1 – Premessa. 2 – Gli artt. 7-14 delle Norme Tecniche relative al Sistema del Territorio Rurale. 3 – Il monitoraggio ambientale di cui all’art. 6 del PTRC in relazione al territorio rurale. 4 – Il Trattato istitutivo e i Regolamenti dell’Unione in materia di aiuti ai settori agricolo e forestale nelle zone rurali. 5 – La programmazione regionale veneta relativa allo Sviluppo Rurale fra l’idea di contenimento (intelligente) dell’uso del suolo e vera coesione territoriale. 6 – Qualche considerazione conclusiva.

1 -Premessa- 

Che l’urbanistica non sia materia interessata “direttamente” dal diritto dell’Unione europea è un fatto piuttosto noto, ma ciò non significa certo che il diritto dell’Unione non incroci pervasivamente anche questa “materia”, se solo si considera che, a tenore degli artt. 2, comma 2 e 4, l’Unione gode di competenza concorrente[1] in tema di mercato interno, politica sociale (laddove considerata ai fini del Trattato), coesione economica sociale e territoriale, ambiente, trasporti, energia e problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica che la recente pandemia ha reso attuali e al contempo complessi[2].

L’esercizio di ognuna di queste competenze, com’è evidente, è suscettibile di ‘intercettare’ la materia urbanistica, in un modo o in un altro: basterebbe ricordare un recente contributo dottrinale che tratteggia l’esistenza di “un filo diretto tra istituzioni europee ed enti locali nella concezione e nell’attuazione delle politiche dell’UE: è il percorso di “integrazione per  differenze”, volto al raggiungimento dell’unità nel rispetto delle diversità, non solo nazionali ma anche locali, che costituisce il proprium delle politiche europee, in cui la dimensione urbana, con il modello di sviluppo che evoca (sostenibile, integrato, socialmente inclusivo, intelligente, mutuato, a sua volta, dalla strategia “Europa 2020”), è dimensione stabile delle politiche europee”[3].

Del resto, è giurisprudenza piuttosto nota quella che, in modo sempre più significativo nel tempo, ha armonizzato le procedure nazionali in materia di impatto ambientale afferenti ad opere e piani che potrebbero mettere a rischio l’integrità ambientale e del paesaggio.

Ma non sono meno importanti quelle politiche europee in materia di trasporti, reti ed energia che, a più riprese, obbligano i legislatori nazionali, regionali ed i programmatori locali a verificarne l’attuazione nella gestione e nell’uso concreto del territorio.

IL PTRC, di cui ci si occupa in questa sede in modo specifico, è certamente un piano ai sensi della disciplina unionale VAS[4], interessato, in modo più o meno diretto, da molte disposizioni dell’Unione: dalla normativa sui rifiuti e la tutela dell’ambiente all’incentivazione di strutture di interesse pubblico, fino al regime circa la loro corretta localizzazione al fine di poter beneficiare dell’importantissima capacità dell’Unione di investire in progetti significativi sul territorio degli Stati membri.

La riqualificazione del territorio rurale del Veneto perseguita dal PTRC di recente approvazione, in particolare, ci obbliga a considerare la disciplina europea in materia di agricoltura e coesione economica, sociale e territoriale di cui all’art. 174 TFUE, in virtù della quale l’Unione mira eminentemente a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o insulari,  con un’attenzione tutta particolare per le zone rurali e montane.

Tanto ci fa comprendere agevolmente come il punto di vista dell’Unione, nell’approccio alla tematica urbanistica, non è soltanto raccomandabile, ma risulta finanche necessitato, se si vuole evitare di pianificare in modo comunitariamente illecito o comunque insuscettibile di beneficiare di quell’azione comune europea (cfr. artt. 4 e 5 TUE), che, oggi, non ci si può più permettere di trascurare o di perdere.

Anche nel passato, una simile scarsa attenzione per le forme di incentivazione comunitaria ha finito con il penalizzare pesantemente uno sviluppo sostenibile e moderno dell’agricoltura italiana, incapace di stare al passo con la razionalizzazione indotta dalle cd. Direttive socio-strutturali del 1972 (cd. Piano Mansholt)[5] e poi dai Regolamenti dei fondi strutturali.

Occupandoci in questa sede di riqualificazione del territorio rurale, alla luce delle nuove norme di pianificazione di coordinamento territoriale di area vasta, varrà la pena di cominciare da una lettura succinta, ma possibilmente efficace, delle linee guida rinvenibili al riguardo nel PTRC Veneto.

