Sommario – 1. Il tema – 2. Le obiezioni della dottrina – 3. La giurisprudenza della Cassazione successiva alle ordinanze gemelle – 4. La lesione dell’affidamento in assenza di provvedimento – 5. Un’ipotesi di sconfinamento?
1. Il tema
Il tema è quello della tutela dell’affidamento del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, alla luce dei nuovi orientamenti della giurisprudenza.
Con una recente ordinanza[1], le Sezioni Unite della Cassazione hanno confermato il principio – affermato nelle tre ordinanze gemelle del 2011 (nn. 6594, 6595 e 6596) – con riguardo all’individuazione del giudice competente a decidere dei danni conseguenti al rilascio di un provvedimento favorevole, poi annullato in via di autotutela o dal giudice amministrativo.
Con quelle decisioni le Sezioni Unite hanno ritenuto che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda con cui il destinatario di un provvedimento illegittimo, ampliativo della sua sfera giuridica, chieda il risarcimento del danno subito a causa dell’emanazione dell’atto favorevole (illegittimo) e del successivo (legittimo) annullamento di tale provvedimento, in sede giurisdizionale o a seguito dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio da parte dell’amministrazione che ha emanato l’atto.
È il caso, tutt’altro che raro, del beneficiario di un titolo edilizio annullato – d’ufficio o su ricorso di altro soggetto – in quanto illegittimo, che chieda il risarcimento dei danni subiti per avere confidato nella apparente legittimità del titolo (ord. nn. 6594 e 6595); è il caso, tutt’altro che raro, dell’impresa che chieda il risarcimento lamentando la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione di una gara apparentemente legittimo, poi legittimamente annullato (ord. n. 6596). Si trattava dunque di controversie concernenti materie di giurisdizione esclusiva.
In queste ipotesi – hanno rilevato le Sezioni Unite – la competenza non appartiene al giudice amministrativo perché la domanda autonoma di risarcimento non riguarda l’accertamento dell’illegittimità del titolo edilizio o dell’aggiudicazione (illegittimità che, semmai, la parte avrebbe avuto interesse a contrastare nel giudizio amministrativo promosso dal controinteressato).
La domanda ha invece ad oggetto l’accertamento del comportamento illecito dell’amministrazione per aver ingenerato, nel cittadino come nell’impresa, il convincimento di poter legittimamente realizzare l’intervento edilizio assentito o di poter legittimamente eseguire l’appalto aggiudicato.
Al giudice ordinario si chiede dunque di accertare l’avvenuta violazione del principio del neminem laedere, cioè di quell’insieme di doveri di comportamento il cui contenuto prescinde dalla natura pubblicistica o privatistica del soggetto che ne è responsabile, insieme di doveri di comportamento che anche l’amministrazione, come qualsiasi privato, è tenuta a rispettare.
2. Le obiezioni della dottrina
Non si può non ricordare che le tre ordinanze gemelle sono state emanate a pochi mesi dall’entrata in vigore del codice del processo amministrativo. Tanto è vero che nei primi commenti si parlò di decisioni “perturbatrici” del lodo raggiunto in ordine al riparto di giurisdizione. In effetti, la formulazione degli articoli 7 e 30 del codice recepisce – nel rispetto della summa divisio scolpita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004 – una sorta di accordo raggiunto tra i vertici delle giurisdizioni nel corso dei lavori della Commissione incaricata di predisporre il testo del primo codice del processo amministrativo. Accordo secondo cui, con riguardo all’azione risarcitoria, la linea di confine tra le due giurisdizioni va collocata nella riconoscibilità – o meno – di un collegamento, mediato o immediato, tra l’evento individuato come fonte del danno e l’esercizio di un potere amministrativo.
Una parte della dottrina evidenziò subito come il principio affermato dalla Cassazione con le richiamate ordinanze gemelle non fosse coerente con la scelta compiuta dal codice del processo amministrativo, chiarissima – quest’ultima – nel senso di attribuire alla cognizione del giudice amministrativo tutti gli strumenti processuali idonei a tutelare la posizione lesa dall’esercizio dei pubblici poteri di cui è titolare l’amministrazione[2].
Si è osservato, in particolare, come la circostanza che il danno non sia immediatamente cagionato dal provvedimento – che appare legittimo – ma emerga solo dopo l’annullamento dell’atto, sia questione che attiene esclusivamente al piano cronologico. Si tratta di circostanza che invece non incide sulla ricollegabilità diretta del pregiudizio – sul versante eziologico, rilevante ai sensi dell’art. 1223 c.c. – all’adozione del provvedimento amministrativo.
Sicché – sotto il profilo della giurisdizione – azione caducatoria e azione risarcitoria sono da considerarsi equipollenti in quanto entrambe volte a contestare il cattivo esercizio del potere a fronte di posizioni di interesse legittimo.
In questo senso, dunque, il principio affermato dalla Cassazione in punto di tutela dell’affidamento nei confronti della pubblica amministrazione – specie con riguardo alle ipotesi ricadenti nell’ambito della giurisdizione esclusiva – doveva ritenersi non del tutto coerente con il criterio fondamentale di riparto individuato dalla Corte costituzionale nella inerenza dell’azione amministrativa all’esercizio di un potere pubblico.
Nei primi commenti alle ordinanze gemelle si è d’altra parte sottolineato come la lesione di un interesse legittimo si configuri anche quando l’amministrazione illegittimamente rilasci al cittadino un provvedimento favorevole che ben può costituire la fonte di una lesione a tale posizione di interesse legittimo. Tanto che – sotto il profilo della tutela – si è addirittura dubitato della necessità di scomodare la figura dell’affidamento per risarcire un tale tipo di danno[3].
