Sommario: 1) Quadro normativo di riferimento: incoerenza; 2) Considerazioni sulla natura del contributo straordinario con plusvalenza; 3) Considerazioni sulla criticità del quantum economico di contributo; 4) Contributo sulla plusvalenza ed interventi in deroga SUAP; 5) Contributo sulla plusvalenza ed interventi in deroga per “quarto piano casa” ex lege Veneto14/2019.
1)- Quadro normativo di riferimento: incoerenza.
Soltanto di recente ha preso significativa consistenza quel processo di riqualificazione e recupero urbano, iniziato già con la L.R. n.11/2004 (cfr.art.2,lett. g): divieto di “utilizzo di nuove risorse territoriali solo quando non esistano alternative alla riorganizzazione del tessuto esistente”) e consacrato nelle attuali LL.RR del 2017 e 2019 di pari n.14, rispettivamente sul contenimento del consumo del suolo e di riqualificazione urbana con particolari primalità volumetriche ed incentivi economici, tra cui l’utilizzo di crediti edilizi da rinaturalizzazione.
E’, infatti, di questi mesi una ripresa edilizia che concretizza il principio del contenimento del consumo del suolo, con l’obiettivo di azzerarlo nel Veneto al 2050, coniugandolo con la ricomposizione volumetrica od urbanistica dei c.d. “buchi neri” di complessi immobiliari obsoleti, centri storici, abitazioni e piccoli negozi.
Sempre più si legge sui mass media, il plauso dei cittadini coinvolti in questa od in quell’altra iniziativa di recupero del territorio urbano, con previsioni di agevolazioni per gli interventi conservativi o di ristrutturazione, riducendo gli oneri concessori in vigore.
Sul punto docet la città di Treviso con delibera giuntale del 15 novembre 2019.
Già a livello statale nello stesso T.U. dell’Edilizia erano stati contemplati nel 2014 con la L. n.133/2014 c.d. “Sblocca Italia” degli strumenti normativi che, se adottati dai Comuni, agevolano gli interventi di ristrutturazione e di densificazione edilizia, mediante riduzione del contributo di costruzione “in misura non inferiore del 20 % rispetto a quello per nuove costruzioni” (co.4 bis, art.17 DPR 380/01).
Anche il costo di costruzione per interventi ordinari di ristrutturazione su edifici esistenti, ben possono essere dai Comuni quantificati e pretesi in misura inferiore ai valori determinati per le nuove costruzioni (co.10, art.16 DPR 380 cit.).
Soltanto che queste agevolazioni non si applicano nel caso del “contributo straordinario”, che qui interessa, previsto come corrispettivo del privato proprietario e/o sviluppatore immobiliare al Comune beneficiario per l’incremento del valore dell’immobile, interessato da “interventi su aree od immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso che producano plusvalore”.
E’ una sorta di “tassazione” particolare sulla plusvalenza prevista dal co.4d/ter dell’art.16 del DPR 380 cit., in aggiunta agli ordinari oneri concessori, generata dal Comune per uno speciale intervento in variante o deroga della disciplina urbanistica vigente dallo stesso attenuata, con acquisto del diritto comunale di trattenersi almeno il 50% del maggior aumento del valore venale, calcolato dall’Amministrazione Comunale ma da erogarsi dalla parte privata proponente.
L’altro 50 % di valore del contributo straordinario va alla collettività attraverso il bilancio comunale, nel quale saranno individuate delle entrate vincolate a specifici obiettivi (cfr. Corte Cost. 184/2016, 192/2012 e n.70/2012) e, cioè, destinate “ad un centro di costo vincolato per la realizzazione di opere pubbliche e servizi” ed a cessione di aree per interesse pubblico, equivalente a benessere sociale ma da realizzare nella zona interessata dall’intervento in variante o deroga o cambiamento di destinazione d’uso.
Così gli altri proprietari, che si trovano nel contesto in cui ricade l’intervento pubblico del Comune, probabilmente titolari di proprietà circostanti in un in un contesto centrale densamente urbanizzato e non periferico, beneficeranno indirettamente e gratuitamente degli effetti della valorizzazione immobiliare, senza alcuna restituzione a favore dell’intero territorio, neppure in parte, proprio di quel plusvalore.
Ma a questo aumento di valore, però, non hanno contribuito da un punto di vista finanziario a generare; mentre sono “tassati” solo quei proprietari sviluppatori dell’intervento in deroga che hanno ricevuto per effetto della norma in commento proprio un “attestato d’interesse pubblico”, allorché avevano a lasciare al bilancio comunale un’entrata patrimoniale cospicua, pari al 50% della plusvalenza creata.
Appariva, quindi, rispondere al principio di redistribuzione perequativa, cui è finalizzato il contributo straordinario ed a quello fondamentale di equità sociale, prevedere la restituzione al territorio e quindi alla comunità locale di quel plusvalore che i proprietari del “contesto in cui ricade l’intervento”, pur essendo estranei all’operazione, indirettamente abbiano beneficiato in termini di aumento del valore degli immobili stessi.
Un tanto era stato rilevato dallo stesso Consiglio di Stato, allorché aveva a rimettere alla Corte Costituzionale (con ordinanza del 23 giugno 2015 e deciso con sentenza della Corte Costituzionale n. 209/2017, punti 1.1.2 e 2.2-e 2.3) la questione di costituzionalità della precedente norma statale sulle valorizzazioni immobiliari, con previsione per il Comune di Roma di un contributo straordinario nella “misura massima del sessantasei per cento”.
Le quote di redistribuzione perequativa sono da stabilirsi dal Comune o dalla Regione Veneto con specifiche disposizioni locali.
