PREMESSA
Per inquadrare le questioni sottese al rapporto tra le norme che regolano le procedure concorsuali e la sorte dei contratti pubblici e, più in generale, la disciplina del comparto di settore, come recentemente modificata per effetto dell’approvazione del D.Lgs. 50/2016 e del successivo Decreto correttivo 56/2017, è opportuno riepilogare, sebbene in via di sintesi, la normativa previgente in materia di appalti.
La necessità di ricostruire l’evoluzione normativa deriva dall’esigenza di coordinare le norme dei due comparti, come oggi vigenti nell’ordinamento. A tale fine risulta rilevante cogliere preliminarmente le diverse finalità via via perseguite dal Legislatore nel disciplinare il fallimento e, più in generale, le procedure concorsuali; ciò tenendo conto che le linee evolutive che hanno inciso sulla normativa originariamente introdotta dal R.D. 16.3.1942 n. 267 (Legge Fallimentare) e, sulla regolamentazione dei contratti pubblici, sono state condizionate dalla disciplina di matrice europea.
Al riguardo viene in primo luogo in rilievo il Regolamento UE n.848 del 20.5.2015 (pienamente operativo dal 2017), relativo alle procedure di insolvenza, che rappresenta la fonte di rango sovranazionale enucleata nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, ai sensi dell’art. 65 del Trattato, che ha novellato il precedente Regolamento CE 1646 del 20.5.2000.
Le modifiche introdotte dal più recente Regolamento europeo hanno significativamente inciso sugli obiettivi perseguiti in considerazione che allo stato della normativa sovranazionale il tema della liquidazione del debitore viene considerata quale opzione e non il fine principale della procedura che è costituito dalla ristrutturazione e risanamento dell’impresa attraverso la valorizzazione della crescita sostenibile dell’azienda.
La Commissione UE, attraverso una raccomandazione, ha suggerito agli Stati membri di introdurre le nuove procedure delineate allo scopo di recuperare gli operatori economici che si trovano in situazioni di instabilità ma non così gravi da comprometterne definitivamente l’operatività.
Inoltre, non meno importanza rivestono le disposizioni introdotte nell’ordinamento europeo con le Direttive del 2014, attuate con il menzionato D.lgs. 50/2016 e relativo correttivo.
In particolare, la norma dell’art. 38 comma 7 lett. b) della Direttiva 2014/23/UE stabilisce che le Amministrazioni aggiudicatrici e gli Enti aggiudicatori possono escludere, o possono essere obbligati dagli Stati membri a escludere, dalla partecipazione all’aggiudicazione delle concessioni un operatore economico qualora ricorrano determinate condizioni rappresentate dallo stato di fallimento, da una procedura di insolvenza o liquidazione, dalla sussistenza della amministrazione controllata o, ancora, nell’ipotesi in cui sia stato stipulato un concordato preventivo con i creditori o se l’operatore economico ha cessato l’attività, ovvero si trovi in qualsiasi altra situazione analoga derivante da una procedura simile ai sensi della legislazione nazionale.
Tuttavia, la norma europea consente alla Committente Pubblica di determinarsi nel senso di non estromettere dalla partecipazione da un appalto pubblico l’operatore economico, ovvero attribuisce agli Stati membri la facoltà di “esigere che l’Amministrazione aggiudicatrice o l’Ente aggiudicatore non escludano dalle procedure concorsuali l’operatore economico che si trovi nella situazione di crisi aziendale” qualora “abbiano stabilito che l’operatore economico sarà in grado di eseguire la concessione tenendo conto delle norme e misure nazionali applicabili in prosecuzione delle attività in tali situazioni”.
Analoga disposizione è contenuta nell’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE, mentre la Direttiva 2014/25/UE, sul punto, si limita a rinviare a quanto disciplinato dalla Direttiva 2014/24/UE.
Le disposizioni di matrice europea hanno valorizzato il principio secondo cui le procedure concorsuali debbono essere protese non solo a eliminare dal mercato quelle imprese che non siano più in grado di svolgere la propria attività, o comunque ad espletarla in maniera regolare, assicurando, altresì, l’interesse privato dei creditori (finalità tradizionalmente riservata alle procedure concorsuali), ma anche a garantire il più generale obiettivo di conservazione del bene “azienda” che coniuga sia la salvaguardia di interessi generali, quale la tutela occupazionale, che particolari, in quanto, attraverso l’adozione di misure preordinate ad evitare la dispersione del compendio aziendale, i creditori possono più adeguatamente essere tutelati e massimizzare le aspettative di recupero dei crediti.
Il rapporto tra norme fallimentari e regole che governano il comparto degli appalti pubblici riguarda sia la fase di selezione dei contraenti della P.A., che quella esecutiva dei contratti.
- LA NORMATIVA PREVIGENTE
1.1 La disciplina in vigore sino al D.lgs. 163/2006
Per comprendere l’evoluzione della disciplina vale ricordare che storicamente la normativa interna in materia di appalti pubblici non ammetteva che un soggetto sottoposto a procedure concorsuali potesse utilmente partecipare alle gare preordinate all’aggiudicazione degli appalti, ovvero eseguire le prestazioni afferenti a un contratto in corso.
