sulle falde di copertura, alla realizzazione o alla modifica di finestre a tetto.
Il recupero dei sottotetti può essere escluso in base a specifiche disposizioni di tutela degli edifici, impressa sia dallo strumento urbanistico comunale (P.A.T. e P.I., ai sensi dagli articoli 13 e 17 della L.R. n. 11/2004), sia in base alle disposizioni di cui alla parte seconda del D.Lgs. n. 42/2004 per le ipotesi di tutela dei beni culturali, sia in base al regolamento edilizio, che può vietare il recupero dei sottotetti a fini abitativi con riferimento a determinate tipologie edilizie. Con riguardo al “potere di veto” in capo al regolamento edilizio, pleonastico appare il riferimento normativo alla deliberazione del Consiglio comunale, posto che il regolamento edilizio non può altrimenti essere assunto, se non in base alla deliberazione del Consiglio comunale medesimo, come in linea generale tutti i regolamenti comunali, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 267/2000. È, inoltre, escluso ex lege il recupero dei sottotetti a fini abitativi riferiti ad immobili ricadenti in aree soggette ad inedificabilità in base ai Piani territoriali sovraordinati (rispetto alla pianificazione comunale), in aree a pericolosità idraulica o idrogeologica, i cui piani vietino l’incremento di volume o di superficie.
Infine, l’art. 2, comma 4, della L.R. n. 51/2019 prevede che il recupero dei sottotetti a fini abitativi possa essere escluso dal Consiglio comunale con riferimento a parti del territorio comunale. Parimenti, lo stesso Consiglio comunale può individuare ambiti territoriali, nei quali, in assenza del reperimento delle aree a parcheggio (di regola necessarie), esse possano essere monetizzate.
2. Titolo abilitativo e contributo di costruzione.
L’art. 3, comma 1, della L.R. n. 51/2019 qualifica l’intervento di recupero dei sottotetti a fini abitativi come ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001.
L’art. 3, comma 2, inoltre, assoggetta l’intervento di recupero dei sottotetti a fini abitativi alla segnalazione certificata di inizio attività.
Non sembra in discussione il legittimo esercizio del potere legislativo in tema di individuazione della SCIA, quale titolo abilitante il recupero dei sottotetti a fini abitativi[7], ma la determinazione in ordine al tipo di SCIA, se ordinaria o alternativa al permesso di costruire, posto che la Regione Veneto ha indicato genericamente la SCIA “ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001”, senza specificare se si tratti di SCIA ordinaria (art. 22) o alternativa (art. 23). Distinzione non priva di rilievo, come si vedrà.
Invero, pur se la SCIA ordinaria – secondo quanto disposto dall’art. 22, comma 1, lett. c), T.U.Ed. – costituisce titolo per eseguire gli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), salva l’ipotesi prevista dall’art. 10, comma 1, lett. c), tuttavia la novella regionale in commento dispone espressamente (art. 3, comma 2, L.R. n. 51/2019) che la SCIA debba essere onerosa, dovendo essere versato il contributo di costruzione, ai sensi dell’art. 16 T.U.Ed., calcolato sulla volumetria resa agibile, financo con l’eventuale applicazione di una maggiorazione (fino al massimo del 20%), che può essere disposta dai Comuni.
Due potrebbero essere le tesi sostenibili: (i) la lettura dell’art. 22 T.U.Ed. (in particolare, comma 1, lett. c) e dell’art. 3, comma 1, L.R. n. 51/2019 depone per una SCIA ordinaria, ancorché onerosa per disposizione regionale. Infatti, nel momento in cui il legislatore regionale qualifica l’intervento di recupero dei sottotetti a fini abitativi espressamente come intervento di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), T.U.Ed., tale tipologia d’intervento è sottoposta a SCIA ordinaria, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. c), T.U.Ed.; (ii) al contrario, per coerenza con il dato normativo nazionale, nel momento in cui la novella regionale impone l’onerosità della SCIA, quest’ultima deve essere necessariamente inscritta nel novero delle segnalazioni onerose, che sono solo quelle alternative al permesso di costruire, regolate dall’art. 23 T.U.Ed.-
Il dubbio interpretativo non è meramente formale: diverso è il momento di inizio lavori, che possono iniziare immediatamente nel caso della SCIA ordinaria, solo decorsi trenta giorni dalla presentazione, in caso di SCIA alternativa; diverse sono anche le sanzioni, posto che la SCIA alternativa, in quanto sostitutiva rispetto al permesso di costruire, soggiace in toto all’apparato sanzionatorio di esso.
Sembra preferibile accedere alla prima delle tesi esposte, dando prevalenza alla coerenza tra la qualificazione dell’intervento di recupero dei sottotetti a fini abitativi come ristrutturazione edilizia (con espresso richiamo della novella regionale all’art. 3, comma 1, lett. d), T.U.Ed.) e l’assoggettamento della ristrutturazione edilizia a SCIA ordinaria, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. c), T.U.Ed.- Il fatto che la disciplina regionale applichi anche alla SCIA ordinaria il contributo di costruzione (limitatamente al volume reso agibile) non sembra dato di per sé idoneo a collocare l’intervento di ristrutturazione edilizia in parola nell’ambito degli interventi soggetti a SCIA alternativa. L’onerosità applicata alla SCIA ordinaria, potrebbe, al più, trovare motivazione nel fatto che il legislatore regionale ha ritenuto il recupero dei sottotetti a fini abitativi come intervento incidente sul carico urbanistico (posto che si ha un incremento della superficie residenziale agibile, pur se senza aumento di unità immobiliari), quindi soggetto a contributo di costruzione a prescindere dal titolo[8].