Rientra, infatti, nelle loro competenze istituzionali proprio ed “esclusivamente” la fissazione della “percentuale di ripartizione” del contributo straordinario nella misura non inferiore al 50 % del plusvalore, al pari delle “modalità di versamento del contributo perequativo” e “delle finalità di utilizzo” (ex co.4 bis, art.16 DPR 380/01, con rinvio al punto 7.4 della sentenza del C.d.S., Sez.IV, n.2382 del 12.4.2009).
Ne consegue da questo raffronto di disposizioni statali e regionali un paradosso normativo:
=mentre il T.U. sull’edilizia chiarisce che è necessario prevedere degli oneri “agevolati” od “in riduzione” quanto agli oneri di urbanizzazione e di quota di contributo del costo costruzione, per operazioni di recupero su edifici esistenti, di riqualificazione e densificazione urbana ed ambientale, oltre di ristrutturazione e quindi da agevolare;
= il contributo statale di cui al comma 4d/ter dell’art.16 TU va in senso contrario od opposto rispetto alla ratio dell’incentivo degli interventi di riqualificazione, pur rimanendo in gioco l’interesse pubblico ovvero il “benessere sociale” per approvare dal Comune un intervento in variante, in deroga ovvero con mutamento di destinazione con plusvalenza.
Questo contributo straordinario, infatti, per norma statale in commento è pure erogato dalla parte privata al Comune “che attesta l’interesse pubblico” ma anziché incentivare le operazioni di recupero in variante od in deroga, ovviamente approvate da ente Pubblico ed in presenza di un interesse pubblico, non speculativo privato, le penalizza grandemente, aggiungendosi agli oneri concessori e così riducendo l’efficienza del mercato del recupero urbano ed ambientale.
Ciò appare un paradosso d’incoerenza legislativa, che non può non essere risolto che nella direzione indicata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 68/2016: il comma 4 bis, come ribadito dal co. 5, va interpretato nel senso che introduce un’ampia clausola di salvaguardia a favore della competenza legislativa della Regione Veneto e quindi di “cedevolezza” del principio statale di onerosità straordinaria sia per le “diverse disposizioni delle legislazioni regionali” sia “degli strumenti urbanistici generali comunali” (sic! anche i Comuni possono dettagliare il contributo straordinario con atti amministrativi al pari della legge regionale).
Il che induce, per il “groviglio legislativo” generato dalla norma in commento, all’ approfondimento sulla natura ed estensione dell’obbligo del pagamento del contributo straordinario nella Regione Veneto.
2)- Considerazioni sulla natura del contributo straordinario con plusvalenza
Occorre premettere il richiamo al 1 co. dell’art.16 del TUE, secondo cui il rilascio del permesso a costruire comporta, com’è notorio, il pagamento obbligatorio di un contributo, commisurato agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione.
Si ricordi, come affermato dall’AD.Plenaria C.D.S. n.12 del 30 agosto 2018, che questo corrispettivo dovuto per il rilascio del titolo è comunemente ritenuto di natura non tributaria a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione ovvero una compartecipazione del privato alla spesa pubblica per opere di urbanizzazione.
Il quarto comma dell’art.16 cit. stabilisce dei criteri di calcolo per la determinazione in delibera consiliare comunale degli oneri di urbanizzazione “ordinari”, introducendo, però, ex L. 164/2014, alla sua lettera d/ter, un ulteriore onere rapportato all’aumento di valore venale e cioè al più probabile valore di mercato che le aree e gli immobili hanno conseguito per effetto di varianti urbanistiche, deroghe o mutamenti di destinazione.
Detto maggior valore viene calcolato dall’Amministrazione ed è suddiviso in misura non inferiore al 50 % tra Comune e privato (e non della percentuale del “sessantasei per cento del maggior valore immobiliare conseguibile” come per legge n.122/2010 a favore della gestione di Roma Capitale). Quest’ultimo privato provvederà ad erogarlo alla parte pubblica[1].
Si tratta, pertanto, di un “contributo straordinario”, diverso ed aggiuntivo rispetto agli oneri concessori che va a sovrapporsi, nei casi in cui a monte dell’intervento vi sia una determinata scelta pianificatoria di natura eccezionale (C.D.S., Sez. IV n.2382/2019).
Esso sempre acquista la natura di corrispettivo di diritto pubblico, al pari delle altre voci di contributo concessorio (Ad.Plen 12/18 cit.); insorge e deve essere quantificato, in via, per ora provvisoria, in attesa delle tabelle parametriche regionali dallo stesso Comune al momento del rilascio del titolo edilizio. Ne consegue che non solo sono irrilevanti ed ininfluenti le disposizioni tariffarie sopravvenute dopo quell’indicato momento di rilascio (C.D.S., Sez.IV n.2754/2012) ma anche, qualora la Regione non avesse stabilito le nuove tabelle per contributo straordinario, i Comuni comunque debbono provvedere in via provvisoria con delibera consiliare (cfr. il comma 5 cit., art.16 DPR cit. che rinvia alla clausola di salvaguardia a favore delle “diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali e comunali”, in vigore l’11 novembre 2014, di cui al precedente comma 4 bis cit.), senza potere di prevederne l’esonero, non previsto dalla legge statale, secondo i parametri vigenti e con i contenuti di percentuale di ripartizione, modalità di versamento del contributo straordinario e di finalizzazione delle somme versate dal privato, dettati dal secondo periodo della lett. d-ter del comma 4, art.16 cit.
Ma che succede in questa “congerie” di normative e di rinvii di competenze, se nel determinare il contributo straordinario con delibera consiliare il Comune, facendo propria la perizia tecnica estimativa sul plusvalore, così da giustificare la discrezionalità esercitata, liquidasse una somma, rivelatasi poi erronea sia a favore come a sfavore del privato? Ed ancora: la PA potrà rideterminare l’entità del contributo straordinario nel corso del rapporto?