3. La giurisprudenza della Cassazione successiva alle ordinanze gemelle
L’orientamento affermato dalla Cassazione nel 2011, con riguardo alla giurisdizione sui danni arrecati dall’annullamento di un provvedimento favorevole ma illegittimo, è stato successivamente confermato in diverse pronunce[4] (anche del Consiglio di Stato)[5].
E’ da ricordare, in particolare, l’ordinanza 4 settembre 2015, n. 17586[6], perché la motivazione che sorregge la decisione dimostra l’attenzione con cui la Cassazione ha seguito il dibattito della dottrina e le perplessità suscitate dal principio affermato sul punto.
Con questa ordinanza la Cassazione ha sottolineato come il principio riguardi ipotesi nelle quali l’esercizio del potere amministrativo (l’autotutela), o comunque l’annullamento giurisdizionale del provvedimento, rilevano non in sé, ma per l’efficacia causale del danno evento da affidamento incolpevole.
Ciò che viene messo in luce, in questa prospettazione, non è la modalità di esercizio del potere, ma il diritto soggettivo – di colui che ha ottenuto il provvedimento favorevole – a mantenere nel proprio patrimonio la consistenza sostanziale di questo diritto.
La lesione dell’affidamento creato dal provvedimento favorevole è dunque fonte di una responsabilità che – nella ricostruzione operata dalle Sezioni Unite con l’ordinanza del 2015 – è ricondotta nell’ambito delle “responsabilità da comportamento” dell’amministrazione.
Il danno considerato ai fini dell’accertamento della responsabilità non viene in rilievo come conseguenza del provvedimento, pur illegittimo, perché non deriva dal cattivo esercizio di un potere autoritativo. Dunque tale accertamento non richiede alcuna verifica in ordine alla legittimità degli atti posti in essere dall’amministrazione, non richiede il previo annullamento di questi atti, ma pone il baricentro nella fase di contatto tra il privato e l’amministrazione: il solo presupposto su cui si fonda tale responsabilità viene individuato nella lesione dell’affidamento in questa fase di contatto.
Così inquadrata la fattispecie di responsabilità – ed esclusa ogni possibile riconduzione nell’ambito del perimetro segnato dall’articolo 7 del codice del processo amministrativo – le Sezioni Unite confermano il principio affermato con le ordinanze gemelle del 2011, rilevando come il diritto al risarcimento del danno da lesione dell’affidamento non appartenga alla giurisdizione del giudice amministrativo anche quando tale affidamento si sia formato in una materia che rientri nella giurisdizione esclusiva dello stesso giudice amministrativo.
Da tale impostazione deriva che il privato, quando agisce in giudizio per il risarcimento del danno da lesione del legittimo affidamento, non porta come causa petendi l’illegittimità del provvedimento (da cui deriverebbe la giurisdizione del giudice amministrativo), ma fa valere la lesione di una nuova situazione di diritto soggettivo – il diritto alla conservazione dell’integrità patrimoniale – restando irrilevante ogni collegamento con il provvedimento e con l’esercizio autoritativo del potere dell’amministrazione.
La giurisdizione non può dunque essere attribuita al giudice amministrativo perché la lesione dell’affidamento del privato, e quindi del diritto soggettivo all’integrità patrimoniale, deriva dal realizzarsi di una fattispecie complessa rispetto alla quale l’illegittimo esercizio del potere da parte dell’amministrazione ha costituito solo uno, sia pure importante ma non necessario, dei fattori che hanno leso l’integrità patrimoniale del privato. Il provvedimento, sottolineano le Sezioni Unite, ha rappresentato soltanto “l’occasione” per ledere la sfera del privato.
Da ultimo, con l’ordinanza del 21 settembre 2020, n. 19677, le Sezioni Unite ribadiscono – sempre con riguardo ad analoghe fattispecie – che la domanda di risarcimento esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo in ragione della causa petendi.
In quel caso, in particolare, la società attrice non aveva messo in discussione l’illegittimità dell’atto ampliativo della sua sfera giuridica, annullato ope iudicis (si trattava dell’aggiudicazione di una gara); né aveva rimproverato all’amministrazione l’esercizio illegittimo di un potere consumato nei suoi confronti. La parte attrice aveva lamentato la lesione del proprio affidamento sulla legittimità dell’atto annullato e aveva domandato il risarcimento del danno (ovvero la condanna al pagamento dell’indennizzo o alla restituzione dell’indebito) per avere orientato le proprie scelte negoziali e imprenditoriali confidando, fino all’annullamento, nella relativa legittimità dell’atto (e per avere sostenuto spese di esecuzione del contratto di appalto stipulato a seguito della gara).