 

2 – Gli artt. 7-14 delle Norme Tecniche relative al Sistema del Territorio Rurale

L’art. 7 delle NT del Piano risulta diviso in tre parti. La prima, “classificatoria”, in cui si individuano quattro tipi di aree, ovvero:

  1. Aree di agricoltura periurbana -agricoltura come cuscinetto o buffer zone rispetto alla città c.d. “diffusa”;
  2. Aree agropolitane (crasi di ager e polis un po’ fuorviante rispetto al tipo di all’area) in cui l’attività agricola è localizzata in pianura, è di tipo specializzato (anche zootecnico) con destinazione del suolo ad infrastrutture/residenza/produttivo;
  3. Aree ad elevata utilizzazione agricola per la presenza, parrebbe di capire, di peculiari valori ambientali e paesaggistici agricoli;
  4. Aree ad agricoltura mista e naturalità diffusa, non molto diversa dalla precedente ma con l’introduzione, inter alia, del concetto di “ecosistema” (che sembra guardare all’ambiente nel suo “equilibrio dinamico”, con la presenza di fattori biotici e ed abiotici).

Si deve osservare come, nella parte introduttiva del PTRC, si legga che si tratta di “un piano di idee e scelte piuttosto che di regole”, il che, se è vero in  generale, parrebbe particolarmente calzante per le NT afferenti al territorio rurale.

La vaghezza e genericità terminologica e classificatoria[6] non è eliminata neppure dagli articoli successivi (artt. 8-9-10 e 11) che cercano, per così dire, di rafforzare in modo “normativamente” più pregnante il significato non sempre perspicuo della classificazione di partenza, anche perché, nella terza parte dell’art. 7, al n. 3, si precisa che i Comuni, ai sensi della legge urbanistica regionale (artt. 13 e 43 L.R. n. 11 del 2004), dovrebbero individuare nei rispettivi strumenti pianificatori le aree rurali del PTRC perseguendo le finalità proprie della pianificazione territoriale ed urbanistica individuate nella seconda parte della disposizione (sub n. 2).

Con evidenza, siamo di fronte a frequenti ed ambigue forme di “overlapping” o sovrapposizioni categoriali che male si attagliano all’intento chiarificatore iniziale.

Ad esempio, se osserviamo l’art. 8 (sull’agricoltura c.d. periurbana), ad una comprensibile prevalenza dell’idea di recupero (lettere a e g, in particolare) accanto ad una altrettanto comprensibile idea di valorizzazione del ruolo sociale ed aggregativo dell’agricoltura (es. aree destinate ad orti urbani, lett. c, o coesistenza armoniosa di attività produttive industriali ed artigianali e agricoltura, lett. e), ritroviamo la promozione di aziende agricole multifunzionali (richiamate nella lett. b) o la previsione di interventi infrastrutturali di aziende agricole in funzione di tutela della risorsa idrica (sempre lett. b e d), nonché di risorgive naturali che potrebbero rientrare a buon diritto in altre aree (lett. d).

Orbene, non è casuale se lo stesso tipo di finalità e tutele si rinvengano anche nell’art. 9 (aree agropolitane: cfr. lett. c, e lett. d, in particolare).

Analogamente, finalità proposte, recte, “riproposte” nell’art. 9 (ad esempio, la lett. c relativa ai sistemi acquei e sul riequilibrio ecologico) si rinvengono anche nell’art. 10 (Aree ad elevata utilizzazione: cfr. lett.  b, c ed f).

Come pure, del resto, finalità ed aspetti richiamati nell’art. 10 (es. lett e: mantenimento del paesaggio agrario; lett. f: riequilibrio ecologico) parrebbero più connaturali -e non a caso si ritrovano- anche nell’art. 11 (aree di agricoltura mista e di naturalità diffusa).

Tanto non vuole necessariamente essere un modo per individuare debolezze ed aporie concettuali nella trama normativa del PTRC[7]: non ci si può esimere, tuttavia, dall’osservare che qualunque impianto normativo dovrebbe ispirarsi il più possibile al principio sotteso al noto rasoio di Occam (“entia non sunt multiplicanda sine necessitate”).

Rimangono ancora, infine, le disposizioni di cui all’art. 12-14  (foreste e spazi aperti ad alto valore naturalistico; pascoli, prati praterie storiche in montagna; infine prati stabili) con valenza eminentemente ambientalistica e di tutela del paesaggio di cui all’art. 9 Cost., per intenderci.