Si ritiene che la risposta si possa trovare nella sentenza n.12/2018 dell’Adunanza Plenaria, pur relativa agli oneri concessori “ordinari”, per i quali la quantificazione è predeterminata in base a tabelle parametriche, conoscibili e verificabili dal privato ex ante e vincolanti il conteggio che la PA deve effettuare.
Infatti in detta pronuncia è stato affermato il principio, secondo cui “la pubblica amministrazione, nel corso del rapporto, può sempre determinare, sia a favore come a sfavore, l’importo di tale contributo, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art.2946 c.c.), decorrente dal rilascio del titolo”.
Se, pertanto, l’autoliquidazione comunale può essere rivista nelle “ordinarie” ipotesi in cui il privato, anche con l’ausilio del progettista che l’assiste, può verificare il conteggio contributivo, essendogli già note e chiare le tabelle; tanto più sarà ammissibile in linea di principio la rideterminazione del contributo “straordinario”, liquidato dal Comune, in assenza delle tabelle parametriche regionali.
In quest’ultimo caso, infatti, il relativo conteggio comunale non è stato l’effetto di un procedimento vincolato da parte della PA, che non abbia consentito a priori la verifica del privato ma il risultato di un’analisi tecnico-estimativa, i cui criteri per il computo della plusvalenza o del maggior valore non sono stati dettati né dal legislatore statale né da quello regionale.
E’ la stessa norma statale istitutiva del contributo, qui in commento, che non pone alcun criterio preciso di quantificazione, se non la generica e vaga riferibilità del “maggior valore”, generato da una variante urbanistica o deroga o cambio d’uso di riqualificazione.
Neppure viene precisato e si dimenticala “perequazione urbanistica orizzontale” in atto ai sensi dell’art. 35 e ss. L.R. 11/04 nonché l’incidenza dell’interesse pubblico urbanistico che deve sostenere la variante o la deroga.
Inoltre, è stato trascurato l’aspetto che anche altri proprietari in zona che beneficiano di quella valorizzazione immobiliare, generata dal privato proponente, in quanto appartenenti allo stesso ambito zonale, debbono contribuire in via straordinaria con eventuali restituzioni.
Questi soggetti di “vicinanza” all’intervento in variante o deroga restano formalmente estranei all’operazione di riqualificazione e, quindi, potrebbero conseguire un eccesso di benefici, in barba al principio del “perseguimento di una corretta ed imparziale pianificazione”.
Così la poca chiarezza e vaghezza della norma comportano incertezza sotto il profilo dell’ammontare dell’operazione plusvalenza e convenienza economica della stessa per il soggetto privato che, unico, resta sotto rischio.
Ma si vedano le questioni fondamentali.
3) Considerazioni sulla criticità del quantum economico di contributo
Secondo la scienza dell’estimo immobiliare quantificare il contributo straordinario con esattezza riduce l’incertezza dell’operazione immobiliare che genera plusvalenza.
Numerose sono le formule per il calcolo del plus valore, ma quella che comunemente viene adottata dai Comuni per la liquidazione di questo c beneficio da trasformazione consiste nella differenza tra il valore di mercato dei beni immobili che il progetto in variante o deroga consente di realizzare (VM post) ed il valore di mercato dell’area prima della sua trasformazione (VM ante), detraendo dalla differenza di detti valori i costi d’investimento sostenuti (CT) e moltiplicando per la percentuale di plusvalore (non inferiore al 50%) da corrispondere al Comune (IP)[2].
Per trarre i riferimenti valoriali si rinvia alle delibere di ciascun Comune ai fini IMU-TASI ovvero ai valori risultanti dalla fonte provinciale OMI (Osservatorio Mercato Immobiliare) dell’Agenzia delle Entrate.
In questa prospettiva lo svolgimento delle citate operazioni di calcolo o l’eventuale incertezza nell’applicazione dei coefficienti determinativi il comportamento delle due parti, Comune e privato, deve essere “certamente” improntato all’ordinaria diligenza ed al principio di buona fede ex art.1175 e 1375 c.c., come insegna la citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n.12/ 2018 (punto14).
Per cui il Comune ha “certamente” l’obbligo di adoperarsi, affinché la liquidazione del contributo venga eseguita “nel modo più corretto, sollecito, scrupoloso e preciso, sin da principio” improntando la sua azione secondo il principio del buon andamento ex art.97 Cost ed alla legalità sostanziale”.
Anche il privato debitore deve sforzarsi, secondo buona fede ed ordinaria diligenza, di verificare i parametri del conteggio “nell’ottica di una leale collaborazione finalizzata all’attuazione del rapporto obbligatorio ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio” (punto 14.8 e 14.9), senza trincerarsi nell’imponderabilità di eventuale errore riconoscibile ex art.1431 c.c. dall’una o dall’altra parte, perché ritenuto puramente o “del tutto naturalmente interno” a ciascuna delle due parti pubblica o privata.
Calando questi principi di correttezza comportamentale nel caso di specie occorre tener conto di due questioni critiche, incidenti sul valore di mercato degli immobili od aree, oggetto dell’operazione di variante o deroga, generatrice di plusvalenza:
1)- tra il momento di presentazione del progetto in variante con atto unilaterale d’obbligo, “specificando gli obblighi funzionali al soddisfacimento dell’interesse pubblico (ex art.28 bis TUEL) e l’effettiva alienazione od immissione nel mercato delle aree d’interesse potrebbe passare un certo lasso di tempo che aumenta il grado di incertezza dei proventi in capo ai diversi soggetti;
2)- la eventuale plusvalenza al momento della immissione delle aree sul mercato dipenderà dal mercato stesso, per cui il contributo da plusvalenza potrebbe essere soltanto figurativo ed incerto. Addirittura emerge il caso concreto della non immissione sul mercato dell’immobile o dell’area con incidenza molto forte sull’aumento di valore immobiliare.
