Della figura di Enrico Guicciardi sappiamo (quasi) tutto.
Sappiamo che prese la cattedra del Diritto amministrativo a Padova nel 1936; che fu allievo di Donati (il quale però era soprattutto un costituzionalista); che da lui deriva la scuola del Diritto amministrativo padovana e a modo suo anche quella benvenutiana.
Ma, prima di Guicciardi, è esistita un’altra scuola del Diritto amministrativo padovana e quindi veneta?
Le mie ricerche sul punto sono ancora incomplete, ma qualche conclusione forse si può già ipotizzare.
La risposta verosimilmente è negativa.
Almeno per come la intendiamo noi, prima di Guicciardi non è esistita a Padova una scuola del Diritto amministrativo o, se è esistita, essa non ha attecchito.
In un certo senso travestita da scuola di Diritto amministrativo, è esistita, invece, una scuola di Scienza dell’Amministrazione a cui diedero impulso alcuni studiosi, di formazione essenzialmente economicistica, che si esaurì nel primo ventennio del secolo passato e che aveva come obiettivo quello di formare, più che dei giuristi, una classe dirigente di funzionari dello Stato.
Per cercare di ricostruire i fatti, dobbiamo partire da un punto fermo.
Prima del 1866 il Veneto era assoggettato alla dominazione austriaca e l’Impero si caratterizzò per una forte avversione verso l’importazione delle tesi illuministiche. Questo tanto più fu vero nei territori dominati, come era appunto il Lombardo Veneto
Non solo non esistevano giudici speciali del contenzioso amministrativo, ma la tutela in genere contro la pubblica autorità era piuttosto esile.
In quegli stessi anni in cui – Firenze capitale – Pasquale Stanislao Mancini cominciava ad elaborare le sue raffinatissime tesi che portarono alla legge abolitiva del contenzioso amministrativo, a Venezia quasi nemmeno si poteva immaginare che esistesse una giustizia contro l’azione dell’apparato pubblico.
Perciò neppure si sentiva il bisogno di qualcuno che insegnasse quelle tutele; forse l’Impero neppure auspicava che tutto ciò venisse insegnato.
Altra cosa, invece, era organizzare l’apparato pubblico; creare modelli di amministrazione e personale adeguato.
Il primo a cui venne affidato il compito di formare queste nuove figure professionali fu Angelo Messedaglia.
Originario di Villafranca Veronese (1820 – Roma, 1901), si formò all’Università di Pavia, laureandosi presso quella Facoltà giuridica. I suoi interessi si spinsero subito verso gli studi economicistici; soggiornò in Inghilterra e studiò le opere di Malthus. Rientrato in Italia simpatizzò per i moti risorgimentali, in una posizione probabilmente non troppo esposta, ma neppure del tutto anonima.
La prudenza gli consigliò di ritardare di due anni la pubblicazione del suo studio Della necessità di un insegnamento speciale politico-amministrativo e del suo ordinamento scientifico (Vallardi, 1851) in cui sostenne che si dovesse tenere distinta la funzione del giudice da quella di chi sovrintendeva all’amministrazione politica (dove l’aggettivo è sinonimo del moderno aggettivo “pubblica”).
Ma tutto ciò non era postulato in vista dell’applicazione del principio di divisione dei Poteri, quanto perché il Messedaglia sosteneva che le due funzioni richiedessero forme di professionalità diverse.
Di qui veniva il suggerimento di istituire una nuova Facoltà destinata a tale scopo, da tenersi distinta dalla Facoltà giuridica tradizionale.
Vi si vede, facilmente, il germe di quella futura Facoltà di Scienze politiche che venne aperta a Padova solo negli anni ’30 su impulso, soprattutto, di Donato Donati.
Dopo alcune vicissitudini (nel ’48 era stato chiamato, per un incarico a Pavia, ma non poté assumerlo per le citate ragioni politiche), il Messedaglia ottenne nel 1849 dall’Università di Padova la patente che lo abilitava all’insegnamento privato di “tutte le materie spettanti all’intero corso dello studio politico legale” (una sorta di libera docenza esercitabile in ogni settore del diritto positivo). Nel 1858, infine, Padova lo chiamò per occupare la cattedra di Economia politica e di Statistica.