Il Tribunale adito[7] aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore del giudice amministrativo sul rilievo che la posizione soggettiva dell’impresa di fronte all’esercizio illegittimo dell’attività provvedimentale non può considerarsi una fattispecie suscettibile di metamorfosi a seconda della diversa tutela – caducatoria o risarcitoria – invocata, ma mantiene una sostanziale unitarietà che rileva ai fini del riparto di giurisdizione. Con la conseguenza che – qualora la parte invochi, pure in via autonoma, la tutela risarcitoria per un danno cagionato dallo scorretto esercizio del potere – la posizione soggettiva lesa deve comunque ritenersi di interesse legittimo, considerata la riconducibilità della fattispecie nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il giudice della giurisdizione ha invece confermato il principio secondo cui per predicare la sussistenza della giurisdizione amministrativa occorre che il danno del quale si chiede il risarcimento nei confronti della pubblica amministrazione sia causalmente collegato all’illegittimità dell’atto: in quel caso – come evidenziato dalla causa petendi – il risarcimento veniva chiesto non in relazione al danno provocato dall’illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì come conseguenza della lesione dell’affidamento ingenerato dall’atto di aggiudicazione apparentemente legittimo.
4. La lesione dell’affidamento in assenza di provvedimento
Con l’ordinanza 28 aprile 2020, n. 8236[8], le Sezioni Unite hanno aggiunto un segmento ulteriore al principio affermato, a partire dal 2011, in tema di tutela dell’affidamento nei confronti della pubblica amministrazione: la Cassazione si è infatti pronunciata sulla domanda di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento nel caso in cui non venga in gioco alcun provvedimento illegittimamente ampliativo, poi annullato in autotutela o in sede giurisdizionale.
Il caso è stato affrontato dalle Sezioni Unite in sede di regolamento preventivo di giurisdizione proposto da un Comune a seguito della domanda di risarcimento dei danni presentata da un’impresa di costruzioni che lamentava il falso affidamento ingenerato dal comportamento “ondivago” dell’amministrazione. Il danno prospettato riguardava la sola condotta dell’amministrazione, indipendentemente da ogni connessione con invalidità provvedimentali e, addirittura, indipendentemente dalla stessa esistenza di un provvedimento.
In particolare, nell’atto di citazione davanti al giudice ordinario, la parte attrice aveva evidenziato come – a fronte della presentazione di un progetto di massima per la realizzazione di un complesso alberghiero su un terreno di proprietà dell’impresa – il Comune avesse dapprima riconosciuto la rilevanza, sotto il profilo dell’interesse pubblico, dell’intervento progettato, senza però consentire, a distanza di anni, la favorevole conclusione del procedimento.
Nel frattempo era stata infatti adottata una variante urbanistica che, anche per effetto delle osservazioni regionali accolte dal Comune, l’impresa aveva ritenuto eccessivamente limitativa quanto alle potenzialità edificatorie.
Per oltre quattro anni – si lamentava – il Comune aveva interloquito e dialogato con l’impresa attraverso rassicurazioni in ordine all’esito favorevole del procedimento, richieste di integrazione documentale, suggerimenti di soluzioni migliorative, pareri anche favorevoli, per poi giungere all’esito del tutto insoddisfacente per l’interessata: un tale comportamento ondivago doveva ritenersi rilevante non solo sotto il profilo della violazione dei termini di conclusione del procedimento, ma soprattutto in punto di lesione dell’affidamento al rilascio del titolo richiesto per la realizzazione dell’intervento.
Proprio in relazione al doppio profilo contestato dall’impresa con la domanda di risarcimento, il Comune ha proposto il regolamento di giurisdizione ritenendo che sulla questione fosse competente il giudice amministrativo. Tanto la fattispecie del danno da ritardo per violazione dei termini procedimentali, quanto la fattispecie del danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa in materia edilizia ed urbanistica – ha rilevato la parte convenuta – rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[9].
In effetti, in questo senso ha concluso il Procuratore Generale che, condividendo quanto sostenuto dal Comune, si è espresso per l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo. In particolare il Procuratore Generale ha ritenuto che i principi enunciati nelle ordinanze gemelle non fossero applicabili alla vicenda in quanto essi “postulano l’esistenza di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, sulla cui legittimità il medesimo privato abbia fatto affidamento e che successivamente sia stato caducato, in via di autotutela o in sede giurisdizionale”. Provvedimento che nella specie non era stato adottato[10].
Le Sezioni Unite ritengono invece che il caso rientri nella giurisdizione ordinaria e propongono una lettura ancora più dilatata del principio di affidamento.
Il piano di valutazione non è quello dell’invalidità (di diritto pubblico) del provvedimento, ma quello, distinto, della sua conformità ai principi civilistici e alle clausole generali[11].
Prima, tra queste “clausole generali” del sistema ordinamentale, la clausola della buona fede oggettiva che abbraccia sia un dovere negativo di evitare comportamenti scorretti, informazioni sbagliate, reticenze, sia un dovere positivo di comportamento collaborativo.
Un dovere di comportamento collaborativo che – alla luce dell’articolo 2 della Costituzione[12] – interpreta il dovere di solidarietà sociale come “dovere di protezione” quando tra i consociati si instaurano “momenti relazionali” socialmente o giuridicamente “qualificati” tali da generare ragionevoli affidamenti sulla condotta corretta e protettiva altrui[13].
Ciò che viene in rilievo non è, dunque, l’inerzia o il ritardo da parte dell’amministrazione rispetto all’obbligo di concludere il procedimento, ma – al contrario – un comportamento positivo e generatore di aspettative poi deluse, rispetto ad un rapporto tacito di fiducia tra le parti che si svolge interamente sul “piano paritario” e che per questo non può che essere affidato al giudice ordinario.
E’ interessante rilevare come le Sezioni Unite, riprendendo una distinzione già sottolineata da una parte della dottrina, pongano l’accento sulla non sovrapponibilità della nozione di affidamento propria della disciplina dell’annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo rispetto alla nozione di affidamento a cui si fa riferimento nelle tre ordinanze del 2011, e nelle successive pronunce che alle stesse si sono uniformate.