Solo la celerità della contrattazione tra le parti e le decisioni pubbliche, rapide e semplificate, potrebbero attenuare le questioni di una riduzione od azzeramento della plusvalenza, tanto da annullarla rispetto all’inizio dei lavori.
Ma se questo azzeramento del “maggior valore” già intervenisse in vigenza del permesso a costruire, in deroga, ciò significa che lo stesso sotteso intervento edificatorio autorizzato in deroga, ad esempio di ristrutturazione edilizia, attuato in aree industriali dismesse ex art. 14/1 bis TUE, non è stato realizzato nei termini concessi e, quindi, la plusvalenza, già liquidata al 50% al Comune, sarebbe stata soltanto figurativa ed incerta.
Quindi, spontanea sorge la domanda se ci sia titolo alla rideterminazione della somma effettivamente spettante al Comune, in luogo di quella erroneamente corrisposta, ovvero alla restituzione del contributo concessorio in commento od imputazione dello stesso ad altro permesso a costruire rinnovato, come dispone l’art.15, comma 3 del DPR 380/01, secondo cui “ la realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso… Si procede altresì, ove necessario al ricalcolo del contributo di costruzione”?
La risposta sulla rideterminazione, come si diceva, è stata data in senso positivo dall’Ad. Plenaria del C.D.S. con sentenza n. 12 del 2018, cui si rinvia.
Il presupposto della plusvalenza al contributo straordinario, così, è da legarsi non solo alle condizioni generali in cui versa il mercato al momento del rilascio dal Comune del titolo edificatorio legittimante ma anche alla qualità degli immobili riqualificati ed all’effettività degli investimenti sostenuti e sostenendi nel corso di validità del rilasciato permesso a costruire in deroga, da dedursi, con perizia ad hoc, dalla differenza tra valore di mercato ex post (Vm-post )- Valore di mercato ex ante (Vm-ante).
Rimangono, comunque, intere fattispecie di “varianti e deroghe normative” ai regolamenti e strumenti urbanistici locali vigenti, previste ope legis, in cui resta incerta l’applicabilità del contributo straordinario per interventi immobiliari in deroga.
Così, occorre interpretare l’ambito operativo degli interventi eccezionali in variante SUAP e quelli straordinari in deroga, all’odierna data del novembre 2019, ancora consentiti dall’art.11 della L.R. n.14/2019, nella parte c.d. “quarto piano casa Veneto”, in cui è generata plusvalenza.
4)– Contributo sulla plusvalenza ed interventi in deroga SUAP
Ulteriore aspetto d’incertezza della disciplina contributiva riguarda la normativa sugli interventi di edilizia produttiva in deroga ed in variante allo strumento urbanistico generale, prevista dagli artt.7- 8 del DPR n.160/2010 sul riordino dello Sportello Unico per attività produttive (SUAP), come dettagliata ed integrata dagli artt. 3 e 4 della L.R. Veneto n.55/2012.
In particolare l’art.8 del DPR cit., rubricato con “raccordi procedimentali con strumenti urbanistici”, integrato dall’art.4 L.R. n.55/12, prevede la possibilità per l’interessato, nei Comuni in cui lo strumento urbanistico non individua aree destinate all’insediamento degli impianti produttivi od individua aree insufficienti, di presentare in variante un progetto edificatorio per impianti produttivi ex novo localizzato ovvero da ampliare in zona impropria.
Per questi interventi in variante è previsto un procedimento unico e semplificato, scandito da conferenza di servizi, approvazione consiliare, sottoscrizione convenzione e rilascio di permesso a costruire in variante (od anche in deroga, in caso di dimensioni dell’intervento produttivo circoscritto ad ampliamento fino a mq.1500).
Lo stesso recente art.6, comma 9 della L.R. n.14/2019 c.d. “quarto piano casa” per la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, che prevede percentuali d’ampliamento “fino al 20 per cento della superficie degli edifici esistenti o “comunque superiore a 1500 mq.”, in deroga allo strumento urbanistico comunale, rinvia ancora all’applicazione semplificata del procedimento unificato, fissato dai predetti artt.7-8 DPR 160/2010, come integrato dagli artt. 3-4 della L.R. 55/2012.
Ciò premesso, occorre interpretare la norma statale in commento sul contributo straordinario da corrispondersi al Comune per “aumento di valore”, su area od immobili, generato da siffatto intervento produttivo in variante urbanistica.
Ma questa operazione interpretativa si svolge all’interno di un “groviglio normativo”, tanto complesso da costringere la stessa Corte Cost. a prendere posizione con la sentenza n.68/2016 (punto 2.2 in diritto), così da configurarlo “un inconveniente di mero fatto”, non idoneo ad assurgere a parametro costituzionale di raffronto (cfr. anche Corte Cost. 249/2009).
Quello che rilevava era l’irragionevolezza della norma, prospettata sotto il seguente profilo: la mancanza di valutazione dell’“interesse pubblico urbanistico che sosteneva la variante o la deroga” con l’introdotto e sovrapposto “interesse pubblico al pagamento del contributo straordinario” de quo.
In effetti, era paradossale che:
= da un lato, s’incentivassero gli interventi produttivi in variante, introducendo (motivatamente), sia con l’art.48, bis 2 della L.R 11/2004, la possibilità di variare il PRG anche per localizzazioni di nuove attività produttive in zona impropria addirittura sia con l’art.12 della L.R. 14/2017, la deroga ai limiti stabiliti dalla G.R. Veneto sulla quantità massima di consumo del suolo per ammessa per Comune e,
= dall’altro si scoraggiassero gli stessi interventi produttivi con una norma statale di prestazione patrimoniale straordinaria a carico del privato produttore, allorché avrebbero dovuto esser favoriti il recupero, la ristrutturazione ed il riuso del patrimonio edilizio esistente.