Insieme gli fu affidato, per alcuni anni, anche l’incarico della “Scienza delle pubbliche amministrazioni”, la cui autonomia egli aveva rivendicato in quel suo scritto del 1851.
Tale incarico costituisce, probabilmente il primo insegnamento amministrativistico che sia stato tenuto presso l’Università degli Studi di Padova.
Nel 1862, peraltro, la stessa Università chiamava un altro professore di Economia politica e di Statistica: Jacopo Silvestri.
Di lui si sa abbastanza poco e nemmeno se ne conoscono bene le opere.
Nacque a Isola di Malo nel 1821 per morire a Lonigo nel 1901. Perse la cattedra nel 1864, per le troppo accentuate simpatie risorgimentali, ma la riebbe nel 1867, con l’annessione del Veneto all’Italia riunita.
In tale frangente al Silvestri venne affidato l’insegnamento che era stato del Messedaglia, ora ridenominato in “Diritto amministrativo e Scienza dell’amministrazione”.
Egli dovette godere di un certo credito nel panorama degli studi, se nel 1888 prese parte alla commissione che portò V.E. Orlando (già ordinario di Diritto amministrativo a Messina) a ricoprire la cattedra di Palermo.
In ogni caso e come sembra indicare lo stesso titolo di una prolusione che lesse a Padova nel 1886 (Considerazioni e ammonimenti intorno al principio vitale delle istituzioni politiche e amministrative), l’approccio di Silvestri alle discipline amministrativistiche deve essere stato, ancora una volta, più affine alla Scienza dell’Amministrazione che non una applicazione consona a quella giurisprudenza dei concetti che, tramite lo stesso Orlando, stava penetrando definitivamente in Italia.
Come il Messedaglia (prossimo all’Aleardi e a certi cenacoli poetici vicentini), anche il Silvestri fu uomo eclettico e lo si segnala come persona nota allo Zanella nel cui epistolario viene talvolta citato.
Silvestri resse l’insegnamento del diritto amministrativo fino al 1896, quando cessò dal servizio, verosimilmente senza allievi.
Nel frattempo, probabilmente su impulso dello stesso Messedaglia a cui era in qualche modo legato, l’Università di Padova chiama il terzo giurista prestato all’Economia politica.
Si trattò di Carlo Francesco Ferraris (Moncalvo 1850) che, laureatosi a Torino nel 1870, completò la sua formazione in Germania e in Inghilterra. Proprio in quest’ultima nazione egli spostò i suoi interessi (originariamente dedicati davvero al diritto pubblico e parlamentare in specie) verso l’economia della cosa pubblica, divenendo una sorta di socialista ante literam.
Rientrato in Italia e gravato da personali problemi economici, alternò incarichi di insegnamento (a Pavia e a Roma) con funzioni ministeriali.
Venne infine chiamato a Padova nel 1885 favorito anche da Luzzatti (che non sembrava amare troppo il Silvestri, con cui invece il Ferraris sembrò poi coltivare buoni rapporti) per succedere alla cattedra del Morpurgo.
Dal 1891 al 1896 il Ferraris fu anche Rettore dell’Università e, cessato dalla carica, subentrò nell’insegnamento del Diritto amministrativo e della Scienza dell’Amministrazione a Silvestri, proseguendo la linea di pensiero già avviata con il Messedaglia.
In concreto, però, il Ferraris tenne per ben pochi anni l’insegnamento (se mai lo tenne), perché fu presto sopraffatto dagli incarichi istituzionali che lo trattennero a Roma.
Deputato dal 1886 e per tre legislature consecutive, fu nel 1905 Ministro dei Lavori pubblici e dal 1913 senatore a vita.
La sua partecipazione alla vita politica del Regno non fu di circostanza formale. Sono state molte le sue iniziative, a favore della istituzione di una prima organizzazione di assistenza previdenziale e di tutela per gli infortuni sul lavoro.