Ancora in tema di onerosità della SCIA, l’art. 3, comma 3, della L.R. n. 51/2019 prevede che l’importo derivante dalla maggiorazione del contributo di costruzione, eventualmente disposto dai Comuni, dovrebbe essere destinato “preferibilmente” (quindi non necessariamente) alla realizzazione di interventi di riqualificazione urbana, di arredo urbano e di valorizzazione del patrimonio comunale di edilizia residenziale. L’avverbio “preferibilmente” esclude la sussistenza di qualsivoglia vincolo di destinazione delle somme riscosse dai Comuni, che dovessero deliberare la maggiorazione del contributo di costruzione.
Infine, merita ricordare come sia sempre consentito all’istante presentare domanda di permesso di costruire, in luogo della segnalazione certificata di inizio attività, ciò essendo facoltà prevista dall’art. 22, comma 7, del D.P.R. n. 380/2001.
Il quarto – ed ultimo – comma dell’art. 3 della L.R. n. 51/2019 subordina la possibilità di recuperare i sottotetti a fini abitativi al necessario reperimento dei parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato ogni dieci metri cubi, riferiti al volume oggetto di recupero. Si tratta dei parcheggi di cui all’art. 41-sexies della L. n. 1150/1942, come modificato dalla L. n. 122/1989 (Legge Tognoli), da non confondere con lo standard a parcheggio di cui all’art. 3 del D.M. n. 1444/1968, espresso in termini di metri quadrati per abitante[9].
Per il vero, il reperimento dei parcheggi nella misura di 1 mq./10 mc. può essere evitato, previa monetizzazione delle aree a parcheggio, come si desume dalla lettura unitaria dell’art. 3, comma 4 e dell’art. 2, comma 4, della L.R. n. 51/2019, limitatamente però agli ambiti territoriali, nei quali il Comune abbia consentito la monetizzazione.
In sintesi, quindi, con riferimento al reperimento dei parcheggi nella misura indicata dalla novella regionale (sul punto riproducente l’art. 41-sexies della legge urbanistica nazionale), essi di regola devono sussistere, salva la possibilità della loro monetizzazione, ma solo all’interno degli ambiti, in cui la stessa sia stata espressamente ammessa dal Comune in sede d’adeguamento alla L.R. n. 51/2019.
3. Diritto intertemporale, Piano Casa ed attuazione della L.R. n. 51/2019 ad opera dei Comuni.
Due dei profili critici rilevabili in ordine alla L.R. n. 51/2019 attengono alla sua applicabilità immediata ed alle modalità della sua attuazione da parte dei Comuni.
3.1. Quanto alla sua immediata applicabilità, se è vero che la novella regionale in commento è già entrata in vigore a far data dal giorno 11 gennaio 2020, è anche vero che l’art. 4, comma 1, prevede l’adeguamento ad essa da parte dei Comuni entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della L. n. 51/2019, ossia entro il 10 maggio 2020, termine che appare meramente ordinatorio.
V’è quindi da chiedersi se, nelle more del termine dato ai Comuni, per adeguarsi alla novella, la L.R. n. 51/2019 possa essere comunque applicata, anche in considerazione del fatto che l’art. 6 ha espressamente ed integralmente abrogato la previgente L.R. n. 12/1999, che si continua ad applicare (ai sensi dell’art. 5, comma 1) solo per i procedimenti in corso alla data dell’entrata in vigore della L.R. n. 51/2019, ossia alla data dell’11 gennaio 2020, ma non per i procedimenti principiati successivamente.
Secondo una prima opzione ermeneutica il termine per l’adeguamento non pregiudicherebbe l’immediata applicabilità della legge regionale. Infatti, condizionare l’applicabilità della legge regionale all’adeguamento comunale, significherebbe consegnare ai Comuni le chiavi dell’attivazione della norma.
Non è del tutto vero, posto che l’interessato, spirati invano i centoventi giorni, potrebbe agire contro il silenzio-inadempimento del Comune ed adire il Giudice amministrativo ai sensi degli articoli 31 e 117 c.p.a., affinché il Giudice ordini al Comune di provvedere entro il termine dato dal Giudice stesso e nomini un commissario ad acta, che agisca in via sostitutiva in caso di reiterata inerzia comunale. Che il termine sia meramente ordinatorio, infatti, non fa venir meno l’obbligo del Comune di adeguamento, anche successivamente alla scadenza del termine in parola.
In secondo luogo, vi sarebbe un vuoto normativo: ai procedimenti principiati dopo l’11 gennaio 2020 non si potrebbe più applicare la L.R. n. 12/1999 (applicabile solo ai procedimenti in corso alla data dell’11 gennaio 2020), stante la sua esplicita ed integrale abrogazione, né si potrebbe – in ipotesi – applicare la L.R. n. 51/2019 prima dell’adeguamento comunale.
Per il vero, il vuoto normativo è solo apparente, posto che il recupero dei sottotetti a fini abitativi sarebbe comunque consentito, applicando l’art. 6, comma 7, della L.R. n. 14/2019, a tenore del quale si può procedere al recupero dei sottotetti esistenti[10] alla data di entrata in vigore della legge (5 aprile 2019[11]) con la sola esclusione dei sottotetti oggetto di contenzioso in qualsiasi stato e grado del procedimento.