La Corte Costituzionale sul punto, proprio su ricorso per competenza della Regione Veneto, aveva a stabilire che “gli interessi urbanistici non restavano per nulla compromessi dalle vicende relative alla corresponsione del contributo straordinario”, in quanto era stata introdotta dal legislatore statale quell’“ampia clausola di salvaguardia delle diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali” (co.4 bis).
E ancora: “nulla impedirebbe alle Regioni di introdurre, eventualmente, specifiche regole che modulino l’attribuzione delle plusvalenze in termini percentuali coerenti con le realtà locali” (da punto1.1. sentenza Corte Cost. 68/2016).
Cosicché il ricorso della Regione Veneto veniva dichiarato inammissibile, poiché non era lesa la competenza legislativa concorrente regionale a favore dello Stato, la cui norma sul contributo era “cedevole” rispetto alle “diverse legislazioni regionali” e, quindi, non era norma di principio.
Da allora nasceva contenzioso in sede giurisdizionale amministrativa a seguito applicazione, in via provvisoria, di quel contributo straordinario da parte dei Comuni.
La questione è stata risolta dal “diritto vivente “ con la recente sentenza del C.D.S., Sez.IV n.2382 del 12.4.2019, confermativa della sentenza del TAR Veneto n. 382/2018, resa tra un Comune del Veneto e parte privata richiedente ampliamento di fabbricato industriale in zona adiacente agricola.
I principi di diritto rilevanti sono i seguenti, che si riportano per esteso da detta sentenza, assumendo carattere di precetti addirittura lapidari, con l’uso degli avverbi “solo”; “neppure”, “esclusivamente” ed “indistintamente”:
a)- applicazione generale “ indistintamente per tutti i procedimenti” di edilizia produttiva che comportano maggior valore. Infatti, viene affermato che “il contributo straordinario di cui all’art.16 co.4, lett.d/ter, sebbene di carattere straordinario, presenta nella materia edilizia un’applicazione generalizzata”, confermando così l’originaria sentenza del TAR Veneto che aveva fatto riferimento anch’essa ad ogni ipotesi di variante generata da interventi di edilizia produttiva e, quindi, anche a quella approvata con la procedura SUAP, che non faceva eccezione;
b)- assenza nella previsione statale di cui all’art.8 del DPR 160/2010 dell’espressa esclusione al procedimento SUAP del prelievo contributivo; [3]
c)- l’art.8 del DPR160/01 regola soltanto modalità particolari della domanda e del procedimento dell’edilizia produttiva e prevede agevolazioni per lo sviluppo delle corrispondenti attività, senza disporre nulla in materia di obbligo contributivo. [4]
Viene, poi, affermato l’ultimo principio di diritto, rilevante ai fini che qui interessano:
d)- oltre a non essere “neppure ipotizzabile una previsione di esonero totale dal contributo straordinario”, la clausola statale di salvaguardia in funzione delle diverse legislazioni, introdotta al co. 4 bis dell’art.16 D.P.R. 380/01 (“fatte salve le diverse disposizioni”), riconosce e limita l’ambito di operatività delle diverse legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali “nei seguenti contenuti, individuabili esclusivamente”: 1)- nella percentuale della ripartizione; 2)- nelle modalità di versamento del contributo, vincolato in bilancio comunale a specifico centro di costo e 3)- nelle finalità di utilizzo del contributo, pubblicistiche e di vicinanza all’intervento.
A questo punto, in cui viene perentoriamente affermato che gli interessi urbanistici non restano, per nulla, compromessi dalle vicende relative alla corresponsione del contributo straordinario, i Comuni sono tenuti, ai sensi del comma 5 dell’art.4 d/ter, a provvedere, in via provvisoria, in attesa delle tabelle parametriche della Regione a disciplinare in via attuativa, semmai con l’approvazione di “Linee Guida” [5], al precetto statale di onerosità straordinaria per varianti e deroghe al PRG, al PAT od al PI.
Restano, infatti, “ferme le diverse…disposizioni degli strumenti urbanistici comunali” (co.4 bis), quasi che i Comuni avessero potestà legislativa da salvaguardare in sostituzione della Regione Veneto che non ha legiferato sul punto né delle tabelle parametriche né del riparto del contributo ed altre funzioni del secondo periodo del co.4, circoscritte dal C.D.S. nella citata sentenza n. 2382/2019.
Ma se un’ulteriore incertezza interpretativa in questo “groviglio normativo” parrebbe risolta, in attesa di fissazione per legge regionale del quadro di riferimento delle tabelle parametriche da parte della Regione, resta la tematica delle convenzioni, da raccordare, quanto al contributo straordinario, per interventi di edilizia produttiva, già stipulate dall’11.11. 2014 e condizionanti il corrispondente titolo edilizio in variante e deroga urbanistica.
Il tema di riflessione è alquanto rilevante, poiché non è stata emanata alcuna norma statale transitoria né regionale di modulazione sui modi e tempi di debbenza del contributo straordinario che, così, resta ancorato ex art.16, 1 co del DPR 380, al momento del rilascio del titolo edilizio in variante od in deroga, in cui il rapporto sinallagmatico tra Comune e privato, consacrato in convenzione, aveva assunto un suo equilibrio patrimoniale, accettato dalle parti.
Sono, addirittura, trascorsi quattro anni di gestione del SUAP per edilizia produttiva, da quando è entrato in vigore il comma 4, d/ter in commento e sono stati stipulati numerosi accordi sostitutivi ex art.6 della l.R. n.11/2004 sul governo del territorio, comportanti variante urbanistica, dal momento che essi potevano riguardare qualsiasi previsione urbanistica, “con l’unico limite che non si tratti di una revisione generalizzata”.