L’affidamento tutelato dalla disciplina dettata dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio “prescinde da considerazioni legate all’elemento soggettivo della condotta dell’amministrazione e delle parti private (colpa, diligenza, buona fede etc.) e si risolve nella verifica della legittimità degli atti formali attraverso cui si esprime il potere discrezionale dell’amministrazione di ponderare l’interesse pubblico alla rimozione di un atto illegittimo con gli interessi privati del beneficiario di tale atto e degli eventuali controinteressati”.
Al contrario, il modello di tutela che viene in rilievo nelle ordinanze gemelle è “una situazione autonoma, tutelata in sé, e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia, secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subìto a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione fondata sulla buone fede”.
Ne deriva, dunque, una chiara distinzione tra la nozione di affidamento legittimo e quella di affidamento incolpevole[14].
L’affidamento legittimo, secondo questa ricostruzione, trova protezione nel rapporto amministrativo: la struttura del procedimento è preordinata a prevenire la lesione dell’affidamento attraverso una serie di regole la cui violazione dà luogo all’invalidità provvedimentale (regole che impongono lo svolgimento di una istruttoria adeguata nel rispetto del contraddittorio; che richiedono la considerazione degli interessi dei destinatari del provvedimento come dei controinteressati; che fissano limiti temporali al potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi; che prevedono un indennizzo in caso di revoca di un atto che rechi pregiudizio agli interessati).
Ma la Suprema Corte ha osservato come – quando tali regole siano state rispettate e quindi risulti legittimo l’annullamento in sede di autotutela dell’atto amministrativo favorevole – sia configurabile la lesione del diverso affidamento che derivi non dalla invalidità di diritto pubblico del provvedimento, ma dalla mancata conformità ai principi civilistici e alle clausole generali del comportamento tenuto dall’amministrazione.
Il modello di tutela che viene in rilievo a fronte di una situazione di affidamento incolpevole – mette in luce l’ordinanza – muove da un piano di valutazione diverso che pone al centro il dovere di correttezza e di buona fede oggettiva, configurabile in capo all’amministrazione anche prima e a prescindere dall’adozione di qualsiasi provvedimento, o dall’esistenza di trattative tra le parti, perché si colloca in una dimensione relazionale[15].
Questo affidamento secondo buona fede – perché inteso come fiducia riposta nella correttezza altrui – non assume rilevanza giuridica se non nel momento in cui l’affidamento è stato deluso.
Con riguardo all’oggetto della lesione, le Sezioni Unite puntualizzano che – contrariamente a quanto affermato dalla stessa Corte a partire dalle ordinanze gemelle – la situazione soggettiva lesa dalla delusione delle aspettative generate dal comportamento della pubblica amministrazione non va individuata nel diritto soggettivo alla conservazione dell’integrità del patrimonio, ma “si identifica nell’affidamento della parte privata nella correttezza della condotta della pubblica amministrazione”[16].
Il danno consegue dunque non alla violazione di un dovere di prestazione, come si verifica in caso di lesione dell’affidamento legittimo, ma alla violazione di un “dovere di protezione”, il quale sorge non da un contratto, ma dalla relazione che si instaura tra l’amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest’ultimo entra in contatto con la prima.
Si tratta quindi di una forma responsabilità che grava sulla pubblica amministrazione nei confronti di un cittadino che si aspetta uno sforzo maggiore, in termini di correttezza, lealtà, protezione, solidarietà e tutela dell’affidamento, rispetto a quello che si attenderebbe dal quisque de populo.
Dunque – affermano le Sezioni Unite – la natura di tale forma di responsabilità della pubblica amministrazione non può che essere ricondotta nell’ambito della responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, il cui elemento qualificante va individuato non nella colpa, bensì nella violazione della buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione reciproca tra le parti[17].
5. Un’ipotesi di sconfinamento?
Come è stato recentemente suggerito[18], l’orientamento delle Sezioni Unite in tema di responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento[19] potrebbe aprire una prospettiva più ampia circa la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo che si presta ad essere estesa ad altre ipotesi – oltre a quella degli interventi amministrativi di secondo grado – sino a comprendere la generalità delle ipotesi in cui sia denunciabile la lesione della buona fede oggettiva[20].
La considerazione può senz’altro essere condivisa. Ma il punto è l’individuazione del giudice chiamato ad occuparsi di questa tutela.
Può ritenersi che – per attribuire la giurisdizione al giudice ordinario – sia sufficiente il richiamo al parametro della buona fede oggettiva o la riconduzione della responsabilità dell’amministrazione nell’ambito della responsabilità da contatto qualificato?
È vero che un numero sempre maggiore di norme di matrice privatistica è diventata regola del diritto amministrativo. Basti pensare alla recente consacrazione dei principi della collaborazione e della buona fede come cardini del procedimento[21].
Non v’è dubbio, d’altra parte, che la vicenda oggetto della richiamata ordinanza delle Sezioni Unite sia emblematica di una esperienza comune a tanti cittadini e a tante imprese: è infatti frequente che, dopo essersi rivolti all’amministrazione – per dare avvio ad un’attività economica, per realizzare un intervento edilizio o un progetto di trasformazione urbanistica – cittadini e imprese abbiano confidato nella favorevole conclusione del procedimento sulla scorta dell’affidamento ingenerato dal comportamento propulsivo dell’amministrazione e dalla positiva valutazione da questa espressa con riguardo al rilievo dell’iniziativa, per poi trovarsi di fronte, a distanza di tempo, ad un orientamento conclusivo del tutto diverso.
