Può capitare anche ad un vecchio arnese del Foro trovarsi davanti ad un “caso professionale” talmente complesso (nel senso di “invarigolà”) da non sapere da che parte prenderlo; al punto che la cosa migliore pare “metterlo in piazza” alla ricerca di una soluzione “corale”. Perché nella stessa identica situazione, sia giuridica che diacronica, ce ne sono certamente altri, impastoiati nell’empasse -sia sostanziale, che procedimentale che presumibilmente processuale- creata dalla legge regionale 14/2017, sul risparmio dei suoli.

 

La finalità perseguita

Definibile con una parola sola: sacrosanta!

Negli anni del boom, s’è costruito troppo e male!

Specie nell’edilizia “industriale”: troppe fabbriche e fabbrichette, generalmente brutte se non bruttissime, ora, anche per effetto della grande crisi economico-finanziaria degli anni passati, da cui dicono che stiamo uscendo, in buona parte chiuse ed abbandonate. Testimoni d’accusa sono le circa tremila “zone industriali” sparse nei vari Comuni; per lo più cadute in mano di quei due gaglioffi che son abituato chiamare gli “infami Cugini”, i signori Affittàsi e Vendèsi, diventati padroni di mezzo Veneto! E i “Piani di lottizzazione” e i “Pua”, a suo tempo -in pieno boom– approvati e convenzionati, lasciati abbandonati, preda delle sterpaglie. Più che di risparmio dei suoli, in questo nostro Veneto, sarebbe stato opportuno parlare di ricupero dei suoli obsoleti; giusto per avviare una seria politica (ma più serio sarebbe parlare di una mentalità) di risparmio dei suoli.

 

La tecnica seguita

Si tratta d’una sequenza procedimentale alquanto accidentata, che dichiaratamente -su impulso europeo si enuncia- si pone come prima tappa d’un cammino programmato assai lungo, se l’obiettivo finale vien posto al 2050, ispirato dall’obiettivo di concentrare l’ulteriore edificazione, che si rendesse necessaria nella naturale evoluzione dell’ambiente, nella parte del territorio regionale in linea di fatto già compromessa dall’edificazione anteatta -individuata negli ”ambiti di urbanizzazione consolidata”- salvaguardando per quanto possibile la parte di territorio ancora “intatta”. Un’iniziativa legislativa che si cala in una prassi programmatoria ben consolidata, che mirava ad “urbanizzare” l’intero territorio regionale in un “gigantismo urbano” ben espresso dalle migliaia di “zone industriali” che lo costellano.

Anziché concentrarsi per realizzare l’encomiabilissimo programma di por rimedio allo scempio del territorio con la risoluzione delle situazioni in sofferenza (PdL; Pua; PPE etc., abbozzati e rimasti inattuati), dopo aver dissennatamente insistito con i “piani–casa” di cui la Regione è stata straordinariamente prodiga, veri e propri condoni delle brutture edilizio/urbanistiche tenacemente attuate, s’è agito sulla programmazione urbanistica in atto (PRG, PAT, PI) praticamente annullando l’edificabilità già prevista e “consacrata” in strumenti urbanistici approntati dai Comuni, approvati dalla Regione e pienamente vigenti: una vera confisca/espropriazione di posizioni giuridiche create autoritativamente (non su istanza dell’interessato) da atti amministrativi nell’esercizio di una funzione pubblica, che aveva comportato a carico del proprietario una specifica e speciale obbligazione tributaria (l’imposta sulle aree fabbricabili), da lui puntualmente assolta per anni.

La previsione urbanistica era diventata -per determinazione autoritativa della PA- una componente legale del diritto di proprietà fondiaria, espropriabile solo secondo le norme proprie dell’espropriazione per p. u.