Dette convenzioni, però, facenti parte integrante dei titoli edilizi in variante, potrebbero non essere state rispettose della quota di riparto del contributo in parola, pari ad un importo non inferiore del 50 % della plusvalenza creata e convenzionata.
Anche in questa complessa fattispecie soccorre l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n.12/2018, secondo cui il pagamento del contributo di costruzione, di cui quello straordinario costituisce voce aggiuntiva patrimoniale a favore del Comune, è disciplinato da norme di diritto privato ex art.1, comma 1 bis L. n.241790 “salvo che la legge non disponga diversamente”.
Ne consegue che il rapporto pubblico-privato, essendo regolato dai principi del codice civile compatibili, non è esclusa- secondo l’AD. Plenaria n.12- la doverosità della rideterminazione, quante volte la PA si accorga che l’iniziale determinazione degli oneri “sia dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle” e, nel caso in esame, dal mancato computo del contributo straordinario.
Il Comune, pertanto, ben potrebbe avvalersi del meccanismo civilistico, anziché quello dell’autotutela amministrativa, inerente solo ad atti autoritativi, del meccanismo civilistico, noto come “inserzione automatica di clausole” ex art.1339 c.c., per rideterminare i rapporti paritetici con il privato, onde conformare l’assetto negoziale convenzionato alle norme aventi natura imperativa (cfr. CDS, 6.10.2015 n.4653).
Ma si esamini anche l’altra importante “deroga normativa”, di cui al c.d. piano casa del Veneto.
5) –Contributo sulla plusvalenza ed interventi in deroga per “quarto piano casa” ex lege Veneto14/2019.
Nel Veneto è stata superata la temporaneità della straordinaria normativa c.d. “quarto piano casa” con il titolo III (artt. da 6 ad 11) del titolo III “riqualificazione del patrimonio edilizio esistente” della L.R n.14/2019.
In precedenza erano entrate in vigore le LL.RR n.14/2009, n.13/2011, n.32/2013 e n.36/2013, ora abrogate.
5.1.)= Della precedente L.R. n.14/09 in vigore fino al 5.4.2019 (BUR n. 32 del 5.4.2019 di pubblicazione della attuale L.R.14/2019), ed ora in particolare dell’art.11 sulle “disposizioni generali e di deroga” della L.R. 14/2019, sorge la dubbiezza di costituzionalità, in quanto sono previsti “gli interventi di cui agli artt. 6 e 7 che possono derogare ai parametri edilizi di superficie volume ed altezza ,previsti dai regolamenti e strumenti urbanistici comunali nonché ai parametri di altezza, densità e distanze di cui al Dm 1444/1968”.
Lo spunto è dato sia dal rinvio alla Corte Costituzionale con ordinanza del CDS, Sez.VI n.1431/2019 che aveva a sollevare questione di costituzionalità della norma regionale 8 luglio 2009 n.14, il cui art.9, co 8 bis del c.d. “piano casa” LR n.14/1009 aveva ad introdurre possibilità di deroga alle disposizioni in materia di altezza, di cui al DM 1444 del 1968 per ampliamenti e ricostruzioni in ZTO omogenee di tipo B e C (caso Castelfranco/Antares).
Anche da ultimo, con ordinanza cautelare del Tar Veneto, Sez. II, n.523 /2019 del 22.11.2019, è stato ritenuto che fosse fornito di sufficiente “fumus boni juris” quel ricorso avverso il caso di realizzazione del “Bosco Verde”- o piano “Boeri” di Treviso, attuativo del precedente piano casa di cui alla L.R. n.14/2009, poiché “non è consentito di derogare alle disposizioni urbanistiche che definiscono le condizioni di edificabilità delle aree” né è ammissibile il calcolo dell’altezza in deroga al DM n.1444/1968 come, invece, previsto dalla L.R Veneto cit., introdotta nel 2009.
La tesi interpretativa sviluppata dal Giudice Amministrativo si fonda su due principi fondamentali:
1)- il DM n.1444/68 ha “efficacia e valore di legge”, sicché sono comunque inderogabili le sue disposizioni in tema di limiti di densità, di altezza e di distanza tra fabbricati, che vincolano i Comuni, prevalendo sulle contrarie disposizioni ed anche immediatamente operano nei confronti dei proprietari frontisti;
2)- gli spazi di derogabilità appaiono ammissibili, in capo al legislatore regionale nei limiti dettati dal legislatore statale e cioè nell’ambito di “definizione o revisione di strumenti urbanistici, comunque funzionali ad un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali” (art.2 bis DPR 380/01).
Poiché nel caso esaminato dal CDS non si rinvenivano nella precedente L.R. 14/09 queste condizioni di deroga, si rimetteva la questione al Giudice delle Leggi, tuttora con giudizio pendente.
Così rimane sub judice la questione sulla rideterminazione del contributo straordinario per quelle fattispecie per le quali fosse stato rilasciato in titolo in deroga od in variante ai sensi della L.R. n.14/2009 dal novembre 2014.
Infatti verrebbe, per effetto dell’eventuale sentenza della Corte Costituzionale con dichiarazione d’incostituzionalità proprio quel presupposto normativo e di principio fondamentale in materia di governo del territorio che sosteneva il titolo edilizio con oneri concessori.
Quindi non potrebbero essere rideterminati gli oneri, compreso il contributo de quo, aprendosi scenari impensabili di sanatoria e di sanzioni irrogabili.
5.2.)= Discorso del tutto diverso, poi, si deve fare per l’ attuale art.11 L.R. 14/2019 c.d. “quarto piano casa”, essendo ammesse- come recita l’ultima parte del co. 1- quelle deroghe edilizie, predisposte nel contesto dei piani urbanistici attuativi, in quanto strumenti funzionali a conformare un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio (ex multis, sentenze nn.231,189,185 e 178 del 2016; Tar Veneto, sez.II 24.10.2017 n.944).