Va, inoltre, ricordato che la normativa in materia di qualificazione degli operatori economici non consentiva agli stessi, né di ottenere la certificazione idonea ad abilitarli a concorrere alle procedure selettive, né di conservarne il possesso nell’ipotesi in cui sopravvenisse, all’ottenimento della certificazione, una procedura concorsuale.
Precedentemente all’entrata in vigore del D.M. 34/2000, che ha trasferito alle società organismi di attestazione l’attribuzione a rilasciare la certificazione di qualificazione, la Legge 10.2.1962 n. 57[1] subordinava il rilascio della certificazione attestante il possesso dei requisiti, da parte dell’Albo Nazionale Costruttori a favore degli operatori economici, all’insussistenza di procedure di liquidazione o di fallimento e alla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo.
Analogamente, disponeva la norma dell’art. 17 comma 1 lett. g) del successivo DPR 34/2000[2].
Le prefate disposizioni sono refluite, senza significative modifiche, nel DPR 207/2010, adottato in esecuzione delle previsioni del D.Lgs. 163/2006.
Senza voler ripercorrere la regolamentazione che si è via via succeduta sino all’entrata in vigore del cd. “Codice De Lise” (D.lgs. 163/2006), va osservato che la norma dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006, inserendosi nell’alveo della tradizione legislativa, espressamente considerava ostativa alla partecipazione alle gare d’appalto, e quindi alla stipula di contratti pubblici, lo stato di fallimento, di liquidazione coatta e di concordato preventivo. Sulla base di tale presupposto, le società organismi di attestazione erano tenute ai sensi dell’art. 78 del DPR 207/2010 a verificare l’insussistenza di procedure concorsuali in capo all’operatore economico ai fini del rilascio dell’attestazione abilitante l’esecuzione dei lavori pubblici.
Una volta sopravvenuta l’apertura di una procedura concorsuale l’operatore economico doveva, quindi, intendersi sprovvisto del requisito di ordine generale rappresentato dall’insussistenza, nei suoi confronti, di procedure concorsuali. Ne deriva che doveva essere pronunciata, ai sensi dell’art. 40 del D.Lgs. 163/2006, la decadenza dell’attestazione SOA (previamente ottenuta), con la conseguente impossibilità per l’operatore economico soggetto a procedura concorsuale, da un lato, di concorrere per l’aggiudicazione degli appalti e, dall’altro, di procedere nell’esecuzione dei lavori afferenti a contratti già stipulati, proprio per effetto della sopravvenuta carenza della qualificazione.
A conforto della tesi per cui l’apertura di procedure concorsuali non consentiva la prosecuzione dei contratti in essere rinviene l’art. 140 del D.lgs. 163/2006, nel quale è refluito l’art. 10 comma 1-ter della L. 109/1994[3], che attribuiva alle Stazioni Appaltanti la facoltà, in caso di fallimento dell’appaltatore, ovvero di liquidazione coatta e concordato preventivo dello stesso, di interpellare progressivamente i soggetti che avevano partecipato all’originaria procedura di gara, secondo l’ordine risultante dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per il completamento dei lavori, evitando, in tal modo, la reindizione delle procedure selettive.
La normativa introdotta con il D.lgs. 163/2006, e completata nel 2010 con il Regolamento approvato con DPR 207/2010, declinava, nel solco della tradizione, un sistema per cui l’operatore economico soggetto a procedure concorsuali né poteva regolarmente concorrere per l’aggiudicazione di contratti pubblici, né utilmente proseguire nella realizzazione di quelli perfezionati precedentemente all’apertura di dette procedure.
Del resto, la norma dell’art. 81 della Legge Fallimentare, ponendosi quale disposizione specifica rispetto a quella dell’art. 72 della medesima L.F.[4], precisava, e precisa, le conseguenze sui contratti d’appalto in caso di fallimento dell’appaltatore, stabilendo che nell’ambito dei contratti d’appalto privato il rapporto contrattuale si scioglie ogni qualvolta la qualità soggettiva dell’esecutore sia stata motivo determinante del contratto, salvo che il Committente non consenta la prosecuzione del rapporto, ferma l’applicazione delle norme relative al contratto d’appalto per le opere pubbliche.
Coordinando, dunque, le disposizioni a suo tempo in vigore e sopra sinteticamente riepilogate, l’eventuale apertura di una procedura concorsuale nei confronti di un operatore economico determinava l’irreversibile conseguenza per cui questo né avrebbe potuto partecipare alle gare, né conservare i contratti in corso di esecuzione.
Con riferimento alla sorte dei contratti già perfezionati, l’orientamento giurisprudenziale era netto nell’affermare il principio che, per effetto delle procedure concorsuali inerenti l’Appaltatore, il rapporto avrebbe dovuto sciogliersi ope legis[5].