 

Il procedimento amministrativo

Si articola in tre momenti o fasi:

a) La prima è la fase comunale prodromica d’avvio, rappresentata dal “provvedimento della Giunta o del Consiglio” (e già tale alternatività di competenze la dice tutta sul ruolo/natura meramente inventariale dell’intervento), prevista dall’art. 13.9, di identificazione degli “ambiti di urbanizzazione consolidata”; una ricognizione meramente appunto “inventariale”, constatazione dello stato di fatto delle aree classificate edificabili dallo strumento vigente, indicando quali, in linea di mero fatto, appaiano inserite in un contesto urbano consolidato. Nessuna valutazione di merito; nessuna determinazione programmatoria: una delibera meramente “fotografica”. L’assoluta carenza di ogni funzione decisionale e/o selettiva è dimostrata dal fatto che la stessa legge assegna la funzione indifferentemente alla Giunta o al Consiglio, con ciò significando che non si tratta di funzione tipica procedimentale, che avrebbe imposto l’esatta determinazione delle “sfere di competenza e attribuzioni” prescritta dall’art. 97.2 Cost.

b) Determinante per la sorte edificatoria delle aree non comprese in “ambiti di urbanizzazione consolidata” è la fase regionale, con cui la GR, con apprezzamento discrezionale, determina, la quantità di “aree esterne agli ambiti di urbanizzazione consolidata”, in cui sarà possibile realizzare gl’interventi previsti dalla strumentazione urbanistica vigente, sempre che ”garantiscano la massima compatibilità ambientale”: l’intervento ha avuto luogo con la DGR del Veneto del 26 magio 2018 n. 668, che, con l’allegato C, ha statuito Comune per Comune sulle possibilità edificatorie delle aree “non comprese”, ovviamente comprensiva anche di quella che lo strumento urbanistico aveva previsto in esse (“non comprese”).

Prendendo come cavia il Comune di Abano Terme (solo perché è il primo della lista dei 700 e passa Comuni), su un complesso di interventi urbanistici previsti -sempre su aree “esterne agli ambiti”- di complessivi Ha  76,57, ne consente solo su Ha 41,13, poco più della metà; il resto viene concentrato nelle “aree comprese”.

c) Ora dovrà seguire, nei 18 mesi dalla delibera della GR, la delibera comunale decisoria, prevista dell’art. 13.10 della legge, d’individuazione degl’interventi previsti dalla strumentazione vigente fino concorrenza del 41,13 % delle previsioni in atto.

Rilevante anche per le successive considerazioni valutative è la formale dichiarazione dell’art. 29, sotto rubrica: “clausola di neutralità finanziaria”: “all’attuazione della presente legge si provvede senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio della Regione”.

Nel complesso si tratta d’un procedimento complesso che consta dell’apporto di due diversi Enti (Comune -Regione) con apporti strettamente complementarizzati, ciascuno privo di qualsiasi autonomia sia funzionale che strutturale, nel senso che “da solo”, preso autonomamente, è inidoneo a produrre qualsiasi pregiudizio a posizioni “terze” (altrui) suscettibili d’essere considerate contro-interessate e quindi legittimate all’impugnativa.

 

Le maggiori criticità

Riservando a successivo intervento l’illustrazione dei due nuovi istituti previsti dagli artt. 5 e 6 della legge, pare opportuno soffermarsi su taluni aspetti di maggior criticità per i problemi anche di costituzionalità che sottendono, su queste premesse:

a) fermo che non è contestabile che il Legislatore ben possa, interpretando discrezionalmente le esigenze via via emergenti nel corpo sociale, modificare anche radicalmente interi sistemi socio-politici anche consolidati -nel caso passando dal gigantismo programmatorio dell’urbanistica in cui le previsioni di sviluppo dei Comuni portavano a dei veri eccessi previsionali sui quali la Regione, in sede di approvazione della strumentazione urbanistica comunale, era costretta a tagli vivacemente contestati in sede locale- imponendo (oltretutto anche su imposizioni previsionali europee) una drastica concentrazione delle previsioni di sviluppo, per attuare un radicale contenimento del consumo del suolo;

b) la previsione della strumentazione urbanistica comunale di sviluppo edificatorio delle aree ha comportato un radicale mutamento dello status giuridico, con una potenziale speciale “dichiarazione di pubblica utilità” (p. u.) reso immediatamente attivo dalla speciale trattamento tributario previsto dal D. Lgt n. 504/1992 e s.m.i., col pagamento della relativa imposta;

c) in singoli casi, essendo prescritta dalla previsione urbanistica generale (PAT) la redazione ed approvazione ad opera del proprietario d’uno strumento urbanistico, ove ne sia seguita la redazione sono state sopportate le importanti spese tecniche.