 

3 – Il monitoraggio ambientale di cui all’art. 6 del PTRC in relazione al territorio rurale

Le ultime disposizioni richiamate (i.e. artt. 12-14 PTRC) inducono naturalmente l’interprete ad una prima breve riflessione dal punto di vista del diritto dell’Unione europea: il richiamo effettuato al monitoraggio ambientale di cui all’art. 6 sul possibile impatto ambientale del PTRC e la menzione nella delibera di approvazione n. 62 del 30.06.2020 dell’Allegato F (contenente sia la Valutazione Ambientale Strategica -VAS- che la Valutazione di Incidenza Ambientale – V.Inc.A.-) di per sé potrebbe non essere sufficiente, alla luce della giurisprudenza rigorosa della Corte di giustizia in subiecta materia, a rendere immune il PTRC da censure di tipo ambientalistico ai sensi delle pur richiamate Direttive di settore sulla conservazione dell’habitat e di specie (cfr. art. 6, b2 e b3).

In effetti, non consta dall’Allegato F esserci una scheda di valutazione e di screening successiva al 2008.

La VAS viene effettuata notoriamente durante l’elaborazione dei piani o programmi, agendo per così “a monte”, allorquando cioè il piano o programma sono ancora in itinere, consentendone la rettifica strada facendo. Il che la distingue dalla VIA che viene effettuata a progetto ultimato, valutando il possibile impatto legato all’esecuzione dell’opera in vista della sua possibile autorizzazione[8].

Ma nonostante la chiara distinzione concettuale fra i due istituti, la giurisprudenza della Corte di giustizia ci fa comprendere come, in entrambi i casi, gli elementi da prendere in considerazione ai fini della valutazione ambientale debbano essere contestualizzati, aggiornati e non atomizzati o assunti per “compartimenti stagno”.

Qualche richiamo giurisprudenziale della Corte di giustizia potrà essere utile a tal fine.

Quanto alla VAS,  invero, una recente pronuncia della CGUE, su rinvio del Tar Veneto, ha avuto per l’appunto ad oggetto l’interpretazione dell’articolo 4 della direttiva 2001/42[9], intitolato “Obblighi generali”, che prevede quanto segue:

«1.La valutazione ambientale di cui all’articolo 3 è effettuata durante la preparazione di un piano o programma e prima della sua adozione…»

Orbene, nella causa C-444/15, Associazione Italia Nostra onlus[10],  la Corte di giustizia ha interpretato i contenuti concreti della norma con riferimento alla questione della valutazione ambientale effettuata, dal Comune di Venezia, in zona nota come Cà Roman.

La direttiva 2001/42, così come interpretata dalla Corte, lascia agli Stati membri, nell’ambito delle loro attribuzioni, adottare tutti i provvedimenti necessari, generali o particolari, affinché tutti i piani o programmi che possano produrre effetti significativi sull’ambiente ai sensi di tale direttiva siano sottoposti, prima della loro adozione, a una valutazione ambientale, conformemente alle modalità procedurali e ai criteri previsti da detta direttiva[11].

Quanto poi all’espressione «piccole aree a livello locale», da un lato, il legislatore dell’Unione ha inteso prendere come riferimento l’ambito territoriale di competenza dell’autorità locale che ha elaborato e/o adottato il piano o il programma interessato. Dall’altro lato, dato che il criterio dell’uso di «piccole aree» deve essere soddisfatto in aggiunta a quello della determinazione a livello locale, l’area interessata deve costituire, proporzionalmente a detto ambito territoriale, un’estensione minima (punto 72 della sentenza).

Non diversamente da quanto avviene per la VAS, la Corte di giustizia ha enfatizzato la necessità di verificare da “subito”, prima di approvare il progetto della singola opera (in materia di VIA), l’impatto di quest’ultima sull’ambiente. Nella pronuncia del 7 gennaio 2004, D. Wells, causa C-201/02, avente ad oggetto il rilascio di una nuova concessione per lo sfruttamento della cava di Conygar Quarry, senza che fosse stata effettuata una previa valutazione dell’impatto ambientale. è stato così affermato[12]: “… nel processo di decisione, l’autorità competente tiene «subito» conto delle eventuali ripercussioni sull’ambiente del progetto in questione. Pertanto, qualora il diritto nazionale preveda che la procedura di autorizzazione si articoli in più fasi, consistenti l’una in una decisione principale e l’altra in una decisione di attuazione che deve rispettare i parametri stabiliti dalla prima, gli effetti che il progetto può avere sull’ambiente devono essere individuati e valutati nella procedura relativa alla decisione principale. Solo qualora i detti effetti fossero individuabili unicamente nella procedura relativa alla decisione di attuazione, la valutazione dovrebbe essere effettuata durante tale procedura”.

Certamente, si dovrà tenere conto della possibile duplicazione della valutazione se la medesima dovesse essere effettuata in successivi piani a cascata, ma non sembra fuori luogo porsi il problema già in sede di PTRC, specie alla luce dell’art. 24, lett. f) della L.R. 11/2004 relativo al contenuto tipico del PTRC: “… individua le opere e le iniziative o i programmi di intervento di particolare rilevanza per parti significative del territorio, da definire mediante la redazione di progetti strategici di cui all’articolo 26”.