Il riferito quadro normativo conduce a concludere che la disciplina delineata anche a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. 163/20006 e del relativo Regolamento attuativo (DPR 207/2010) non consentiva agli operatori economici sottoposti a una procedura concorsuale di continuare nell’esercizio dell’attività con riferimento agli appalti pubblici, essendo preclusa sia la possibilità di partecipare alle gare, e quindi di acquisire nuovi contratti, che di concludere l’esecuzione di quelli in corso.
1.2 L’evoluzione della disciplina fallimentare e gli adeguamenti del Codice dei Contratti approvato con il D.Lgs. 163/2006
Sennonché, a partire dalla riforma introdotta nel 2006, sono state via via apportate significative innovazioni in materia di procedure fallimentari.
Prima della menzionata riforma si è discusso in Dottrina sulla differenza tra stato di crisi, quale presupposto oggettivo del concordato preventivo, e “stato di insolvenza” quale presupposto obiettivo del fallimento.
La demarcazione tra “stato di crisi” e “stato di insolvenza” è stata ritenuta risiedere, essenzialmente, nella non irreversibilità della capacità di adempiere; ciò con il corollario che per stato di crisi avrebbe dovuto intendersi una situazione tale da non ritenere definitivamente pregiudicata la capacità dell’imprenditore ad adempiere alle proprie obbligazioni, mentre per stato di insolvenza l’assoluta impossibilità di dare corso agli impegni assunti (o da assumere)[6].
La richiamata riforma del 2006 ha precisato (aggiungendo un ultimo comma all’art. 160 della Legge Fallimentare) che lo stato di insolvenza costituisce un’ipotesi dello stato di crisi, aderendo sul punto all’orientamento giurisprudenziale[7].
Ne deriva che lo stato di crisi comprende un’area vasta che ha ai suoi estremi, da un lato, l’insolvenza vera e propria e, dall’altro, le ipotesi di difficoltà finanziarie temporanee per le quali l’esito della impossibilità irreversibile ad adempiere è meramente eventuale. Ciò fermo restando che può sussistere uno stato di squilibrio potenzialmente destinato a degenerare nell’insolvenza, che si pone tra gli estremi sopra indicati.
Tenendo conto dell’impostazione seguita dal Legislatore con la novella del 2006, l’art. 33 del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7.8.2012 n. 134[8], ha introdotto nell’ordinamento l’istituto del “concordato con continuità aziendale”, cui può farsi ricorso nel caso in cui i piani concordatari prevedano “la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio, ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”, consentendo, peraltro, la possibilità di liquidare i beni non funzionali all’esercizio della stessa.
Senza, ovviamente, entrare nel merito dei contenuti del piano e dei benefici riservati dalla norma al debitore ammesso al concordato con continuità aziendale per quanto riguarda l’estinzione delle obbligazioni di pagamento assistite da privilegio, va osservato che la norma dell’art. 186-bis ha previsto, tra gli effetti tipici del concordato con continuità, la conservazione dei contratti in corso anche stipulati con le Pubbliche Amministrazioni.
Più in particolare, durante la prosecuzione dell’attività di impresa quale conseguenza dell’ammissione al concordato con continuità, i contratti in essere alla data del deposito del ricorso non si risolvono, anche se la controparte contrattuale sia una Pubblica Amministrazione. Ciò con la previsione di nullità di eventuali contrarie pattuizioni ricavabili dal contratto.
È di tutta evidenza che la previsione della “conservazione” dei contratti ha sovvertito l’impostazione fino a quel momento seguita dal Legislatore in materia di appalti pubblici.
D’altra parte, la definizione di un istituto direttamente rivolto ad evitare la dispersione del plesso produttivo, e quindi delle capacità tipiche dell’operatore economico (che si configurano precipuamente nella “organizzazione” dei beni aziendali ai fini dello svolgimento dell’attività di impresa) allo scopo di coniugare al meglio l’interesse pubblico sotteso a tale conservazione e quello privato dei creditori, senza la previsione espressa di conservazione dei contratti in corso avrebbe pregiudicato irrimediabilmente la stessa possibilità di perseguire le finalità della legge.
Per effetto della disposizione fallimentare introdotta con il menzionato art. 186-bis, il Legislatore è intervenuto anche sull’allora vigente Codice di Contratti (D.lgs. 163/2006) modificando l’art. 38 al fine di rendere coerente le previsioni ivi contenute con quella fallimentare[9].
Ed infatti, con lo stesso art. 33 del D.L. 83/2012 convertito dalla L. 134/2012, dal novero dei soggetti cui è preclusa la partecipazione alle gare e la sottoscrizione dei contratti pubblici sono stati espunti gli operatori economici ammessi a concordato con continuità aziendale ai sensi dell’art. 186-bis L.F.
Ora, se è vero che il Legislatore non è intervenuto in modo analogo sull’art. 140 dello stesso D.lgs. 163/2006, né sulle disposizioni volte a regolare l’attività delle Società Organismi di Attestazione ai fini del rilascio della certificazione di qualificazione, nel senso che non ha inserito identica precisazione volta a chiarire espressamente che l’ammissione a concordato in continuità non risultava condizione idonea a incidere sulla posizione dell’appaltatore, è di piana evidenza che la disciplina di settore ha subito un’evoluzione del tutto lontana dalla tradizione, incidendo anche sulle disposizioni dell’art. 140 e su quelle finalizzate a disciplinare l’azione delle SSOOAA[10].