Si sarebbe, quindi, rispettato quello spazio di eccezione normativa, previsto dal D.M. 1444/1968 e quindi appare legittima costituzionalmente la previsione regionale di deroga, poiché l’ultima parte del 1 co. dell’art. 11 L.R. 14/2019 circoscrive la deroga al D.M. 1444/1968 “nell’ambito di strumenti urbanistici di tipo attuativo con previsioni volumetriche che consentono una valutazione unitaria e complessiva degli interventi”.
In questa ottica, infatti, la citata norma regionale di deroga, essendo inserita all’interno dell’ambito di esenzione del D.M. 1444/1968 ed essendo attuativa del perimetro di esenzione statale di cui all’art. 2 bis del D.P.R. 380/01, non potrebbe che essere ritenuta costituzionalmente legittima sul contributo straordinario ex art.16, co 4 lett. d/ter DPR 380/01, trova legittimo fondamento su di una deroga legittima costituzionalmente.
Quindi è applicabile al contributo straordinario quel previsto meccanismo di salvaguardia o di “cedevolezza” della norma statale che fa “salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali” ed anche degli “strumenti urbanistici generali comunali” (NTA del PAT-NTO del PI-NTA PRG).
Ma entro precisi limiti dettati proprio dalla legge statale in commento, poiché il co.4 bis dell’art. 16 D.P.R. 380/01 “fa riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d) ter del comma 4” precedente”.
Questo puntuale rinvio del comma 4 bis della norma statale in commento, come precisato dal CDS, Sez. IV con lapidaria sentenza n.2382/2019, individua l’ambito specifico di operatività delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali.
In questo spazio operativo, ove possono “muoversi” i Comuni e le Regioni, rientrano tre funzioni, come detto e cioè: a) il riparto percentuale del contributo straordinario, nella misura non inferiore al 50%, spettante al Comune del “maggior valore” generato dalla deroga, che si è visto essere costituzionalmente legittima; b) le modalità di versamento del contributo perequativo, vincolato a specifico centro di costo”; c) finalità di utilizzo per opere pubbliche o servizi nella vicinanza ovvero cessione di aree od immobili da destinare a pubblica utilità o di generale interesse sociale.
Per l’esercizio di queste funzioni ed in questo ambito normativo ben possono o debbono operare le Regioni ed i Comuni ma solo all’interno del perimetro segnato dallo Stato sull’obbligatorietà del contributo straordinario, senza esenzioni totali, non previste dall’art.17 del DPR 380/01.
5/3.)= Come si può rendere coerente con questo sistema i previsti benefici ed incentivi della c.d. “legge sulla casa per il Veneto”, di cui in particolare all’art.10, terzo comma L.R. n.14/2019, in cui “i consigli comunali possono stabilire un’ulteriore riduzione del contributo relativo al costo di costruzione”, rispetto al già ridotto del 20 % per incentivare gli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente nel Veneto?.
Non potrebbe, infatti, ritenersi coerente e razionale quel sistema che, da un lato, aggiunge ai contributi concessori un altro contributo straordinario per interventi in deroga con plusvalenza e dall’altro lato, gli stessi oneri per gli interventi in deroga sono ridotti per legge con benefici ed incentivi, con crediti edilizi.
Non è chi non veda la palese violazione almeno dell’art. 3 sulla ragionevolezza, art. 97 sul buon andamento della PA e art. 117 Cost. sul riparto di competenze istituzionali e conflitto di attribuzione di funzioni tra Stato e Regioni.
La via interpretativa sistematica, conforme alla Costituzione, appare indicata dallo stesso sistema normativo del contributo straordinario.
Si è detto che allo Stato in questa materia subentrano le Regioni ed i Comuni, ovviamente l’uno con leggi e gli altri con regolamenti, in forza della clausola di “cedevolezza”.
Tra le funzioni assegnate per legge statale alle Regioni è proprio lo spazio riservato loro della “percentuale di ripartizione”, fissata dallo Stato nel 50 per cento della plusvalenza.
Se quindi “esclusivamente” la Regione può operare all’interno di questa percentuale di plusvalenza, non potrà che esserle riconosciuta la funzione motivata di riduzione ovvero di aumento di detta percentuale del 50 %, escluso l’esonero del contributo straordinario di spettanza dello Stato.
Ma si può sostenere che così la Regione avrebbe già implicitamente legiferato per la riduzione dell’onere portato dal contributo straordinario, poiché questi è stato introdotto nel 2014, in data anteriore alla L.R. n.14 del 2019?
Questa obiezione cozza contro il rilievo assorbente che per ritenere integrato il c.d. criterio della specialità della L.R. n.14/2019 è necessaria un’espressa previsione in ordine alla esclusione del contributo straordinario dall’applicabilità al procedimento del c.d. “piano casa quarto”.
In analogia è stato affermato dal C.D.S. con sentenza n. 2382/2019, per gli interventi di edilizia produttiva SUAP in deroga di cui al D.P.R. 160/2010, come richiamati al co. 9, art. 6, L.R. n. 14/2019.
E’ ancora potrebbe obiettarsi: è la stessa Regione che, implicitamente ed indirettamente che con le sue agevolazioni e riduzioni contributive di oneri, avrebbe inciso sul “maggior valore”, generato dall’intervento in deroga e, quindi, sull’ammontare del contributo straordinario.
Solo che sempre resta l’eccezione della mancata espressa esecuzione per legge od opera della Regione Vento, proprio riducendo la percentuale del 50% del plusvalore, come stabilita dallo Stato, in assenza di statuizione regionale.