E dunque non v’è dubbio che l’apprezzamento – affidato al giudice dei diritti – del comportamento dell’amministrazione sotto il profilo del rispetto dei principi civilistici e delle clausole generali, prima fra tutte quella della buona fede oggettiva, potrebbe costituire un modello di tutela particolarmente efficace a fronte di lesioni arrecate all’affidamento ingenerato dall’amministrazione in situazioni come quelle appena richiamate.
Un tale apprezzamento – appunto perché muove dall’assunto che la controversia escluda qualsiasi collegamento, anche mediato, con l’esercizio del potere – è limitato alla considerazione di comportamenti meri.
A ben vedere, proprio l’esame della fattispecie cui si riferisce l’ordinanza delle Sezioni Unite n. 8236 del 2020 induce a chiedersi se l’orientamento affermato non rischi di affrontare la questione su un piano eccessivamente astratto.
In effetti, tenuto conto della vicenda descritta e in particolare del dialogo e delle interlocuzioni tra le parti, la decisione sembra operare – in modo quasi chirurgico – lo scorporo di alcuni comportamenti da un contesto complesso e articolato che ha visto l’amministrazione dare avvio ad un iter procedimentale (o pre-procedimentale), funzionalmente preordinato all’esercizio del potere.
In altre parole, l’approccio seguito dalla Suprema Corte sembra prendere in esame singoli comportamenti considerati in sé, nel loro aspetto statico.
Ma non si può non tener conto del contenuto dell’affidamento tradito: il danno di cui l’impresa chiede il risarcimento viene prospettato in relazione alla lesione di un’aspettativa sorta da comportamenti, iniziative e attività preliminari dell’amministrazione che hanno indotto a confidare nel favorevole esercizio di un potere amministrativo. Comportamenti, iniziative e attività preliminari che, appunto, sono (o dovrebbero essere) volte alla verifica della sussistenza dei presupposti per il favorevole esercizio di tale potere.
E sotto questo profilo vi è un altro aspetto che deve essere considerato e che riguarda un dato ontologico del potere amministrativo, quello della sua inesauribilità[22]: l’amministrazione investita di un potere ha per ciò stesso il potere di esercitarlo nuovamente.
E’ sufficiente il richiamo alla ri-esercitabilità del potere per cogliere come la considerazione segmentata e statica dell’attività procedimentale (o pre-procedimentale) quale comportamento mero di una amministrazione, finisca per trascurare un elemento che non può essere trascurato: la discrezionalità di cui – pur con margini molto diversi – è investita l’amministrazione nell’esercizio del potere. Discrezionalità che è certamente rilevante anche nell’attività pre-procedimentale, in quanto preordinata all’esercizio del potere.
Di qui una perplessità in ordine alle modalità di apprezzamento del comportamento dell’amministrazione secondo la clausola della buona fede oggettiva: proprio con riferimento alla vicenda in esame, concernente l’atteggiamento ondivago nell’attività preordinata al rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione del complesso alberghiero, sembra infatti difficile valutare il comportamento dell’amministrazione – in punto di coerenza, di correttezza, di buona fede – scorporandolo dal contesto complessivo entro il quale quell’attività si inserisce, senza tener conto dei mutamenti intervenuti con riguardo all’assetto degli interessi pubblici alla cui realizzazione è preordinato il potere non ancora esercitato.
Nel caso di specie, l’intervento progettato dall’impresa non è stato più realizzabile (nelle dimensioni proposte) per il contrasto con i limiti introdotti da una variante urbanistica adottata dopo la presentazione della domanda, nel corso della lunga fase interlocutoria.
Non v’è dubbio che – dal punto di vista dell’impresa – quella variante possa rappresentare un comportamento scorretto e incoerente, tale da arrecare una lesione dell’affidamento sotto il profilo della violazione del principio generale della buona fede oggettiva.
Ma – dal punto di vista dell’interesse pubblico – il richiamo al c.d. postulato della inesauribilità del potere induce a ritenere che l’apprezzamento della buona fede richieda necessariamente una valutazione in ordine alle ragioni sottese alla scelta di procedere all’adozione della variante. In effetti, l’amministrazione, quando si pronuncia sulla domanda del privato, è tenuta a fare riferimento al regime normativo vigente non all’epoca di presentazione della domanda, ma nel momento in cui essa provvede, perché l’ultima disciplina adottata è (o dovrebbe essere) quella che garantisce la più adeguata valutazione dell’interesse pubblico attuale.
A questo proposito non può non richiamarsi il fondamentale studio di Fabio Merusi[23] che – con grande anticipo – aveva intuito che la verifica giudiziale in ordine alla buona fede dell’amministrazione avrebbe dovuto affidarsi a parametri come la ragionevolezza dell’affidamento asserito, la ragionevole prevalenza dell’interesse pubblico sopraggiunto rispetto alla situazione di affidamento in precedenza determinata[24].
Parametri tradizionalmente utilizzati dal giudice amministrativo attraverso la lente di ingrandimento del vizio della funzione che consente ora, nella più moderna declinazione delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, di assicurare al processo amministrativo una giurisdizione “piena”, con l’accesso diretto del giudice al fatto e al materiale probatorio[25].