Anche il c.d. Piano Casa, pertanto, consente il recupero dei sottotetti a fini abitativi e la norma non solo è senz’altro pacificamente ed immediatamente applicabile, ma garantisce financo condizioni economiche di maggior favore: l’abbattimento del 20% del costo di costruzione, se il sottotetto sia destinato a prima casa d’abitazione, ai sensi dell’art. 10, comma 3, della L.R. n. 14/2019. Dal punto di vista del titolo, l’art. 10, comma 1, della L.R. n. 14/2019 è chiaro nel prevedere la SCIA alternativa (art. 23 T.U.Ed.), quindi SCIA onerosa, ma non soggetta all’(eventuale) maggiorazione fino al 20%. In sintesi: per il recupero dei sottotetti, il ricorso al Piano Casa è sempre ammissibile ed economicamente conviene.
Ma vi sono ulteriori profili di favore nell’applicazione del c.d. Piano Casa per il recupero dei sottotetti a fini abitativi: esso, infatti, patisce condizioni meno restrittive. L’art. 6, comma 7, della L.R. n. 14/2019 rinviava – quanto a condizioni d’applicabilità – all’art. 2, comma 1, lett. a) e b), della L.R. n. 12/1999. L’art. 5, comma 2, della L.R. n. 51/2019 dispone espressamente che tale rinvio è da intendersi ora riferito all’art. 2, comma 1, lett. a) e b), della L.R. n. 51/2019. Con il che, i presupposti per recuperare i sottotetti non sono tutti quelli stabiliti dall’art. 2, comma 1, lett. a), b), c) e d), della L.R. n. 51/2019, ma solo i primi due (altezze medie, rapporto illuminante); il recupero dei sottotetti – ai sensi dell’art. 6, comma 7, L.R. n. 14/2019 – non è condizionato al raggiungimento delle prestazioni energetiche di cui al D.Lgs. n. 192/2005, né limitato dal divieto di aumento delle unità abitative, né soggetto al divieto di modifica della sagoma, delle altezze di colmo e di gronda e delle pendenze delle falde.
In disparte l’applicabilità del c.d. Piano Casa (senza alcun limite temporale, peraltro), merita tornare sul tema dell’immediata applicabilità della L.R. n. 51/2019, in attesa dell’adeguamento comunale, di cui all’art. 4 della novella in commento.
Per comprendere se la norma sia immediatamente applicabile, occorre determinare se – mutuando un istituto eurounitario – essa si possa qualificare come self executing, ossia se sia immediatamente applicabile senza l’adeguamento comunale, laddove contenga norme – per così dire – autoapplicabili.
Se l’ambito oggettivo d’applicazione, le deroghe alla normativa igienico-sanitaria, le condizioni ed i limiti ex lege previsti, appaiono immediatamente applicabili, siccome compiutamente definiti, vi sono però aspetti sostanziali e qualificanti rimessi alla disciplina comunale, posto che:
- “il regolamento edilizio comunale determina le condizioni e i limiti per il recupero a fini abitativi dei sottotetti” (art. 2, comma 1);
- il regolamento edilizio deve disciplinare la tipologia di aperture nelle falde e le altre condizioni, al fine di rispettare gli aspetti paesaggistici, monumentali e ambientali dell’edificio, sul quale si intende intervenire (art. 2, comma 2);
- l’individuazione degli ambiti, nei quali, in luogo del reperimento delle superfici a parcheggio, si può ricorrere alla monetizzazione (artt. 2, comma 4 e 3, comma 4).
Inoltre, vi sono altri contenuti lasciati alla disciplina comunale – ma che non condizionano l’applicazione della novella, potendola semmai escludere, limitare o aggravare sotto il profilo economico – ossia:
- l’esclusione di parti del territorio dall’applicazione della L.R. n. 51/2019 (art. 2, comma 4);
- l’esclusione di alcune tipologie edilizie dal recupero dei sottotetti a fini abitativi (art. 2, comma 3);
- l’(eventuale) maggiorazione del contributo di costruzione (art. 3, comma 3).
Sembra allora difficilmente sostenibile l’immediata applicabilità della novella, senza l’individuazione di quanto sopra indicato sub (i), (ii) e (iii); dal che sembra doversi dedurre la necessità di attendere l’adeguamento comunale.
Nelle more, non è applicabile la L.R. n. 12/1999, se non ai procedimenti in corso alla data dell’11 gennaio 2020 e neppure se essa sia stata recepita nei regolamenti edilizi comunali, che, privi della copertura normativa, non potrebbero essere applicati, dovendo, invece essere adeguati, come visto.
Se sembra difficile, per le ragioni anzidette, applicare immediatamente la L.R. n. 51/2019, è senz’altro possibile recuperare i sottotetti a fini abitativi per il tramite dell’art. 6, comma 7, della L.R. n. 14/2019, che ha reso immediatamente applicabile l’art. 2, comma 1, lett. a) e b), della L.R. n. 51/2019, in forza del rinvio diretto ed immediato disposto dall’art. 5, comma 2, della L.R. n. 51/2019.
3.2. Quanto alle modalità d’attuazione della L.R. n. 51/2019, la novella ha previsto il ricorso a tre istituti diversi: (i) regolamento edilizio (artt. 2, commi 1, 2 e 3); (ii) delibera di Consiglio comunale (art. 2, comma 4); (iii) provvedimento comunale non meglio definito (art. 3, comma 3); (iv) variante allo strumento urbanistico (art. 4).
Non è quindi chiaro[12], se il Comune debba procedere all’adeguamento, ponendo mano al regolamento edilizio (approvato in Consiglio comunale con un’unica deliberazione), allo strumento urbanistico (Piano degli Interventi o P.R.G. a seconda che sia stato approvato o no il P.A.T.) con l’ordinaria procedura di variante (semplificata nel caso di variante al P.R.G.[13]), o con semplice delibera di Consiglio comunale, o con il ricorso combinato a più d’uno dei ricordati istituti.