Del resto, considerate le finalità perseguite attraverso l’introduzione nell’ordinamento del concordato con continuità, la salvaguardia dei contratti, anche stipulati con Amministrazioni e Enti Pubblici, è risultata conseguenza ineludibile, anche se condizionata dalla necessità di ricercare un punto di equilibrio tra l’esigenza del Committente Pubblico di affidarsi a un appaltatore non solo qualificato, ma anche in grado di offrire adeguate garanzie sul piano economico-finanziario, oltreché organizzativo e tecnico, e quella di consentire la prosecuzione dell’attività di impresa.
- IL CONCORDATO IN BIANCO E LA PREVIGENTE DISCIPLINA DEGLI APPALTI PUBBLICI
L’impostazione seguita dal Legislatore nei termini sopra rassegnati non è stata risolutiva dell’insieme di questioni che l’operatività di un’impresa sottoposta a una procedura concorsuale pone nell’ambito dei rapporti con le Amministrazioni aggiudicatrici e gli Enti aggiudicatori, tanto più alla luce delle sopravvenute previsioni del comma 6 dell’art. 161 L.F.[11] e per effetto delle quali è possibile per l’imprenditore dare corso al cd. “concordato prenotativo o in bianco”.
Omettendo di ripercorrere la richiamata norma fallimentare, ciò che assume rilievo, con riferimento al comparto degli appalti pubblici, è che alle criticità correlate alla novità di consentire a un appaltatore in stato di crisi – e, per questo, sottoposto a una procedura concorsuale – di continuare nell’esercizio dell’impresa si è aggiunta quella di dover valutare la posizione dell’operatore economico nel periodo ricompreso tra la presentazione dell’istanza del concordato preventivo e il Decreto di ammissione al concordato.
Sul piano normativo il Legislatore si è limitato al ricordato intervento di modifica dell’art. 38, con l’ovvia conseguenza che è stato lasciato ampio spazio alla funzione pretoria della Giurisprudenza e dell’Autorità di settore, in quanto la specifica disciplina degli appalti pubblici non dedicava attenzione all’ipotesi di concordato in bianco.
In particolare, con Determinazione n. 3 del 23.4.2014, l’ANAC è intervenuta allo scopo di fornire un contributo ermeneutico delle norme del Codice degli Appalti in materia di partecipazione alle gare (art. 38 del d.lgs. 163/2006) in rapporto all’art. 186-bis della Legge Fallimentare.
Muovendo dal presupposto che la disposizione fallimentare contempla e regola due fattispecie, e segnatamente:
- Quella relativa a imprese che, pur avendo presentato istanza di ammissione a concordato in continuità, non abbiano ancora ottenuto il Decreto di ammissione, e
- Quella che riguarda gli operatori economici già ammessi alla procedura,
l’Autorità di Settore ha concluso (e, invero, non avrebbe potuto essere altrimenti) che in entrambi i casi è consentita la partecipazione alle gare, ovviamente nel rispetto delle condizioni declinate dalla norma dell’art. 186-bis[12]. Ciò sul presupposto che le regole fallimentari risultavano direttamente rivolte a consentire il tentativo di recuperare la stabilità aziendale prescrivendo, però, una serie di cautele, così da preservare le pretese creditorie e consentirne una migliore soddisfazione.
In sostanza, secondo l’interpretazione dell’Autorità, il concordato con continuità aziendale rappresenta una species del più ampio genus del concordato preventivo, specificatamente finalizzata al ritorno in bonis dell’operatore economico, con la conseguenza che, alla stregua del quadro normativo risultante dalle novelle introdotte alla Legge Fallimentare nel 2012-2013, è stata delineata una netta distinzione tra concordati puramente liquidatori e quelli diretti ad assicurare, o comunque perseguire, la prosecuzione dell’attività di impresa.
In tale quadro, l’ANAC non solo ha confermato che gli operatori economici sottoposti a concordato preventivo ordinario non potevano partecipare alle gare, ma ha anche chiarito che il divieto dovesse essere esteso a quelli che avessero presentato un’istanza di concordato cd. “prenotativo” o “in bianco” ai sensi dell’art. 161 comma 6 della Legge Fallimentare[13].
Secondo l’Autorità, il concordato in bianco doveva intendersi quale ulteriore forma di concordato che, per le sue peculiarità, non poteva ritenersi idonea a consentire la prosecuzione dell’attività.