Una seconda considerazione suscettibile di avere una qualche rilevanza immediata sotto il profilo della disciplina comunitaria è quella dell’uso del suolo rurale in funzione non-agricola: ad esempio, il c.d. fotovoltaico a terra potrebbe in apparenza risultare compatibile in aree periurbane o anche con la lett. d dell’art. 9 (aree agropolitane) in cui si parla di “esercizio non conflittuale delle attività agricole rispetto alla residenzialità e alle aree produttive industriali ed artigiane”. Tuttavia, forse, nell’ottica del principio del consumo zero del suolo rurale -inteso in modo riduttivo- questo potrebbe non essere possibile o auspicabile, come sembrerebbe ricavarsi anche dal riferimento contenuto nell’art. 7, n. 3, lett. che parla solo di installazione del fotovoltaico sugli edifici e sui manufatti rurali.

La previsione di cui all’art. 32 delle NT del PTRC conferma in qualche modo queste perplessità, posto che solo in quella sede si precisa che “gli impianti fotovoltaici ubicati al suolo sono preferibilmente installati nelle aree industriali, nelle aree a grande distribuzione commerciale ed in quelle compromesse dal punto di vista ambientale, ivi comprese quelle costituite da discariche controllate di rifiuti e da cave dismesse o lotti estrattivi dichiarati estinti, conformemente alle disposizioni vigenti in materia”[13].

 

4 – Il Trattato istitutivo e i Regolamenti dell’Unione in materia di aiuti ai settori agricolo e forestale nelle zone rurali

Val la pena di richiamare, infine, e sia pure succintamente, alcune disposizioni fondamentali in materia di politica agricola e della sua incentivazione.

La politica agricola comune (PAC)[14] sostiene la vitalità e la sostenibilità economica delle comunità rurali attraverso, da un lato, il pagamento diretto agli agricoltori e ai mercati agricoli (c,d. primo pilastro, finanziato dal Fondo europeo agricolo di garanzia-FEAGA) e attraverso misure di sviluppo rurale (c.d. secondo pilastro, cofinanziato dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale -FEASR- e dai fondi regionali o nazionali).

L’art. 174 TFUE, inoltre, stabilisce che, per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale al suo interno, l’Unione deve mirare a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite, riservando un’attenzione speciale alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici.

L’articolo 175 TFUE, a sua volta, ci ricorda che l’Unione deve appoggiare e sostenere la realizzazione di tali obiettivi con la propria azione per il tramite del funzionamento dei diversi fondi SIE (c.d. fondi strutturali e di investimento europei): ovvero, Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione “orientamento”, il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo di sviluppo regionale, la Banca europea per gli investimenti e altri strumenti.

I tre obiettivi di sviluppo rurale per il periodo 2014-2020 sono stati quelli di stimolare la competitività del settore agricolo, garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’azione per il clima e, infine, di realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle economie e comunità rurali, compresi la creazione e il mantenimento di posti di lavoro[15].

IL FEASR, nello specifico, ha poi posto sei finalità prioritarie:

  • promuovere il trasferimento di conoscenze e l’innovazione nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali;
  • potenziare la redditività e la competitività di tutti i tipi di agricoltura e promuovere tecnologie agricole innovative e la gestione sostenibile delle foreste;
  • favorire l’organizzazione della filiera alimentare, il benessere degli animali e la gestione dei rischi nel settore agricolo;
  • incoraggiare l’uso efficiente delle risorse e il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima nel settore agroalimentare e forestale;
  • preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all’agricoltura e alle foreste;
  • promuovere l’inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali.

Ciascuna di queste priorità contribuisce alla realizzazione di obiettivi trasversali, quali in particolare l’innovazione e l’ambiente, nonché la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ad essi.

Venendo un particolare alle imprese beneficiarie, si può osservare, in generale, che le aziende agricole eligibili ai fini dell’incentivazione comunitaria dovranno essere ubicate in zone rurali soggette a vincoli naturali, più o meno significativi, ma anche in zone montane ai sensi del regolamento UE n. 1305/2013 (regolamento FEASR). Quest’ultimo Regolamento enuncia una serie importante di obiettivi essenziali, fra cui il trasferimento di conoscenze e l’innovazione nel settore agricolo, forestale e nelle zone rurali, il potenziamento della redditività delle imprese e la competitività dell’agricoltura in tutte le sue forme, comprensive particolarmente delle tecnologie innovative e della gestione sostenibile delle foreste, l’organizzazione della filiera agroalimentare (con trasformazione e commercializzazione di prodotti), il benessere degli animali, la salvaguardia, il ripristino e la valorizzazione degli ecosistemi connessi all’agricoltura e alle foreste.