Il problema non si poneva nella vigenza della L.R. n. 12/1999, atteso che in base all’art. 10, comma 2, lett. d), dell’allora vigente L.R. n. 61/1985, il regolamento edilizio era uno degli elaborati del P.R.G.- Quindi era comunque necessaria la variante urbanistica, anche per modificare il regolamento edilizio; il quale, però, in base agli articoli 13 e 17 della L.R. n. 11/2004 ora non è più uno degli elaborati né del P.A.T., né del P.I., non è più parte dello strumento urbanistico ma è un regolamento comunale sic et simpliciter, approvato dal Consiglio con un’unica deliberazione, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 267/2000. A ciò si deve aggiungere che la formulazione dell’art. 4 della L.R. n. 12/1999 non lasciava adito a dubbi: era espressamente indicato che i Comuni dovessero adeguare gli elaborati del P.R.G. alle previsioni dell’art. 2 della L.R. n. 12/1999. Al contrario, l’art. 4 della L.R. n. 51/2019 riferisce di un generico adeguamento dello strumento urbanistico, senza indicare a quali delle sue specifiche previsioni.
Invero, la L.R. n. 51/2019 si riferisce ora al regolamento edilizio (che non fa parte della strumentazione urbanistica, ma è assunto con un’unica deliberazione di Consiglio comunale), ora ad una deliberazione di Consiglio comunale, ora ad un provvedimento comunale non altrimenti qualificato, ora agli strumenti urbanistici.
Vi sono disposizioni della L.R. n. 51/2019, in cui è espressamente citato il regolamento edilizio, quale strumento d’adeguamento, per cui è quest’ultimo a dover determinare “le condizioni e i limiti per il recupero a fini abitativi dei sottotetti” (art. 2, comma 1), “le tipologie di apertura nelle falde e ogni altra condizione al fine di rispettare gli aspetti paesistici, monumentali e ambientali dell’edificio sul quale si intende intervenire” (art. 2, comma 2), così come “la ulteriore esclusione di determinate tipologie edilizie dal recupero a fini abitativi dei sottotetti” (art. 2, comma 3).
L’art. 2, comma 4, invece, affida al Consiglio comunale “disporre l’esclusione di parti del territorio comunale dall’applicazione della presente legge, nonché individuare ambiti, nei quali, in assenza del reperimento degli spazi per parcheggi pertinenziali, l’intervento è consentito previo pagamento di una somma equivalente alla monetizzazione delle aree per parcheggi di cui al comma 4, dell’art. 3”.
E, ancora, l’art. 3, comma 3, dispone che: “I comuni possono deliberare l’applicazione di una maggiorazione, nella misura massima del venti per cento del contributo di costruzione dovuto …”, senza meglio specificare attraverso quale istituto e quale organo comunale sia a ciò preposto.
Infine, l’art. 4 dispone che l’adeguamento comunale alla L.R. n. 51/2019 avvenga attraverso lo strumento urbanistico, con necessaria variante di P.R.G. o di P.I., a seconda che i comuni non abbiano approvato il P.A.T. o l’abbiano approvato.
Certo è quanto la legge riserva espressamente al regolamento edilizio, di talché ad esso spetta determinare “le condizioni e i limiti per il recupero a fini abitativi dei sottotetti” (art. 2, comma 1), “le tipologie di apertura nelle falde e ogni altra condizione al fine di rispettare gli aspetti paesistici, monumentali e ambientali dell’edificio sul quale si intende intervenire” (art. 2, comma 2), così come “la ulteriore esclusione di determinate tipologie edilizie dal recupero a fini abitativi dei sottotetti” (art. 2, comma 3).
Incerte, invece, appaiono le modalità dell’esclusione di parti del territorio dall’applicazione della L.R. n. 51/2019, dell’individuazione degli ambiti territoriali, nei quali sia consentita la monetizzazione delle aree a parcheggio e della maggiorazione del contributo di costruzione: nei primi due casi il riferimento è al Consiglio comunale, nel secondo al Comune genericamente.
Circa l’eventuale maggiorazione del contributo di costruzione, potrebbe rappresentare una soluzione interpretativa condivisibile quella di riservare la relativa deliberazione al Consiglio comunale in sede di approvazione del regolamento edilizio, in una con la determinazione degli altri contenuti espressamente attribuiti ex lege al regolamento stesso. Sembrerebbe, infatti, logico riservare al Consiglio comunale – per ragioni di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa all’interno del regolamento edilizio – la determinazione della maggiorazione del contributo di costruzione, atteso che in materia di contributo di costruzione l’art. 16 T.U.Ed. suddivide le competenze tra la Regione ed il Comune (per quest’ultimo Ente, l’organo competente essendo il Consiglio comunale).
Più difficile risulta determinare se l’esclusione di parti del territorio o l’individuazione di ambiti, ove consentire la monetizzazione delle aree a parcheggio siano contenuti tipicamente urbanistici, involgenti la disciplina dell’assetto del suolo, o possano anch’essi essere affidati al regolamento edilizio. Ora, mentre non v’è dubbio che debba essere il regolamento edilizio ad (eventualmente) escludere alcune tipologie edilizie dal recupero a fini abitativi dei sottotetti, si potrebbe essere indotti a ritenere che, invece, laddove la novella si riferisce a parti del territorio o ad ambiti di esso, il riferimento transiti dal piano edilizio al piano urbanistico, con il che si giustificherebbe la variante urbanistica; diversamente, peraltro, non avrebbe alcun senso il richiamo agli strumenti urbanistici operato dall’art. 4 della L.R. n. 51/2019, se anche l’esclusione di parti del territorio e l’individuazione degli ambiti anzidetti si concentrassero a livello di regolamento edilizio: non residuerebbe, infatti, altra materia oggetto d’adeguamento, da affidare alla pianificazione.