Le riepilogate conclusioni hanno condotto l’Autorità anche ad esprimersi in ordine alle questioni sottese alla qualificazione ottenuta o da ottenersi ad opera degli operatori economici sottoposti a concordato. In particolare, l’ANAC ha ritenuto che:
- Le imprese sottoposte a concordato ordinario non avrebbero potuto ottenere la qualificazione, e qualora ne fossero in possesso avrebbero dovuto essere sottoposte al procedimento di decadenza previsto dall’art. 40 del D.lgs. 163/2006;
- Gli operatori economici ammessi a concordato con continuità aziendale avrebbero conservato l’attestazione precedentemente ottenuta, ovvero avrebbero potuto ottenerla;
- Gli operatori economici che avessero presentato la domanda di ammissione a concordato con continuità non avrebbero potuto essere soggetti al procedimento di decadenza di cui al richiamato art. 40 del D.lgs. 163/2006, conservando quindi l’attestazione, potendo essere regolarmente sottoposti alla verifica triennale o addirittura ottenerne il rinnovo (per le imprese attestate), ovvero il rilascio (per quelle non attestate), fermo il dovere della SOA di monitorare l’esito dell’istanza;
- Gli operatori economici che avessero presentato domanda di concordato “prenotativo” o “in bianco” non solo non avrebbero potuto aspirare a ottenere l’attestazione di qualificazione, ma, ove ne fossero già in possesso, sarebbero stati sottoposti al procedimento di decadenza ex art. 40 del D.lgs. 163/2006.
Le conclusioni sopra rassegnate sono state, con riguardo al cd. “concordato in bianco”, sovvertite con la Determina n. 5 dell’8.4.2015, con la quale l’Autorità di settore ha concluso che, nel caso di istanza di concordato prenotativo o in bianco, gli operatori economici possono, nell’arco temporale successivo a tale istanza, e dunque sino al pronunciamento del Tribunale, conservare l’attestazione di qualificazione, partecipare alle gare (previa autorizzazione del Tribunale) e conservare i contratti in corso, senza che l’Amministrazione aggiudicatrice o l’Ente aggiudicatario sia facultizzato a invocare la presentazione della domanda quale presupposto dello scioglimento dei contratti.
L’Autorità di settore ha adottato le riepilogate considerazioni “al fine di evitare che le imprese in crisi si vedano preclusa la possibilità della continuità aziendale proprio nel momento in cui preannuncino la presentazione del relativo piano” preordinato alla prosecuzione dell’attività di impresa in cui si sostanzia la domanda di concordato prenotativo e (probabilmente) anche alla stregua delle modifiche apportate all’art. 186-bis L.F. con la L. 21.2.2014 n. 9[14].
In sede giurisprudenziale si sono susseguite opinioni divergenti in merito alla possibilità, per l’operatore economico in concordato, di partecipare a gare pubbliche prima dell’adozione del Decreto di ammissione, con un contrasto, invero, determinato dagli interessi ritenuti di volta in volta prevalenti: quello dell’operatore economico di aspirare all’aggiudicazione di nuovi appalti, al fine di procedere al risanamento dell’impresa e quindi, in tale quadro, di soddisfare i propri creditori[15], ovvero quello della Stazione Appaltante Pubblica di evitare che la procedura concorsuale sia esposta “ad una durata non preventivabile, anche in conseguenza del possibile esito negativo della procedura concordataria”[16].
Sul punto vale ricordare che, nell’ambito del dibattito giurisprudenziale, il Consiglio di Stato, esaminando una questione ricadente nell’ambito di precettività del D.lgs. 163/2006, ha recentemente rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione della compatibilità con la normativa europea dell’esclusione dalla gara a seguito della presentazione della istanza di concordato preventivo in bianco, ritenendo rilevanti le seguenti questioni pregiudiziali[17]:
- Se sia compatibile con l’art. 45 comma 2, lett. a) e b), della Direttiva 2004/18/CE del 31.3.2004, considerare “procedimento in corso” la mera istanza, presentata all’organo giudiziario competente, di concordato prevenivo da parte del debitore;
- Se sia compatibile con la predetta normativa considerare la confessione del debitore di trovarsi in stato di insolvenza e di volere presentare istanza di concordato preventivo in bianco, quale causa di esclusione dalla procedura di appalto pubblico, interpretando così estensivamente il concetto di “procedimento in corso” sancito dalla normativa comunitaria (art. 45 della Direttiva) e nazionale (art. 38 del D.lgs. 163/2006).
Se, dunque, la questione relativa alla possibilità degli operatori economici che avessero presentato, in vigenza del vecchio Codice dei Contratti, domanda di partecipazione alla gara, trovandosi nella situazione di avere depositato istanza di concordato prenotativo in bianco è stata diversamente affrontata dal Giudice Amministrativo, tanto da determinare il Consiglio di Stato a dare impulso al procedimento di interpretazione pregiudiziale da parte del Giudice Europeo, la questione relativa alla conservazione dei contratti è stata risolta nel senso che quando è prospettato un concordato con continuità diretta, durante il tempo del concordato in bianco concesso ai sensi dell’art. 161 comma 6 L.F., i contratti pubblici in essere al tempo del deposito della domanda proseguono senza necessità di autorizzazione alcuna da parte del Tribunale, in applicazione del comma 3 dell’art. 186-bis L.F., a mente del quale i contratti in corso di esecuzione alla data del deposito del ricorso, anche stipulati con Pubbliche Amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura. Ciò con il corollario che l’autorizzazione di cui al comma 4 dell’art. 186-bis L.F. è prevista per la partecipazione dell’imprenditore – che ha proposto domanda di concordato in bianco – a procedure di affidamento di contratti pubblici, e non per la prosecuzione dei contratti pendenti[18].