È vero, come ha ricordato l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – che i doveri di correttezza, buona fede e lealtà non sono incompatibili con l’esercizio di poteri lato sensu autoritativi dell’amministrazione[26]; ma da questa affermazione non può farsi derivare l’assunto secondo cui la violazione di tali doveri comporta necessariamente la lesione di una posizione di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.
Non può bastare l’accertamento di un comportamento dell’amministrazione contrario ai canoni della correttezza e della buona fede per escludere la giurisdizione del giudice amministrativo quando tale comportamento – considerato non in sé, ma nel contesto della vicenda in cui si inserisce – sia riconducibile, sia pure mediatamente, nell’area dell’esercizio del potere (e quindi nell’ambito di una inerenza a una vicenda in cui l’amministrazione agisce come autorità, circostanza sufficiente per attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo in quanto giudice, non dell’atto amministrativo, ma dei pubblici poteri[27]).
Sicché, in ipotesi come quella esaminata, sembra difficile contestare che la posizione soggettiva lesa, pur riferibile all’ambito dell’affidamento tradito, abbia natura di interesse legittimo[28]. Con la conseguenza che la tutela risarcitoria dovrebbe spettare al giudice amministrativo.
La circostanza che i comportamenti tenuti dall’amministrazione non siano confluiti nell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento (nel caso esaminato, prima dell’instaurazione del giudizio risarcitorio) non dovrebbe dunque rilevare in punto di qualificazione della posizione soggettiva.
Del resto, la vicenda su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite mette in luce come sia riduttivo ricondurre le iniziative e le attività poste in essere dall’amministrazione, nel corso della lunga interlocuzione con l’impresa, nell’ambito di comportamenti meri. Risulta infatti che in quel caso, insieme a numerosi incontri informali tra i diversi uffici coinvolti nel procedimento autorizzativo, vi siano stati anche atti formali – seppure infra o pre-procedimentali – come la richiesta di acquisizione e la successiva espressione del parere da parte della Commissione urbanistica, la richiesta di parere alla Regione in ordine alla compatibilità dell’iniziativa con il Piano per l’Assetto Idrogeologico Regionale, a seguito della rielaborazione del progetto suggerita all’impresa dallo stesso Comune in esito alle interlocuzioni con le diverse amministrazioni interessate.
A ben vedere, più che di comportamenti meri, sembra trattarsi di segmenti procedimentali o pre-procedimentali. Anzi, per riprendere la storica definizione sandulliana, sembra proprio trattarsi di “una serie di atti […] e di operazioni […], posti in essere da un unico o da diversi agenti, solitamente culminanti in un provvedimento, e strutturalmente e funzionalmente collegati dall’obbiettivo avuto di mira, e perciò appunto coordinati in procedimento”[29].
Dunque, la mancata adozione del provvedimento conclusivo del procedimento non sembra impedire una considerazione unitaria di quell’insieme di atti, dialoghi, interlocuzioni, unificati dall’essere – tutti – preordinati all’esercizio del potere invocato nella domanda rivolta all’amministrazione.
Con la conseguenza che, con riguardo al caso di specie, la posizione soggettiva dell’impresa – la quale, con la propria iniziativa, ha dato avvio a quel complesso di attività, comunque funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico – ben potrebbe essere qualificata come interesse legittimo procedimentale[30].
Sotto questo profilo va anzi rilevato come proprio la riconducibilità della responsabilità da lesione dell’affidamento nell’ambito della responsabilità da contatto qualificato – affermata dalle Sezioni Unite – sembra necessariamente presupporre una relazione, un rapporto, dunque un contesto quasi-procedimentale, piuttosto che una serie di comportamenti meri, considerati singolarmente e non nel loro aspetto dinamico e d’insieme.
In ogni caso, anche a voler ipotizzare che, in vicende come quella esaminata, la lesione dell’affidamento abbia natura di diritto soggettivo, dovrebbe ritenersi che – nelle materie di giurisdizione esclusiva – la tutela spetti comunque al giudice amministrativo.
Ma non v’è dubbio che una distinzione in punto di giurisdizione con riguardo al medesimo comportamento – attribuita al giudice ordinario ove la lesione dell’affidamento sia lamentata sotto il profilo della violazione della buona fede oggettiva, attribuita invece al giudice amministrativo ove tale lesione sia lamentata sotto il profilo della violazione delle norme che disciplinano il corretto esercizio del potere cui il comportamento sia mediatamente riconducibile – finirebbe per incidere fortemente sul principio di concentrazione della tutela giurisdizionale.
Come è stato autorevolmente osservato[31], la regola della concentrazione delle tutele costituisce applicazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale – di cui all’articolo 24 della Costituzione – e cioè del principio che più di ogni altro, sul piano generale, ha contribuito negli ultimi anni all’evoluzione della giurisdizione amministrativa ed alla sua nuova configurazione. È in nome del principio di effettività – si sottolinea – che la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità dell’attribuzione al giudice amministrativo di poteri risarcitori, indicando, nel criterio della concentrazione delle tutele, una modalità di attuazione dell’effettività.
E dunque – soprattutto con riferimento ai casi di annullamento del provvedimento favorevole illegittimo – l’orientamento seguito dalle Sezioni Unite non solo potrebbe tradursi in un vulnus al principio della concentrazione delle tutele, ma renderebbe più frequente il rischio di contrasto tra giudicati, se si considera il consistente numero di contenziosi che nascono dall’annullamento in autotutela di provvedimenti favorevoli (concernenti per lo più il caso della revoca dell’atto di aggiudicazione di una gara o quello dell’annullamento del titolo edilizio, oggetto entrambi delle richiamate ordinanze del 2011).