Si possono giustapporre, quindi, due interpretazioni:
- si deve distinguere la materia tipicamente edilizia dalla materia tipicamente urbanistica, di modo che, dove la L.R. n. 51/2019 si riferisce alla prima, l’adeguamento deve avvenire tramite regolamento edilizio, come nel caso della determinazione delle condizioni e dei limiti per il recupero dei sottotetti a fini abitativi, delle tipologie di apertura delle falde, delle condizioni di rispetto degli aspetti paesaggistici, monumentali ed ambientali, dell’esclusione di determinate tipologie edilizie dal recupero, delle eventuali maggiorazioni del contributo di costruzione; dove, invece, la novella si riferisce alla materia urbanistica, l’adeguamento deve avvenire tramite variante al Piano (Regolatore o degli Interventi a seconda che il Comune non abbia o abbia approvato il P.A.T.), come nel caso dell’esclusione di parti del territorio dall’applicazione della L.R. n. 51/2019 o dell’individuazione degli ambiti territoriali, ove sia possibile la monetizzazione; in questi ultimi casi, è sostenibile che la scala di valutazione debba necessariamente essere quella urbanistica, dovendo il Comune assumere una decisione a valenza pianificatoria;
- il recupero dei sottotetti è materia tipica del regolamento edilizio, tanto laddove la L.R. n. 51/2019 vi ha fatto espresso riferimento, quanto laddove non l’ha fatto, riferendosi ad una deliberazione di Consiglio comunale o non dando affatto indicazioni in tal senso. D’altronde, la stessa Regione Veneto con la D.G.R.V. 15 maggio 2018, n. 669, recante: “Linee guida e suggerimenti operativi ai Comuni per l’adeguamento al Regolamento Edilizio-Tipo (RET), di cui all’intesa sancita in sede di Conferenza Governo-Regioni e Comuni il 20 ottobre 2016, recepito con DGR 22 novembre 2017, n. 1896”, ha individuato tra i contenuti tipici del regolamento edilizio anche il recupero dei sottotetti a fini abitativi (All. A, art. III, I.1.8). Ben potrebbe, quindi, il regolamento edilizio anche escludere parti del territorio comunale dall’applicazione della novella ed individuare gli ambiti dove è possibile la monetizzazione: sarebbe sufficiente che il regolamento facesse riferimento alle zone territoriali omogenee, come individuate dal P.I. o dal P.R.G.-
Gli argomenti a supporto della prima e della seconda tesi appaiono parimenti efficaci, per cui risulta, in effetti, difficile preferire l’una tesi all’altra. Da un lato, per ragioni di economicità ed efficacia sarebbe forse preferibile concentrare l’adeguamento nel regolamento edilizio; così facendo, però, sarebbe inutiliter datum l’art. 4 (nulla essendovi da adeguare tramite lo strumento urbanistico) e si sottrarrebbe al cittadino ogni possibile apporto collaborativo[14] circa la scelta in ordine alle parti del territorio escluse dall’applicazione della L.R. n. 51/2019 ed agli ambiti con facoltà di monetizzazione; decisioni delicate, nel senso, da un lato, di elidere in radice l’applicazione della novella in riferimento a talune parti del territorio, dall’altro, di sacrificare gli spazi a parcheggio in determinati ambiti, consentendone la monetizzazione.
Forse, sarebbe preferibile la prima delle viste interpretazioni, che consentirebbe di adeguare con un’unica deliberazione di Consiglio comunale il regolamento edilizio alla L.R. n. 51/2019, riservando alla pianificazione le sole scelte urbanistiche in ordine all’esclusione di parti del territorio dall’applicazione della novella in commento ed all’individuazione di ambiti, nei quali sia consentita la monetizzazione.
4. Il rapporto derogatorio della L.R. n. 51/2019 rispetto al D.M. 5 luglio 1975.
Altro profilo di rilievo riguarda la deroga di taluni requisiti igienico-sanitari operata dall’art. 2, comma 1, lett. a) e b), della L.R. n. 51/2019 rispetto agli articoli 1 e 5 del D.M. 5 luglio 1975. Ed infatti, mentre la norma nazionale citata prevede, da un lato, l’altezza minima interna utile di 2,70 m. (con riduzione a 2,55 per i comuni montani al di sopra di 1.000 s.l.m. ed a 2,40 per i locali accessori)[15], dall’altro il rapporto illuminante minimo di un ottavo, la novella regionale consente altezze e rapporto illuminante inferiori.
Ora, da un lato, le norme del D.M. 5 luglio 1975 integrano una norma di rango primario, giusta il rinvio operato dall’art. 218 del R.D. n. 1265/1934, dall’altro, tali norme non sono derogabili[16], dall’altro ancora, la giurisprudenza[17] formatasi in tema di condono edilizio sulla base dell’art. 35, comma 20, della L. n. 47/1985 consente al più (invero per le sole ipotesi di condono edilizio) la deroga dei soli regolamenti comunali in tema di requisiti igienico-sanitari, giammai la deroga delle norme di legge (qual è il complesso di rango normativo primario dato dall’art. 218 R.D. n. 1265/1934 e dal D.M. 5 luglio 1975).
Il quesito, quindi, attiene alla legittimità costituzionale della L.R. n. 51/2019, laddove la norma regionale ha derogato alcuni parametri igienico-sanitari dati dal D.M. 5 luglio 1975, che, come visto, dovrebbero essere in linea generale inderogabili.