Sennonché, in esito all’intervento legislativo apportato con la richiamata L. 9/2014, la questione relativa alla legittimazione degli operatori economici a partecipare alle gare pubbliche e a conservare i contratti in essere, in pendenza della domanda di concordato in bianco, sembrava essere stata superata in senso positivo, secondo le linee interpretative tracciate dall’ANAC con la richiamata Determina n. 5/2015.
- LA DISCIPLINA INTRODOTTA CON IL D.LGS. 50/2016 E RELATIVO DECRETO CORRETTIVO
3.1 L’armonizzazione delle norme in materia di contratti pubblici con quelle fallimentari
Al quadro normativo sinteticamente riepilogato, e in presenza delle criticità interpretative cui si è fatto cenno, si è sovrapposta la disciplina introdotta dal d.lgs. 50/2016 (e successivo Decreto correttivo n. 56/2017), senz’altro più organica rispetto alla precedente, se non altro in considerazione dell’osservazione che è stata adottata alla stregua del chiaro assetto della legislazione fallimentare come formatasi a seguito delle riforme via via apportate dal 2006 al 2015.
Peraltro, in materia di procedure concorsuali, la fase di liquidazione dell’attivo nel fallimento è stata significativamente incisa allo scopo di tentare di ridurre al minimo i rischi di dispersione dei valori aziendali.
Al fine di assicurare la riferita finalità l’esercizio provvisorio è stato, infatti, inserito nel contesto delle regole preordinate alla liquidazione dell’attivo e non più, come in precedenza, all’interno delle regole dedicate alla custodia e all’amministrazione delle attività fallimentari.
L’intera materia è stata, dunque, riformulata “tenendo conto delle prassi virtuose poste in essere dai Tribunali più attenti che da tempo adottano soluzioni liquidatorie che previlegiano la duttilità e la rapidità delle operazioni di cessione cercando di superare le farraginose e poco efficienti norme sulle vendite modellate sul sistema delle esecuzioni coatte individuali”[19].
Nel quadro di tale rinnovata prospettiva, la norma dell’art. 104-ter della L. F., come modificata dal D.lgs. 9.1.2006 n. 5 e integrata dal D.L. 27.6.2015 N. 83, convertito dalle L. 6.8.2015 n. 132, ha previsto che il programma di liquidazione deve estrinsecarsi in una proposta unitaria che deve fornire indicazioni riguardo all’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, o di singoli rami d’azienda, o l’opportunità di autorizzare l’affitto d’azienda o di suoi rami e la possibilità di cessione unitaria dell’azienda, o di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuabili in blocco; previsioni tutte finalizzate ad evitare lo smembramento dei beni che compongono l’azienda.
È stato dunque considerato l’esercizio provvisorio, in forma diretta, ad opera e con oneri a carico del Curatore, ovvero in forma indiretta, attraverso l’affitto di specifici rami a soggetti terzi. In tutti i casi l’esercizio provvisorio deve essere consentito in un quadro di opportune cautele finalizzate ad attenuare i rischi che potrebbero riverberare in danno ai creditori.
La normativa fallimentare dispone che, per fare ricorso all’esercizio provvisorio, è necessario che sussista il presupposto di un “danno grave” che è stato ritenuto, in Dottrina, non quale pregiudizio “incombente sui creditori”, quanto “riferito genericamente all’attività imprenditoriale considerata in tutte le sue manifestazioni”[20], con la conseguenza che l’istituto dell’esercizio provvisorio “risponde non più al solo interesse privatistico di consentire un miglior risultato dalla liquidazione concorsuale, ma è aperto a quello pubblicistico di utile conservazione dell’impresa ceduta nella sua integrità o in parte”[21].
Nel caso di fallimento, dunque, l’esercizio provvisorio, al fine di assicurare la conservazione del patrimonio in vista di una futura cessione unitaria dell’azienda può essere garantito o direttamente (dal Curatore), ovvero indirettamente (attraverso l’affitto di azienda o di più rami). Il tutto al fine di preservare, o addirittura, e per quanto possibile, recuperare, quelle componenti che vanno dall’avviamento, alla forza lavoro, alla conservazione dei rapporti contrattuali cui chiaramente non sarebbe riservata alcuna tutela, né forme di valorizzazione nel caso di mera liquidazione dell’attivo aziendale.
Alla stregua delle nuove previsioni – introdotte con la richiamata norma dell’art. 104-ter L.F. – è stato rilevato un avvicinamento tra il fallimento e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese atteso che, nel caso di esercizio provvisorio, si assiste ad una liquidazione programmata attraverso una gestione intermedia dell’Impresa diretta o indiretta, preordinata all’alienazione degli asset, massimizzando l’attivo, e ciò in modo del tutto analogo a quanto previsto dalla legge cd. “Prodi bis”.