E questo senza richiamare che, come osservato dal C.D.S. con la sentenza più volte richiamata n.2382/2019, l’obbligo di contribuzione, sebbene previsto in via straordinaria dallo Stato, “presenta nella materia un’applicazione generalizzata” a tutti i procedimenti in deroga, non escluso quello da c.d. “quarto piano casa” ex lege reg. 14/2019.
In conclusione, mentre i Comuni, in via transitoria, in attesa delle tabelle regionali, dovrebbero applicare la percentuale di contributo straordinario non inferiore al 50% dell’aumento di valore per interventi in deroga (comma 5, art.16 DPR 380), introducendola con variante regolamentare alle N.T.O. del P.I. ovvero in approvazione di “linee guida” aventi carattere regolamentare locale.
La Regione Veneto, anche con norma interpretativa, dovrebbe introdurre e chiarire in questo “groviglio legislativo”, una disposizione legislativa regionale di riduzione del riparto della percentuale del 50%, riconoscibile dai Comuni, con recepimento delle introdotte nuove tabelle parametriche, per casi speciali e giustificati d’interventi in deroga con “aumento di valore”, come quelli di riqualificazione urbana dell’esistente patrimonio del “quarto piano casa” della L.R. n.14/09 ovvero interventi di edilizia produttiva, di cui al D.P.R. 160/2010 in variante od in deroga con SUAP.
Questo chiarimento interpretativo o nuova legge di fissazione delle tabelle parametriche subisce il limite del principio fondamentale, in forza del diritto d’esonero totale dal contributo unificato spetta solo allo Stato ex art. 117 Cost., come attuato con l’art. 17 DPR 380/01.
Ciò consentirebbe di ridurre l’incertezza applicativa delle leggi in materia e non bloccare l’iniziato processo di miglioramento della qualità della vita, come intrapreso dapprima con la fondamentale LUR Veneto n. 11/2004 sulla perequazione e compensazione urbanistico – ambientale (art 37 e ss) ed, ora, con le due LL.RR. n. 17/19 e n. 14/19, dirette al contenimento del consumo del suolo con “anno zero al 2050”, alla riqualificazione edilizio, sostenibilità ed efficienza ambientale ed, in genere, con interventi che rafforzino la coesione sociale dei cittadini sul territorio.
Primo Michielan
* Relazione tenuta al convegno su “Principi e deroghe della nuova urbanistica veneta dal contenimento del consumo di suolo alla L.R. 14/2019 “Veneto 2050” svoltosi a Castelfranco Veneto il 29 novembre 2019 a cura dell’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti.
[1] In precedenza per una pari vicenda di contributo straordinario (addirittura nella “misura del sessantasei per cento del maggior valore immobiliare conseguibile, a fronte di rilevanti valorizzazioni immobiliari generate dal PRG” di Roma), era stata sollevata con ordinanza del 23 giugno 2015 del C. d.S, Sez.IV, la questione di legittimità costituzionale per violazione, tra l’altro, dell’art.23 Cost di riserva di legge in relazione all’art.14 L n,122/2010 in materia di federalismo fiscale, per la stabilizzazione della gestione di Roma Capitale.
(La questione è stata decisa dalla Corte Cost. con sentenza n.209/2017 d’inammissibilità non solo per esser sopravvenuto il “contributo straordinario” in commento, introdotto nel 2014 nel TUE, ma anche perché non erano state chiarite le ragioni, per cui la norma impugnata servirebbe a conferire “base legale” ad un procedimento amministrativo di pianificazione urbanistica, esercitato esclusivamente sulla base d’ accordo pubblico-privato ed approvato come sostitutivo di provvedimento (CDS, SEZ.IV n.4545/2010).
[2] La formula proposta è la seguente: VCS = [(Vm post – Vm ante) – Ct] x Ip, in cui rileva la sigla Ct corrispondente al costo di trasformazione e d’investimento sull’opera progettata, in variante, deroga e/o cambio di destinazione d’uso, quantificato da varie voci determinate, in via provvisoria, dalle “Linee Guida” adottate dai Comuni (in attesa della Regione Veneto), corrispondenti in generale al costo della costruzione finita, tratto dai prezziari della Camera di Commercio di competenza, alla spesa d’acquisizione dell’area, alla somma degli oneri concessori più le spese tecniche forfettarie di redazione della variante.
Anche altra formula va per la maggiore e cioè: CS=PV x 50%, in cui CS sta per contributo straordinario (CS) ed è pari al 50% del plusvalore (PV). Il PV è dato dalla differenza del valore dell’area post variante ed il valore ante diminuiti dei costi di acquisizione dell’area, costi di redazione della variante ovvero altro di investimenti immobilairi: PV= V post – V ant – C
[3] Così testualmente il CDS, Sez. IV, n.2382/19: “nella disciplina statale di cui all’art.8 del DPR 160/2010 che disciplina gli interventi produttivi in variante allo strumento urbanistico generale, risulta assente un’espressa previsione in ordine all’esclusione dell’applicabilità del procedimento SUAP del prelievo contributivo, necessaria al fine di ritenere integrato il criterio di specialità”.
[4] Così il CDS Sez. IV n. 2382/2019: “la medesima disciplina, piuttosto che introdurre una normativa derogatoria in materia di obbligo contributivo, non fa che limitarsi a disciplinare una modalità particolare per la domanda ed il rilascio del titolo edilizio, con previsioni agevolative ai fini dell’implementazione e per lo sviluppo dell’attività produttive”.
[5] per l’edilizia produttiva approvate con DGR Veneto n.2045 del 19.11.2013 ed esplicate con circolare regionale n.1 del 2015, in BUR n.13 del 3.2.2015, in data posteriore alla novella “Sblocca Italia “ del 2014, secondo cui occorre condizionare il titolo edilizio SUAP in variante alla corresponsione del contributo straordinario in parola, “secondo gli importi e modalità fissati dal Comune”.