Ciò vale certamente per i provvedimenti amministrativi (ad esempio titolo edilizio in sanatoria) al cospetto della norma di legge (D.M. 5 luglio 1975), ma ci si deve chiedere se vale anche in ipotesi di deroga introdotta per via normativa dalla legislazione regionale, come nel caso della L.R. n. 51/2019.
Vi è stato un caso riferito al Piano Casa sardo, posto che l’art. 15 della L.R. sarda n. 4/2009 in tema di recupero dei sottotetti a fini abitativi aveva derogato il D.M. 5 luglio 1975 proprio con riferimento alle altezze minime. Il parere del Consiglio di Stato, sez. I, 23 giugno 2016, n. 1474 ha affermato che il Piano Casa sardo poteva derogare il D.M. 5 luglio 1975, in virtù del fatto che si trattava di norma regionale eccezionale, derogatoria, coerente con la disposizione statale in materia di Piano Casa (art. 11 D.L. 25 giugno 2008, n. 112). La motivazione, peraltro stringata, forse poteva essere integrata anche dal fatto che si trattava di Regione a statuto speciale e che il (primo) Piano Casa era comunque frutto di un Intesa Stato-Regioni ed era misura temporanea e non strutturale.
Al di là del citato precedente, che peraltro non riflette la posizione del giudice delle leggi, merita osservare come la L.R. n. 51/2019, per il vero, sia certamente norma di carattere urbanistico-edilizio, ma la deroga non sia riferita tanto a parametri urbanistico-edilizi, quanto a parametri di carattere igienico-sanitario, attinenti ai requisiti di agibilità degli edifici.
Alcuni precedenti in tema di costituzionalità di norme regionali riguardanti il recupero dei sottotetti a fini abitativi hanno affrontato diversi profili. La Consulta ha statuito l’illegittimità costituzionale della L.R. Campania n. 15/2000 in tema di recupero di sottotetti, laddove essa consentiva la deroga dei piani paesaggistici o urbanistici con valenza paesaggistica[18]. La stessa Consulta ha, invece, ritenuto costituzionalmente legittima la L.R. Marche n. 17/2015 in materia di recupero di sottotetti a fini abitativi, dal momento che essa non derogava né alle distanze ex D.M. n. 1444/1968, né all’obbligo di agibilità ex artt. 24 e 25 T.U.Ed[19]. Ed, ancora, più recentemente, la Consulta ha avuto modo di affermare che il recupero dei sottotetti a fini abitativi (L.R. Emilia-Romagna n. 11/1998, modificata con L.R. n. 5/2014) non ha valenza di sanatoria (incidendo sul recupero di volumi già esistenti) e che è stato generalmente riconosciuto come costituzionalmente legittimo, a condizione che fossero rispettati tutti i limiti stabiliti dalla legislazione statale in tema di distanze, paesaggio, igiene e salubrità[20].
Non constano, però, precedenti specifici inerenti alla costituzionalità della norma regionale, che abbia derogato (seppure in parte) al D.M. 5 luglio 1975, anche se il problema si pone in relazione alla novella regionale, sia per quanto affermato nell’ultima sentenza della Corte Costituzionale citata, sia alla luce del fatto che il D.M. 5 luglio 1975 integra una fonte normativa di rango primario (art. 218 R.D. n. 1265/1934), sia in quanto la materia in considerazione – ossia tutela della salute – costituisce materia di legislazione concorrente, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Costituzione.
Il tema, quindi, attiene alla possibile incostituzionalità della L.R. n. 51/2019, per violazione del D.M. 5 luglio 1975 in relazione al parametro costituzionale interposto di cui all’art. 117, comma 3, potendo le Regioni legiferare nelle materie di potestà concorrente, ma nel rispetto dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato.
Si tratta di un tema delicato, rispetto al quale risulta dirimente comprendere se – in particolare – i limiti di altezza (peraltro derogabili, quanto meno con riferimento ai Comuni montani, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del D.M. 5 luglio 1975) e del rapporto illuminante minimo ad opera dello Stato costituiscano principio fondamentale e non, piuttosto, norma di dettaglio, che in quanto tale, dovrebbe essere appannaggio della legislazione regionale.
Ove venisse accolta la prima tesi, i dubbi di incostituzionalità della L.R. n. 51/2019, per il vero, dell’art. 2, comma 1, lettere a) e b), che derogano il D.M. 5 luglio 1975, sarebbero in effetti fondati; ove venisse sollevata la questione avanti la Corte Costituzionale, è probabile, quindi, che la citata norma venga dichiarata costituzionalmente illegittima. Il che non travolgerebbe, beninteso, tutta la L.R. n. 51/2019, ma solo le disposizioni di deroga ai parametri di altezza minima ed ai parametri relativi al rapporto illuminante, dati dal D.M. 5 luglio 1975 (nella consapevolezza, invero, che la deroga appare decisiva). Per il vero, con riferimento ai Comuni montani si potrebbe forse sostenere che la deroga, limitatamente alle altezze minime, sia insita nello stesso D.M. 5 luglio 1975.
Nel caso in cui, invece, si ritenesse che i parametri statali oggetto di deroga, invece, siano norme di dettaglio (non principi generali) e costituiscano esse violazione della competenza normativa regionale, invasa dall’illegittimo esercizio del potere normativo statale che non si è limitato ai principi generali[21], allora la disciplina regionale di deroga del D.M. 5 luglio 1975 potrebbe essere costituzionalmente legittima.