Del resto, come si è osservato acutamente[32], il diritto amministrativo sembra ormai orientato a riconoscere che – anche nei rapporti amministrativi – l’affidamento possa essere fonte di obbligazioni patrimoniali a carico dell’amministrazione. L’approdo finale del principio di affidamento nel diritto amministrativo – si sottolinea – “non è la garanzia di un risultato favorevole al cittadino in conseguenza dell’affidamento, ma è l’introduzione di una variabile specifica nell’esercizio di un potere discrezionale”. Con la conseguenza che l’affidamento – da ricercarsi non sul piano sostanziale ma su quello procedimentale – si risolve attraverso la ponderazione e il bilanciamento degli interessi. Una tale tecnica consente di mettere a confronto la garanzia del potere amministrativo (e quindi anche del suo riesercizio) con le ragioni dell’affidamento del privato, che mirano alla conservazione della posizione di vantaggio già riconosciuta dall’amministrazione.
Infine un ultimo profilo: quello degli effetti extra processuali del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno arrecato da un comportamento ritenuto contrario alla clausola della buona fede oggettiva alla stregua di una verifica condotta in astratto, senza considerazione per l’intreccio degli interessi pubblici e privati coinvolti nella vicenda.
È tutt’altro che improbabile che i dirigenti degli apparati – per evitare il rischio di essere chiamati a rispondere dei danni cagionati da un comportamento che, scorporato da un tale complesso contesto, possa essere ritenuto ondivago o disorientante – preferiscano proteggersi con un ritorno alla burocrazia difensiva[33].
In altre parole – soprattutto di fronte a progetti di notevole rilevanza economica, fortemente incidenti in materia ambientale o storico-paesaggistica e che dunque richiedono istruttorie particolarmente complesse – potrebbe prevalere la scelta del percorso procedimentale più sicuro. Percorso che certamente non coincide con quello dell’attuazione sostanziale, e non solo formale, dei principi della partecipazione procedimentale.
Verrebbe in questo senso abbandonata ogni iniziativa, da parte dei responsabili degli uffici, volta ad avviare in via informale – in una sorta di leale collaborazione con cittadini e imprese, e spesso con le altre amministrazioni coinvolte dall’iniziativa – una pre-verifica ai fini della valutazione delle diverse soluzioni possibili, in vista della conclusione del procedimento (eventualmente, anche attraverso la definizione concordata del contenuto del provvedimento, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 241 del 1990).
Con il rischio, se così fosse, di tradire una delle prime finalità della legge sul procedimento, proprio al compimento del suo trentesimo compleanno.
Maddalena Filippi
[1]. Cass. Civ., SS.UU., ord. 21 settembre 2020, n. 19677.
[2]. Cfr., M.A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni, in Federalismi.it, n. 7/2011. Cfr., altresì, R. Villata che – in Spigolature “stravaganti” sul nuovo codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2011, 857 ss. – osserva come la mancata estensione della giurisdizione amministrativa alle controversie risarcitorie tramite il riconoscimento di un’ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva abbia consentito alla Cassazione di tentare di riappropriarsi della giurisdizione su questioni risarcitorie collegate all’esercizio del potere.
[3]. Cfr., A. Travi, Annullamento del provvedimento favorevole e responsabilità dell’amministrazione, in Foro It., 2011, I, 2398.
[4]. Cfr., in particolare, le ordinanze delle Sezioni Unite 4 settembre 2015, n. 17586; 22 maggio 2017, n. 12799; 22 giugno 2017, n. 15640; 2 agosto 2017, n. 19171; 23 gennaio 2018, n. 1654; 2 marzo 2018, n. 4996; 24 settembre 2018, n. 22435; 13 dicembre 2018, n. 32365; 19 febbraio 2019, n. 4889; 8 marzo 2019, n. 6885 e 13 maggio 2019, n. 12635. In senso contrario, invece – anche se con riguardo alle sole materie di giurisdizione esclusiva – Cass. Civ., SS.UU., ord., 21 aprile 2016, n. 8057, e Cass. Civ., SS.UU., 29 maggio 2017, n. 13454, secondo cui, in tali materie, la giurisdizione sulle domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento riposto sulla legittimità dei provvedimenti successivamente annullati appartiene al giudice amministrativo.
[5]. Cfr. VI, 27 settembre 2016, n. 3997.
[6]. Si richiamano, in proposito, le argomentazioni critiche di C.E. Gallo, La lesione dell’affidamento sull’attività della pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 2016, 547 ss. e di G.P. Cirillo, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento sul provvedimento favorevole annullato e l’interesse alla stabilità dell’atto amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it – Dottrina, 2016.
[7]. Cfr. sentenza n. 404 del 2009 del Tribunale di Civitavecchia.
[8]. Si richiamano, in particolare, gli approfonditi commenti di G. Tulumello, “Le Sezioni Unite e il danno da affidamento procedimentale: la “resistibile ascesa” del contatto sociale”, in www.giustizia-amministrativa.it – Dottrina, 2020; di V. Neri, La tutela dell’affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice ordinario?, in Urbanistica e Appalti, 6/2020 e di G. Tropea, Comportamento procedimentale, lesione dell’affidamento e giurisdizione del g.o., in Giustizia insieme, 2020.