A lui si ispirò la nazionalizzazione delle Ferrovie dello Stato, la cui concessione a privati venne sostanzialmente sterilizzata.
In linea generale, infine, fu un forte sostenitore dell’intervento pubblico nell’economia.
A causa del suo attivismo politico e istituzionale che lo teneva impegnato a Roma, il Ferraris non poté concretamente tenere gli insegnamenti del Diritto amministrativo che dovettero perciò essere affidati per supplenza.
Sappiamo, così, che nel 1910 l’insegnamento fu tenuto da Federico Cammeo il quale, formalmente, era stato chiamato presso la Facoltà giuridica padovana per tenere il corso della procedura civile.
Dopo che, di lì a pochi anni, Cammeo passò all’Università di Firenze (che aveva contribuito a fondare), la supplenza passò ad altri professori. Ad esempio, nel 1916 essa venne data a Alfredo Rocco (che insegnava il Diritto commerciale e che, in detta materia, aveva come assistente il dott. Francesco Carnelutti).
È verosimile che, quando nel 1919 Donati venne chiamato a Padova, l’insegnamento del Diritto amministrativo fu supplito da lui.
Furono, dunque, gli anni delle varie supplenze nell’insegnamento di Ferraris quelli che spostarono l’attenzione verso un approccio più tecnico-giuridico del Diritto amministrativo e meno legato alle questioni della Scienza dell’amministrazione, costituendo il germoglio su cui fiorì, successivamente, la scuola padovana propriamente detta.
Con la sua morte (Roma, 1924), Ferraris lascia infine la cattedra e si pone il problema di coprirla stabilmente.
Nel 1925 viene così chiamato da Cagliari Giovanni Salemi, quasi certamente con il beneplacito dello stesso Donati, che era piuttosto legato a Santi Romano, al quale pure Salemi era legato, essendo siciliano e affine alla scuola di Vittorio Emanuele Orlando.
Salemi terrà il Diritto amministrativo fino al 1935, quando ha l’occasione di essere chiamato a Palermo, lasciando Padova senza l’eredità di alcun allievo, forse anche perché sovrastato dalla presenza vicina e culturalmente ingombrante di Donati.
Non è forse un caso, anzi, che Donati, forse perché consapevole della situazione, avesse destinato il suo primo allievo (Egidio Tosato) al Diritto costituzionale, mentre aveva destinato il suo secondo allievo (Guicciardi) a coprire il vuoto dell’amministrativo.
La tradizione vuole che, con la fuoriuscita di Salemi, la Facoltà abbia cercato di chiamare Giovanni Miele da Pisa il quale, tuttavia, declinò dopo non poche incertezze. L’aneddotica riferisce, invero, che Miele fu piuttosto noto per essere stato corteggiato da importanti sedi, salvo poi rinunciarvi sempre, una volta approdato a Firenze.
Senza dati oggettivamente verificabili non è possibile offrire ricostruzioni certe, ma non sono del tutto persuaso che l’abdicazione di Miele non possa essere stata in qualche modo ispirata dallo stesso Donati.
Infatti, non appena Miele rinunciò, la Facoltà nel volgere di pochissimi giorni supplì al deficit chiamando Guicciardi a ricoprire il diritto amministrativo, quando egli, da neo-vincitore della cattedra, si era appena insediato a Cagliari dove aveva tenuto il suo primo anno di insegnamento come professore ordinario.
A Guicciardi, infatti, non sarebbe mai stato consentito, come sostanziale prima nomina, di essere inserito nel ruolo di una Facoltà prestigiosa come quella padovana. Per intendersi, è noto che, pur nel secondo dopoguerra, Carnelutti stigmatizzò pubblicamente il fatto che lo stesso Benvenuti avesse ottenuto la sua prima chiamata a Padova, ma – si badi – non a Giurisprudenza, quanto a Scienze politiche.
Lo stato di necessità che era emerso a seguito della rinuncia di Miele consentì dunque che per Guicciardi fosse fatta un’eccezione alla regola.
Quello che avvenne dopo, è noto.
Francesco Volpe