La norma regionale in esame – per il livello di specificità che la connota – è norma di dettaglio, priva, però, allo stato di una cornice legislativa nazionale, che delinei i principi fondamentali dell’attività di “recupero dei sottotetti a fini abitativi”, tema che investe tanto profili di governo del territorio, quanto di tutela della salute, ponendosi, così, come materia di legislazione concorrente e “trasversale” tra Stato e Regione.
L’interprete, che si dovesse trovare a dover valutare l’agibilità del sottotetto convertito grazie alla L.R. 51/2019, dovrà quindi guardare ai parametri indicati della novella regionale, non invece alle misure prescritte dal decreto ministeriale, che si rivolgono in generale agli edifici, ma non specificamente ai sottotetti.
La norma regionale ha, infatti, ad oggetto il limitato campo applicativo del “sottotetto”, porzione dell’edificio che, per quanto attiene alla sua agibilità, non poteva certamente essere nella mente di chi ha redatto il D.M. del 1975, date le condizioni di tecnica costruttiva, giuridiche, ed ambientali di allora.
In questo senso, con la L.R. 51/2019 il legislatore regionale è intervenuto a colmare un vuoto normativo, vuoto probabilmente imputabile alla mancanza – ad oggi – di una Legge nazionale, che possa dettare “principi fondamentali” in materia, uniformando i criteri di agibilità degli spazi con specifico riferimento ai sottotetti.
La norma regionale, pur nella consapevolezza di derogare a standard nazionali igienico-sanitari può non essere considerata lesiva delle prerogative legislative statali, perché, oltre a colmare il vuoto sopra citato, attua valori costituzionali, quali la tutela del paesaggio, del territorio e dell’ambiente.
Nel corso dello svolgimento di queste considerazioni, più precisamente, durante la meritata pausa caffè, è giunta notizia dell’impugnazione da parte del Governo avanti la Corte Costituzionale della L.R. n. 51/2019 (così come della L.R. n. 50/2019).
Si vedrà quali vizi di incostituzionalità verranno in concreto sollevati; sembra che le censure non siano limitate alla deroga dei parametri igienico-sanitari, ma anche a profili edilizi e paesaggistici.
Per intanto, però, la L.R. n. 51/2019 è valida e, sino alla sua (eventuale) sospensione o al suo (eventuale) annullamento, dovrà essere applicata. Con l’avvertenza che, se in linea generale è vero che gli effetti delle sentenze della Corte Costituzionale retroagiscono, ciò però non avviene con riferimento ai rapporti giuridici consolidati.
5. Il recupero dei sottotetti a fini abitativi consuma l’eventuale volumetria disponibile?
La L.R. n. 51/2019 è chiara nell’escludere – all’art. 5, comma 3 – che il volume recuperato ai sensi della novella regionale non possa a sua volta generare volumetria utile ai fini delle premialità concesse dagli articoli 6 e 7 della L.R. n. 14/2019.
Non vi è però chiarezza sul fatto che il recupero dei sottotetti a fini abitativi consumi o no l’eventuale volumetria disponibile in base allo strumento urbanistico comunale.
Sembra che la logica della novella regionale sia quella di consentire l’agibilità dei sottotetti a fini abitativi, senza incidere sui volumi esistenti, posto che devono rimanere invariati sagoma, altezze di colmo e di gronda, linee di pendenza delle falde: unica eccezione il limitato aumento dell’altezza per l’ispessimento della copertura, onde garantire i requisiti di cui al D.Lgs. n. 192/2005.
Se, quindi, la L.R. n. 51/2019 consente il recupero dei sottotetti a parità di volume (ferma la necessaria sussistenza delle condizioni igienico-sanitarie anzi viste, del miglioramento energetico, degli spazi a parcheggio o della monetizzazione), sembra difficile sostenere che il volume recuperato eroda il volume eventualmente ancora disponibile in base allo strumento urbanistico. Il cliché normativo presuppone, infatti, l’invarianza volumetrica, incidendo sulla deroga parziale dei parametri igienico-sanitari, sul miglioramento qualitativo in termini di consumi energetici, ma non sulla consistenza edilizia dell’immobile.
Quindi, il recupero dei sottotetti a fini abitativi avviene senza incidere in alcun modo sui volumi, di talché l’immobile, che dovesse avere ancora a disposizione una quota di volumetria in base allo strumento urbanistico, non la consumerebbe in forza del recupero del sottotetto.
Diversamente, non solo vi sarebbe una possibile disparità di trattamento tra chi non dovesse avere volumetria disponibile (che non avrebbe alcunché da consumare) e chi avesse volumetria disponibile (che sarebbe costretto a consumarla in tutto o in parte), ma si frustrerebbe la logica del recupero dei sottotetti a volumetria invariata; essa, infatti, presuppone la deroga parziale di taluni parametri igienico-sanitari, ma non dei parametri urbanistico-edilizi, fatta eccezione per gli interventi edilizi di miglioramento energetico e quelli eventualmente necessari al soddisfacimento delle condizioni poste per il recupero dei sottotetti a fini abitativi.
Infine, il sottotetto da recuperare, “integra un volume già di per sé utilizzabile, praticabile ed accessibile, quanto meno come deposito o soffitta”[22], che può essere – ricorrendo determinate condizioni – reso agibile, permanendo nella sua esistente consistenza volumetrica, di modo che il riferimento deve necessariamente essere il volume esistente ed autorizzato, senza che debba essere eroso il volume eventualmente residuo.
Alessandro Veronese e Giulio Politeo
[1] F. Dal Zotto, Breve racconto, in www.italiaius, 27 dicembre 2019.