A ciò deve poi aggiungersi il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio nel settore agroalimentare e forestale, nonché l’inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali.

In questo contesto, i richiamati obiettivi trasversali dell’innovazione, ambiente, nonché della mitigazione dei cambiamenti climatici e dell’adattamento ad essi giocano notoriamente un ruolo assai rilevante.

Della medesima modernità dell’approccio europeo allo sviluppo rurale partecipano anche i regolamenti UE 1303/2013[16], 1305/2013[17] e 702/2014[18], i quali  prevedono, inter alia, varie categorie di aiuti a favore delle PMI attive nelle zone rurali, come ad esempio gli aiuti agli investimenti relativi alla trasformazione di prodotti agricoli in prodotti non agricoli, ma anche gli aiuti all’avviamento di imprese per attività non agricole (si pensi, appunto, al biometano o ad altre fonti rinnovabili e/o, per l’appunto, al fotovoltaico).

Nelle sue recenti conclusioni del 4 febbraio 2021[19], l’A.G. Sanchez Bordona, ha precisato che “il considerando 17 del regolamento n. 1305/2013 pone particolare enfasi sulla necessità di promuovere «la diversificazione degli imprenditori agricoli verso attività extra-agricole, nonché la costituzione e lo sviluppo di PMI extra-agricole nelle zone rurali», così evidenziando, a mio avviso, la volontà del legislatore di concentrare anche sulle piccole aziende agricole gli sforzi di finanziamento nel campo della creazione e dello sviluppo di attività non agricole”.

In generale, in questi Regolamenti relativi ai fondi strutturali, si rappresenta adeguatamente la necessità, ai fini dell’esenzione dall’obbligo di notifica ex art. 108 TFUE, che “gli aiuti esentati dovrebbero essere concessi solo a norma e in conformità del programma di sviluppo rurale dello Stato membro interessato…”[20].

Il che, evidentemente, pone delle problematiche rilevanti sull’opportunità di ammettere la compatibilità di investimenti eiusdem generis in certe aree rurali e la loro previsione nel PSR della Regione (programma di sviluppo rurale che, come noto, viene approvato dalla Commissione in funzione dell’incentivazione delle strutture e delle iniziative imprenditoriali rurali)[21].

In questo contesto, peraltro, può non essere ozioso il richiamo di una pronuncia della CGUE del 12 settembre 2013, Slancheva,  C‑434/12[22], in materia di incentivazione agricola e di pratiche abusive, in cui si è osservato significativamente che “per quanto riguarda l’elemento oggettivo [ndr. dell’aiuto], occorre ricordare che, in virtù del considerando 46 del regolamento n. 1698/2005, il regime di sostegno allo sviluppo rurale da parte del FEASR mira segnatamente a sostenere «la diversificazione d[e]lle attività agricole a favore di quelle extra-agricole, lo sviluppo di settori non agricoli, la promozione dell’occupazione, (…) gli investimenti destinati a rendere le zone rurali più attraenti e quindi ad invertire la tendenza al declino socioeconomico e allo spopolamento della campagna».

Orbene, è piuttosto agevole, anche ad una prima delibazione del PTRC Veneto, osservare con rammarico che questo genere di approccio innovativo risulti sostanzialmente assente dalle Norme Tecniche relative alle aree rurali.

Altra pronuncia interessante della CGUE in subiecta materia con cui ci si può confrontare è quella relativa al caso Demmer[23].

La controversia era insorta tra il sig. Demmer e l’Ufficio reclami presso il Ministero dei Prodotti alimentari, in merito all’ammissibilità di un aiuto, erogato nell’ambito del regime di pagamento unico, in relazione a superfici usate per la produzione di foraggio disidratato e situate lungo le piste di atterraggio, le vie di rullaggio e le piste di arresto della base aerea di Skrydstrup e dell’aeroporto di Aalborg in Danimarca.

Dopo un chiarimento necessario sulla nozione di “ettaro ammissibile”[24], la Corte è approdata alla conclusione che in un’area che il nuovo PTRC veneto definirebbe “periurbana”, i regolamenti di incentivazione   devono essere interpretati nel senso che una superficie agricola costituita da zone di sicurezza situate, in un aeroporto (…) sottoposte a regole e restrizioni particolari, costituisce una superficie ammissibile all’aiuto di cui trattasi, a condizione, da un lato, che l’agricoltore che sfrutta detta superficie disponga di un’autonomia sufficiente nell’utilizzazione della medesima, ai fini dell’esercizio della sua attività agricola, e, dall’altro, che egli sia in grado di svolgere tale attività sulla predetta superficie, nonostante le restrizioni derivanti dall’esercizio di un’attività non agricola sulla stessa superficie” (punto 73).