[9]. Ai sensi, rispettivamente, dell’art. 133, comma 1, lettera a), n.1 e dell’art. 133, comma 1, lettera f), cod. proc. amm..
[10]. Il preavviso di rigetto in ordine al provvedimento conclusivo del lungo procedimento (diniego di rilascio del permesso di costruire in deroga) è stato infatti comunicato all’impresa quando già era stata avviata l’azione risarcitoria nei confronti del Comune davanti al giudice ordinario.
[11]. Così F. Volpe, in “Una nuova geografia delle tutele? Risarcimenti, annullamento e buona fede alla luce dei nuovi orientamenti e delle riforme”, relazione introduttiva al convegno Le giurisdizioni “sconfinate”, webinar, 13 novembre 2020.
[12]. Si richiama, a questo proposito, quanto in precedenza affermato dalla stessa Suprema Corte (Cass. Civ., SS.UU., 15 novembre 2007, n. 23726): “viene in rilievo l’ormai acquisita consapevolezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce all’un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale”.
[13]. La garanzia costituzionale del principio di affidamento, secondo l’orientamento della Corte costituzionale, va invece individuata nell’articolo 3 Cost. (ex multis, Corte cost. 27 giugno 2017, n. 149).
[14]. In ordine alla diversità – “per funzione e per struttura” – delle due figure, si rinvia all’approfondito studio di F. Trimarchi Banfi, Affidamento legittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l’amministrazione, in Dir. proc. amm., 2018, 3, 827.
[15]. Sul punto, l’ordinanza in esame richiama la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 4 maggio 2018, n. 5. Questa sentenza – riprendendo quanto rilevato in dottrina con riguardo alla possibilità che una responsabilità da comportamento scorretto sussista nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento – rileva come “in questi casi il provvedimento amministrativo è un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violativa dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico“, aggiungendo come si tratti di “una responsabilità da comportamento illecito, che spesso non si traduce in provvedimenti illegittimi, ma, per molti versi, presuppone la legittimità dei provvedimenti che scandiscono la parabola procedurale”.
[16]. Sul punto la decisione in commento chiarisce che “La nozione di ‘diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio’ risulta … priva di consistenza autonoma, risolvendosi in una formula descrittiva che unifica in una sintesi verbale la pluralità delle situazioni soggettive attive che fanno capo ad un soggetto”.
[17]. Così, Cass. Civ., I sez, n. 14188 del 12 luglio 2016, con cui la Suprema Corte ha rimeditato l’inquadramento della responsabilità precontrattuale ai sensi degli articoli 1337 e 1338 del codice civile.
[18]. Cfr., in particolare, F. Volpe, in “Una nuova geografia delle tutele?” cit., relazione introduttiva al convegno Le giurisdizioni “sconfinate”, webinar, 13 novembre 2020.
[19] Orientamento confermato, da ultimo, da Cass. Civ., SS.UU., sent. 15 gennaio 2021, n. 615.
[20]. Cfr., in particolare, F. Volpe, in “Una nuova geografia delle tutele?” cit., relazione introduttiva al convegno Le giurisdizioni “sconfinate”, webinar, 13 novembre 2020.
[21]. Il nuovo comma 2 bis, aggiunto all’art. 1 della legge n. 241 del 1990, stabilisce che “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”. Il comma – aggiunto dall’art. 12, comma 1, lett. 0a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 – rende esplicito il principio cui si ispirano tutte le disposizioni del Capo III della legge n. 241 del 1990 sulla partecipazione al procedimento amministrativo.
[22]. A. Travi, La tutela dell’affidamento del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, in Dir. pubbl., 2018, 126.
[23]. L’affidamento del cittadino, Milano, 1970.
[24]. Si vedano sul punto le considerazioni di G.P. Cirillo, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento, cit., che, con riguardo a tale azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento, rileva come risulti “evidente l’estraneità dell’attrezzatura processuale del giudice civile in un giudizio siffatto”.
[25]. Cfr., F. Patroni Griffi, Le giurisdizioni “sconfinate”, relazione al convegno Le giurisdizioni “sconfinate”, webinar, 13 novembre 2020.
[26]. Cfr., Cons. St., Ad. Pl. n. 5 del 2018 cit., ove si osserva come anche nella fase ad evidenza pubblica, che precede l’aggiudicazione della gara, «non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto)».
[27]. Cfr. Corte Cost., sentenze n. 204 del 6 luglio 2004 cit. e n. 191 dell’11 maggio 2006.
[28]. Come osserva autorevolmente F.G. Scoca – L’interesse legittimo, storia e teoria, Torino, 2017, 255 – sembra difficile ricostruire come diritti soggettivi “pretese, o ‘facoltà’, partecipative” che “sono strumenti di sostegno, e di esercizio, nel procedimento, dell’interesse legittimo, di cui sono titolari i privati”.
[29]. A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene Editore, Napoli 1974.
[30] Sulle diverse ricostruzioni elaborate dalla dottrina in ordine alla natura giuridica degli interessi legittimi procedimentali, si rinvia a F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, XIII Edizione, 2020, Parte I, Sezione I, Capitolo 1.
[31]. Così A. Quaranta, Il processo amministrativo – Commentario al D. lgs. 104/2010, a cura di A. Quaranta e V. Lopilato, Introduzione, 58.
[32]. A. Travi, La tutela dell’affidamento cit., in Dir. pubbl., 2018, 131.
[33]. Cfr., G. Tulumello, “Le Sezioni Unite e il danno da affidamento procedimentale” cit..