Da quanto sopra sinteticamente illustrato rinviene la considerazione che in sede di definizione delle norme rivolte a dare attuazione alle Direttive 23/24/25/2014/UE, in base alla Legge Delega 11/2016 e dunque a regolare il comparto degli appalti pubblici, è stato necessario attentamente vagliare le disposizioni relative alle procedure concorsuali via via modificate in guisa da recepire adeguatamente le norme europee senza determinare insanabili contrasti tra disposizioni necessariamente interferenti, anche tenendo conto delle possibilità riservate al Legislatore nazionale dalle stesse norme degli artt. 38 e 57 delle Direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE. E ciò dovendo tenere in debita considerazione l’approdo della regolamentazione delle procedure concorsuali per cui, in caso di concordato con continuità, la conservazione dei contratti d’appalto si estende anche a quelli stipulati con un’Amministrazione aggiudicatrice o un Ente aggiudicatore, mentre è consentita la partecipazione alle gare pubbliche.
Identiche conseguenze derivano nel caso di “concordato prenotativo o in bianco”.
Con riferimento all’amministrazione straordinaria, la Giurisprudenza ha da tempo chiarito che tale tipologia di procedura per le sue caratteristiche non poteva in alcun modo essere assimilata alle procedure concorsuali ritenute ostative alla partecipazione alle gare e alla conservazione dei contratti[22].
Ebbene, in sede di recepimento il Legislatore interno ha affrontato le questioni collegate all’insolvenza, ovvero allo stato di crisi dell’appaltatore, in diverse disposizioni del nuovo Codice dei Contratti Pubblici.
3.2 Le disposizioni degli artt. 80 e 110 del D.Lgs. 50/2016: l’Istituto dello scorrimento della graduatoria di gara
In primo luogo, va dato conto della disposizione dell’art. 80, che ha escluso la possibilità di partecipare alle gare qualora “l’operatore economico si trovi in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di concordato con continuità aziendale, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall’art. 110”.
L’art. 110 espressamente stabilisce:
“1. Le stazioni appaltanti, in caso di fallimento, di liquidazione coatta e concordato preventivo, ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione dell’appaltatore, o di risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 108 ovvero di recesso dal contratto ai sensi dell’articolo 88, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ovvero in caso di dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto, interpellano progressivamente i soggetti che hanno partecipato all’originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l’affidamento dell’esecuzione o del completamento dei lavori, servizi o forniture.
- L’affidamento avviene alle medesime condizioni già proposte dall’originario aggiudicatario in sede in offerta.
- Il curatore del fallimento, autorizzato all’esercizio provvisorio, ovvero l’impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su autorizzazione del giudice delegato possono:
- a) partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatario di subappalto;
- b) eseguire i contratti già stipulati dall’impresa fallita o ammessa al concordato con continuità aziendale.
- L’impresa ammessa al concordato con continuità aziendale non necessita di avvalimento di requisiti di altro soggetto. L’impresa ammessa al concordato con cessione di beni o che ha presentato domanda di concordato a norma dell’articolo 161, sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, può eseguire i contratti già stipulati, su autorizzazione del giudice delegato.
- L’ANAC, sentito il giudice delegato, può subordinare la partecipazione, l’affidamento di subappalti e la stipulazione dei relativi contratti alla necessità che il curatore o l’impresa in concordato si avvalgano di un altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica, nonché di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto, che si impegni nei confronti dell’impresa concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa nel corso della gara, ovvero dopo la stipulazione del contratto, non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto o alla concessione, nei seguenti casi:
- a) se l’impresa non è in regola con i pagamenti delle retribuzioni dei dipendenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali;
- b) se l’impresa non è in possesso dei requisiti aggiuntivi che l’ANAC individua con apposite linee guida.
- Restano ferme le disposizioni previste dall’articolo 32 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in materia di misure straordinarie di gestione di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione”.
Le novità recate dal nuovo Codice sono, evidentemente, finalizzate a rendere pienamente compatibili le norme regolatorie il comparto degli appalti pubblici con le previsioni della Legge Fallimentare.
E in tale prospettiva non è più preclusa al Curatore Fallimentare la possibilità di partecipare a procedure di affidamento di contratti pubblici e di dare esecuzione ai contratti già stipulati, nel caso in cui, ovviamente, sia autorizzato all’esercizio provvisorio.
In sostanza, il Legislatore dal 2016, in sede di attuazione delle Direttive europee in materia di concessioni e appalti pubblici, non ha potuto che definire la disciplina interna in modo da renderla coerente con l’evoluzione della regolamentazione delle procedure concorsuali consentendo, così, alle imprese che operano esclusivamente o prevalentemente nel settore degli appalti pubblici di perseguire le finalità proprie della Legge Fallimentare[23].
I precetti degli artt. 80 e 110 vanno letti unitariamente al fine di superare eventuali contraddizioni che potrebbero essere ingenerate da una considerazione atomistica delle norme.
Si è dato conto che l’art 80 non consente la partecipazione alle gare degli operatori economici che si trovino in stato di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa, di concordato preventivo o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni. Ciò escludendo dal novero delle procedure concorsuali ostative alla partecipazione alle procedure di aggiudicazioni di appalti pubblici il concordato preventivo con continuità aziendale.