L’Avvocato Generale aveva giustificato la compresenza di attività agricole (ammesse) e non agricole (non inibenti le prime) nella stessa particella di terreno con l’esempio del caso dell’attività sciistica in zona rurale montana.

L’agricoltore potrebbe, si osservava, stipulare tranquillamente un contratto con una stazione sciistica con la finalità di coltivare a prato e sfruttare a pascolo di bestiame terreni  che fanno parte dell’area sciistica durante la stagione invernale. Le stesse parcelle di terreno, in altre parole, verrebbero utilizzate per attività diverse. Tuttavia, fintantoché l’attività non agricola non rende più difficile o troppo onerosa per l’agricoltore la coltivazione e il raccolto durante i relativi periodi dell’anno, difficilmente si potrebbe dire che l’attività non agricola costituisca un ostacolo in grado di disturbare in modo significativo le attività agricole dell’agricoltore. Analogamente, l’eventuale organizzazione di esercitazioni militari sulla superficie in questione non comporta necessariamente che tale superficie non rientri più nella nozione di «ettaro ammissibile», e ciò nella misura in cui tali esercitazioni non interferiscano in modo significativo con l’attività agricola in questione.

Si tratta, dunque, di interpretazioni e “letture” che in qualche modo possono illuminare a fini pratici la nozione di “periurbanità” di cui al PTRC veneto.

Tanto, peraltro, induce a concludere nel senso che le finalità previste per le zone rurali dalle NT del PTRC di cui al n. 2 dell’art. 7 appaiono rilevanti anche in vista di apprezzare quanto il PTRC risulti in linea con il Programma di sviluppo rurale  e con le indicazioni vincolanti -in termini di condizionalità- provenienti dall’Unione europea e dai suoi Regolamenti.

 

5 – La programmazione regionale veneta relativa allo Sviluppo Rurale fra l’idea di contenimento (intelligente) dell’uso del suolo e vera coesione territoriale

Sotto questo peculiare profilo, appare un po’ sorprendente che nella deliberazione n. 62 del 30 giugno 2020 non vi sia alcuna menzione del Programma dello Sviluppo Rurale del Veneto che sta alla base della finanziabilità dei progetti in queste aree.

Invero, nella seconda parte dell’art. 7, sub n. 2, ritroviamo anche priorità incentrate sul contenimento dell’uso del suolo, unitamente ad altra tipologia di finalità non propriamente in sintonia -parrebbe potersi ricavare- con le “guidelines” derivanti dai Regolamenti di incentivazione comunitaria.

Quanto al contenimento dell’uso del suolo, fra l’altro, il PTRC dovrebbe forse ispirarsi di più al principio del riciclo e dell’economia circolare, espresso nella strategia Europa 2020, secondo cui di per sé potrebbe essere consentita l’occupazione di nuovi spazi liberi purché ciò avvenga, come usa dire, a saldo zero (no net land take), ripristinando ad usi agricoli o seminaturali aree di pari superficie in precedenza urbanizzate e impermeabilizzate.

Quest’idea in qualche modo innovativa del contenimento del suolo sembra avallata dalla giurisprudenza della Corte, laddove la stessa, con riferimento ad esempio al finanziamento di attività e stabilimenti di trasformazione di prodotti agricoli, ha avuto modo di affermare inter alia che “un’operazione consistente nella chiusura di stabilimenti molitori esistenti e nella loro sostituzione con un nuovo stabilimento, senza accrescimento della capacità esistente, è idonea a migliorare il rendimento globale dell’impresa ai sensi della seconda di dette disposizioni” (sentenza del 15 maggio 2014, causa C‑135/13, Szatmári Malom Kft.)[25]

Tanto è stato osservato in un contesto in cui la normativa nazionale, come quella ungherese sub judice, istitutiva di un sostegno per l’accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli, consentiva, nell’ipotesi di imprese che gestiscono stabilimenti molitori, che l’aiuto fosse erogato unicamente a favore di operazioni volte a modernizzare le capacità esistenti di detti stabilimenti e non a quelle che comportassero la creazione di nuove capacità, senza accrescimento della capacità esistente (fine non incompatibile con il Regolamento sull’incentivazione agricola di riferimento).

Anche la tematica della coesione territoriale in zona agricola parrebbe esser stata parzialmente negletta. A tal proposito, si deve partire da un riferimento importante contenuto nell’art. 6.5 dell’Allegato I (c.d. Quadro Strategico) del Regolamento 1303 del 2013.