[2] R. Travaglini, Recupero dei sottotetti a fini abitativi: ritorno al futuro? In www.italiaius, 2 gennaio 2020.
[3] L’obbligo di chiusura degli spazi anzidetti è disposizione singolare, non presente nella previgente L.R. n. 12/1999. Il suo scopo potrebbe essere quello di evitare qualsiasi utilizzo degli spazi aventi altezza inferiore ai minimi indicati, sì che ivi non “scappi” qualche giaciglio. Tale ratio sarebbe confermata dalla prescrizione di usare come tamponatura o opere in muratura o elementi d’arredo fissi (sembrerebbero non ammessi elementi mobili, ad esempio su ruote).
[4] Al riguardo va precisato che l’art. 2, comma 1, lett. c), della L.R. n. 51/2019 prevede che i progetti di recupero debbano prevedere (si tratta di un obbligo, quindi) idonee opere di isolamento termico – anche ai fini del contenimento di consumo energetico – conformi al D.Lgs. n. 192/2015. Si tratta di un obbligo affatto nuovo rispetto alla previgente L.R. n. 12/1999, derivante dalle normative (eurounitaria e nazionale) sopravvenute. Si tratta, quindi di un preciso obiettivo qualitativo della novella regionale, come emerge anche dalla relazione al Consiglio regionale.
[5] Condizione nuova, non presente nella previgente L.R. n. 12/1999.
[6] Tale sembra l’interpretazione costituzionalmente orientata dalla disciplina regionale in commento.
[7] Le Regioni a statuto ordinario, infatti, possono ampliare le fattispecie sottoposte a SCIA ordinaria, ai sensi dell’art. 22, comma 4 T.U.Ed., così come a SCIA alternativa, in base all’art. 23, comma 01, D.P.R. n. 380/2001.
[8] In generale, la giurisprudenza afferma come il fondamento del contributo di costruzione non si rinvenga nel titolo edilizio in sé, ma nell’aumento del carico urbanistico e nell’esigenza di ridistribuire i costi sociali di tale incremento (Cons. St., sez. V, 30.8.2013, n. 4326; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 7.4.2016, n. 1769). Questa, quindi, sembra essere la chiave di lettura da utilizzare, per individuare nell’aumento del carico urbanistico la causa del contributo, a prescindere dal titolo.
Seguendo questo filo interpretativo, si può più facilmente dedurre che anche titoli d’ordinario non soggetti a contributo, possano a talune condizioni esserlo. Si pensi, ad esempio, alla SCIA ordinaria per cambio di destinazione d’uso meramente funzionale o senza opere (art. 10, comma 2, D.P.R. n. 380/2001), ove il carico urbanistico aumenti; si pensi anche all’ipotesi della SCIA in variante, ai sensi dell’art. 22, comma 2-bis, T.U.Ed. in combinato disposto con l’art. 92 della L.R. n. 61/1985, ossia al caso in cui con la variante si aumenti la cubatura dell’edificio nei limiti del 20%. Ciò si può fare, perché entro questi limiti la variante non comporta una variazione essenziale, ma l’aumento della cubatura conduce necessariamente al pagamento del contributo di costruzione, perché vi è un aumento del carico urbanistico. Per converso, specularmente, anche il permesso di costruire – d’ordinario soggetto a contributo di costruzione – può andare esente da esso, ad esempio quando si opti per il permesso di costruire in luogo della SCIA ordinaria, ai sensi dell’art. 22, comma 7, D.P.R. n. 380/2001.
[9] Sulla distinzione, si vedano: Cons. St., IV, 5 agosto 2014, n. 4183; T.A.R. Veneto, sez. II, 4 aprile 2016, n. 352.
[10] Nella nozione di cui al primo comma dell’art. 6, ossia in presenza delle strutture portanti e della copertura.
[11] Si “perde” solo un giorno, rispetto alla data di esistenza di cui all’art. 2, comma 1, della L.R. n. 51/2019, fissata al 6 aprile 2019.
[12] R. Travaglini, Recupero dei sottotetti a fini abitativi: ritorno al futuro? In www.italiaius, 2 gennaio 2020, cit.-
[13] Ossia con la procedura data dall’art. 50, commi 6, 7 ed 8, della L.R. n 61/1985, norma invero abrogata dall’art. 49, comma 1, lett. e), della L.R. n. 11/2004, ma sempre più Araba Fenice.
[14] Per il tramite delle osservazioni al Piano, non previste per il regolamento edilizio.
[15] Altezze minime, peraltro, derogabili nell’ambito delle comunità montane, con i limiti di cui all’art. 1, comma 3, D.M. 5 luglio 1975.
[16] Cons. St., sez. III, 3 maggio 2011, n. 2620; T.A.R. Toscana, sez. III, 14 giugno 2019, n. 857.
[17] Corte Cost., 18 luglio 1996, n. 256; Cons. St., sez. VI, 16 dicembre 2019, n. 8502; Cons. St., sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034; Cons. St., sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2620; T.A.R. Toscana, sez. III, 14 giugno 2019, n. 875 (appellata, ma non ancora decisa in secondo grado, secondo quanto consta); T.A.R. Veneto, sez. II, 14 febbraio 2014, n. 201.
[18] Corte Cost., 29 gennaio 2016, n. 11.
[19] Corte Cost., 21 dicembre 2016, n. 282.
[20] Corte Cost., 26 luglio 2019, n. 208.
[21] Corte Cost., 13 gennaio 2004, n. 12.
[22] T.R.G.A. Trento, 19 gennaio 2017, n. 20; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 2 aprile 2010, n. 970.