Con specifico riferimento alla posizione giuridica dei proprietari delle aree che abbiano perso l’edificabilità, due sono le posizioni rilevanti:

1. Ablazione espropriativa senza procedimento

L’ablazione di quella ch’è stata sopra definita componente della proprietà, rappresentata dalla sua edificabilità ottriata dalla PA e resa autonomamente rilevante perché assoggettata a specifico trattamento tributario, avviene senz’alcuna procedimentalizzazione anche lato sensu partecipativa degl’interessati; i quali vengono ad averne conoscenza in via di mero con violazione del diritto di partecipazione posto dall’art. 21 bis della L. 241/1990.

2. Ablazione espropriava senza indennizzo

L’attribuzione autoritativa dell’edificabilità all’area ha comportato per il proprietario due conseguenze onerose: l’una certa: l’obbligazione tributaria; l’altra eventuale: gli adempimenti legali prodromici (sotto pena d’espropriazione in caso d’inerzia) alla realizzabilità della previsione urbanistica, come l’approntamento del progetto di strumento urbanistico attuativo (Pdl o Pua), la costituzione del consorzio urbanistico tra i proprietari variamente interessati e via elencando.

Di tali spese qualcuno dovrà farsi carico, donde l’incostituzionalità di quell’assurda disposizione dell’art. 29 della legge sulla “clausola di neutralità finanziaria” di cui s’è detto.

3. Violazione del principio di parità di trattamento giuridico (art. 3 Cost.).

Sul presupposto che l’attribuzione dell’edificabilità non è stata elargita a richiesta del proprietario, ma autoritativamente ottriata dalla sovrana determinazione comunal-regionale, costituisce lesione del principio di parità di trattamento giuridico tra proprietari di aree * ugualmente dichiarate edificabili dallo strumento urbanistico (PRG-PAT); ** che si son trovate comprese in “ambiti di urbanizzazione consolidata” non per iniziativa/merito dei rispettivi proprietari, ma per iniziativa di ignoti terzi, anche risalente nel tempo; rispetto a coloro, che, essendo l’area non compresa in tali “ambiti”, si vedono privati dell’edificabilità già prevista dal Piano, per la cui conservazione/attuazione, magari s’erano pure attivati approntando la strumentazione attuativa del PRG, prescritta dalla legge.

Evidente dovrebb’essere che la Regione, dopo aver approvato lo strumento urbanistico perché ritenuto conforme al pubblico generale interesse d’allora, attualmente -convertita all’ambientalismo europeo- che si fa resipiscente rispetto a quella decisione, cambiando divisamento, debba accollarsene le conseguenze discriminatorie di situazioni giuridiche non solo assolutamente identiche sul piano oggettivo, ma (a) locupletative degli uni (i proprietari delle aree “comprese” negli “ambiti”, che vedono concentrarsi su di esse tutta l’edificabilità prevista dallo strumento vigente), con (b) correlato conseguente danno dei proprietari delle aree “fuori ambito”, che si vedono privati dell’edificabilità allora loro ottriata dal Comune, solo per la conversione ideologica della Regione. Il tutto senz’alcun indennizzo, in virtù dell’abnorme “clausola di neutralità finanziaria”, che sostanzialmente attua appieno il principio di diritto che pare ispirare l’ordinamento di questo sventurato Paese, “chi ha avuto ha avuto; chi ha dato ha dato e pari siam!”.

Non ci siamo proprio!

Ivone Cacciavillani

 

 

 

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