In esso si legge che “al fine di tener conto dell’obiettivo della coesione territoriale, gli Stati membri e le regioni garantiscono, in particolare, che l’approccio globale di promozione di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva nelle aree interessate “si occupi dei collegamenti tra zone urbane e rurali, in termini di accesso a servizi e infrastrutture di elevata qualità e a prezzi abbordabili, e dei problemi delle regioni con una forte concentrazione di comunità socialmente emarginate”.

Nulla di tutto questo si rinviene, per contro, nelle Norme Tecniche del PTRC de quibus, mentre il riferimento ai “corridoi ecologici” di cui all’art. 27 del PTRC è patentemente un longe aliud, dal momento che tali corridoi mirano semplicemente a garantire  la  continuità  dell’ecosistema,  ispirandosi  al  principio  dell’equilibrio  tra  la  finalità  naturalistico-ambientale  e  lo  sviluppo  socio-economico, evitando,  per  quanto  possibile,  la  compressione  del  diritto  di  iniziativa  privata.

Viceversa, l’attenzione (decisiva) per una maggiore coesione fra zona urbana e rurale anche allo specifico scopo di porre rimedio al fenomeno delle comunità socialmente isolate pare, purtroppo, del tutto estranea alla filosofia di questo PTRC.

6 – Qualche considerazione conclusiva

Per giungere ad una sorta di sintesi, dunque, in via di “prima delibazione”, sembra potersi ricavare che la parte di norme tecniche deputata alle aree rurali risulti, per un verso, pleonastica (i.e. una geminazione della tipologia di aree agricole prive di significato concreto), per altro verso carente, mancando il senso dell’innovazione, della competitività dell’impresa non solo agricola in senso stretto in queste aree.

In altre parole, si deve osservare che manca un progetto di ampio respiro che si muova sul solco di un approccio moderno alla ruralità in tutte le sue molteplici angolature.

Sembra, poi, almeno in parte, mancare anche una seria considerazione di natura ambientale, certamente indefettibile in questo tipo di pianificazione, posto che gli elementi da prendere in considerazione ai fini della valutazione ambientale dovrebbero essere contestualizzati ed aggiornati al momento dell’adozione del piano di coordinamento territoriale e non risalenti a più di un decennio fa.

Si dovrebbe poi programmare avendo a mente gli aiuti ammissibili a favore delle PMI attive nelle zone rurali, come ad esempio gli aiuti agli investimenti relativi alla trasformazione di prodotti agricoli in prodotti non agricoli, ma anche gli aiuti all’avviamento di imprese per attività non agricole (si pensi, come ricordato, al biometano o ad altre fonti rinnovabili e/o, per l’appunto, al fotovoltaico).

La difficoltà di gestire i nuovi aiuti, sia pure in un quadro di modernizzazione che ha effettivamente semplificato la vita delle burocrazie nazionali[26], viene ulteriormente aggravata se non si comprende che l’esenzione dalla notifica di cui all’art. 108 TFUE è ammessa sicut et in quantum gli aiuti vengano erogati in conformità con il programma di sviluppo rurale dello Stato membro interessato e, in particolare, con il Programma dello Sviluppo Rurale del Veneto che sta alla base della finanziabilità dei progetti in queste aree.

E posto che il PTRC -è stato detto- è anche una sorta di “libro dei sogni” per orientare il progresso nella vita delle nostre aree urbane e rurali nel prossimo futuro, la sua lettura e concreta attuazione non dovrebbe mai essere disgiunta da una seria considerazione delle effettive possibilità di incentivazione della relativa progettazione, possibilità offerta oggi, nella prospettiva del rilancio, solo dal contributo solidaristico dell’Unione europea.

In fondo, tuttavia, trattandosi di un “cantiere aperto”, l’auspicio è che il Piano non possa che migliorare cammin facendo.

Paolo Piva

* Intervento svolto nel corso del XXI Convegno dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti sul tema: “Le nuove norme tecniche del piano territoriale regionale di coordinamento del Veneto 2020”, svoltosi a Castelfranco Veneto il 27 novembre 2020.

 

[1] Ai sensi dell’art. 2, comma 2 del TFUE, “quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore, l’Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria. Gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui l’Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria”.

[2] Cfr., sul tema, B. BAREL, Contenimento del consumo di suolo tra diritto europeo e diritto regionale, in “La professione del giurista – Scritti in onore di Luigi Manzi”, Napoli, 2018.

[3] M. BROCCA, Nuove frontiere del diritto urbanistico: le intersezioni con la sicurezza urbana, in Federalismi.it, n. 10/2020, pp. 3 e 4.  Il riferimento immediato è alla Comunicazione della Commissione “La dimensione urbana delle politiche dell’UE –Elementi fondanti di una Agenda Urbana UE”, 18 luglio 2014, COM(2014) 490.

[4] Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Si veda, al riguardo, la recente Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo a norma dell’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente [COM(2017) 234 final, del 15.5.2017]

[5] Sul tema, si veda, L. COSTATO, Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, Padova, 1993, pp. 407 ss.

[6] Consta come anche nel vecchio PTRC -e, specificamente, nella Variante parziale del 2013- vi fossero espressioni analoghe (ad es. “pianura agropolitana centrale“), ma lì si indicavano più puntualmente i fattori di rischio, gli obiettivi di qualità, i vincoli e le tutele che qui paiono invece del tutto mancanti.

[7] E’ difficile, del resto, che classificazioni di finalità e/o anche di materie e competenze non si sovrappongano in concreto.

[8] Sul tema, si veda anche P. STELLA RICHTER, Diritto urbanistico, Manuale breve, V ed., Milano, 2018, pp. 29 ss.

[9] Direttiva 2001/42/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 Giugno 2001  recante Valutazione degli Effetti di Determinati Piani e Programmi sull’ambiente (GUCE L 197 Del 21 Luglio 2001).

[10] Decisa in data 21 dicembre 2016, in ECLI:EU:C:2016:978.

[11] Si veda la sentenza del 28 febbraio 2012, Inter-Environnement Wallonie e Terre wallonne, C‑41/11, EU:C:2012:103, punto 42 e giurisprudenza ivi citata

[12] ECLI:EU:C:2004:12.

[13] Si veda la pronuncia del 12 settembre 2013, Slancheva,  C‑434/12, richiamata infra.

[14] . L’art.39 TFUE stabilisce, quale prima finalità della politica agricola comune, di: a) incrementare la produttività dell’agricoltura, sviluppando il progresso tecnico, assicurando lo sviluppo razionale della produzione agricola come pure un impiego migliore dei fattori di produzione, in particolare della manodopera. L’art. 42 TFUE, vera e propria Grundnorm in materia di concorrenza e possibilità di incentivazione, stabilisce ancora che “le disposizioni del capo relativo alle regole di concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal Parlamento europeo e dal Consiglio” e in particolare aggiunge che “il Consiglio, su proposta della Commissione, può autorizzare la concessione di aiuti: a) per la protezione delle aziende sfavorite da condizioni strutturali o naturali; b) nel quadro di programmi di sviluppo economico”.

[15] L’assegnazione dei fondi della PAC per il periodo 2021-2027 nel contesto del bilancio a lungo termine dell’UE, ha comportato l’emanazione di un regolamento transitorio per gli anni 2021 e 2022, con la finalità di mantenere in vigore la maggior parte delle norme della PAC del periodo 2014-2020, con l’inclusione di nuovi ed ambiziosi progetti ambientali. Si veda anche la List of potential agricultural practices that eco-schemes could support, pubblicata nel gennaio 2021, rinvenibile agevolmente nel sito della Commissione.

[16] Il Regolamento 1303/2013 del 17 dicembre 2013 reca “Disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio.

[17] Il Regolamento (Ue) n. 1305/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.

[18] Il Regolamento (UE) n. 702/2014 della Commissione, del 25 giugno 2014 , che dichiara compatibili con il mercato interno, in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, alcune categorie di aiuti nei settori agricolo e forestale e nelle zone rurali.

[19] In causa C-830/19, C.J. contro Région wallonne, ECLI:EU:C:2021:100.

[20] Art. 8, in materia di cumulo, Regolamento (UE) n. 702/2014 della Commissione del 25 giugno 2014 che dichiara compatibili con il mercato interno, in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, alcune categorie di aiuti nei settori agricolo e forestale e nelle zone rurali e che abroga il regolamento della Commissione (CE) n. 1857/2006.

[21] Cfr. quello attualmente in vigore, approvato dalla Commissione con Decisione del 26.05.2015, con valenza, ai fini dell’erogazione, fino al 2023.

[22] ECLI:EU:C:2013:546, Slancheva.

[23] Causa C-684/13, decisa il 2 luglio 2015ECLI:EU:C:2015:439, Johannes Demmer contro Fødevareministeriets Klagecenter.

[24] Stante una qualche contraddittorietà sul punto fra i diversi Regolamenti rilevanti.

[25] : ECLI:EU:C:2014:327.

[26] Si veda al riguardo la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Modernizzazione degli aiuti di Stato dell’UE”, in COM/2012/0209 final. Sul punto, ci si permette di rinviare anche a P. PIVA, Giudice nazionale e aiuti alle imprese fra «public» e «private enforcement», Bari, 2018, pp. 3 ss.

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