Tale opzione conferma quanto già disciplinato dall’art. 38 del D.lgs. 163/2006 ed è in linea con le regole contenute nell’art. 182-bis L.F..
Lo stesso art. 80 fa salvo, pur nel quadro delle ipotesi alla stregua delle quali è inibita la possibilità di concorrere per l’affidamento di appalti pubblici, “quanto previsto dall’art. 110”.
L’esame delle norme contenute nell’articolo in parola impone, preliminarmente, di osservare che il comma 1 prescrive l’obbligo delle Stazioni Appaltanti, nel caso in cui il contraente privato sia sottoposto a una procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta e concordato preventivo), ovvero a una procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione, di interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all’originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l’affidamento dell’esecuzione o del completamento dei lavori, servizi e forniture.
Tale previsione si pone, invero, quale innovazione rispetto all’art. 140 del previgente Codice dei Contratti, il quale attribuiva alle Committenti Pubbliche la facoltà di ricorrere al cosiddetto “scorrimento della graduatoria”, senza prescrivere un obbligo, come invece risulta dal riepilogato comma 1 dell’art. 110.
Se è vero che in Dottrina la ricordata nuova impostazione della norma ha suscitato critiche fondate sulla considerazione che l’attuale formulazione sembrerebbe dover imporre una lettura particolarmente restrittiva da parte delle Stazioni Appaltanti, che sarebbero onerate a ricorrere agli operatori economici partecipanti alla originaria procedura di gara, con il corollario che la disposizione non sembrerebbe perfettamente calibrata con le regole preordinate alla salvaguardia dei contratti in corso[24], deve piuttosto ritenersi che la norma, letta in combinato disposto con quelle contenute nei commi successivi (in particolare, 3, 4 e 5), non presenti particolari criticità ermeneutiche.
Sostanzialmente, la previsione del comma 1 va interpretata quale disposizione di carattere residuale, nel senso che, ove l’operatore economico contraente della P.A. – o, più in generale, degli Enti aggiudicatori – sia sottoposto a procedure concorsuali, le Stazioni Appaltanti, qualora non si verifichino le condizioni per poter assicurare la prosecuzione del contratto da parte del medesimo appaltatore (soggetto alla procedura), declinata dai successivi commi, dovranno obbligatoriamente fare ricorso all’istituto dello scorrimento della graduatoria, senza che sia loro riservata una valutazione di convenienza in ordine alla preferenza di perfezionare un contratto relativo ai lavori con i soggetti partecipanti all’originaria procedura di gara, ovvero indire una nuova fase concorsuale per l’aggiudicazione dell’appalto (rectius: dei lavori residui oggetto dell’appalto).
Ad avviso di chi scrive, dunque, la norma del comma 1, se da un lato non è in grado di incidere sulle regole che prevedono la conservazione del rapporto negoziale in capo all’operatore economico soggetto a fallimento o concordato, nei limiti di cui ai successivi commi 3 e 4, dall’altro non si pone neanche in contrasto con il generale principio della massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica, come opinato in Dottrina[25], in quanto il favor partecipationis non può certo essere leso dall’affidamento delle prestazioni residue a un operatore economico che abbia comunque concorso in gara per l’aggiudicazione dell’appalto.
L’affidamento mediante lo scorrimento della graduatoria rinviene, infatti, la sua legittimazione dall’esito di una procedura di gara, con il corollario che il perfezionamento del contratto con uno dei concorrenti della originaria fase selettiva non può essere ritenuto concluso in deroga alle regole, anche di matrice europea, che impongono che la scelta del contraente dell’Amministrazione aggiudicatrice o dell’Ente aggiudicatore sia conseguenza di un confronto competitivo.
Piuttosto, deve ritenersi che l’obbligatorietà, imposta dal comma 1 dell’art. 110, di fare ricorso agli operatori economici che abbiano partecipato all’originaria procedura concorsuale è direttamente finalizzata a perseguire la più celere esecuzione del contratto che, ovviamente, sarebbe pregiudicata dalla rinnovazione della gara.
Nondimeno, va rilevato che la norma in commento consente all’Ente di interpellare tutti gli originari candidati all’aggiudicazione, e ciò in difformità alle previsioni dell’art. 140 del D.lgs. 163/2006, il quale limitava l’interpello ai 5 operatori economici posizionati, nella graduatoria di gara, successivamente all’aggiudicatario.
Sul piano pratico, l’applicabilità della norma potrebbe essere limitata dalla circostanza che le condizioni alla stregua delle quali perfezionare il contratto debbono essere quelle risultanti dall’offerta dell’operatore economico nei confronti del quale è sopravvenuta l’apertura della procedura concorsuale.
In sostanza, i soggetti interpellati, per effetto dell’applicazione della disposizione di che trattasi, potranno pervenire all’aggiudicazione dell’appalto, e alla conseguente conclusione del contratto, solo qualora si impegnino a realizzare le prestazioni alle condizioni di cui all’offerta originariamente risultata prima classificata.
L’opzione prescelta dal Legislatore (invero, quale conferma di quella già considerata nell’art. 140 come modificato per effetto dell’art. 1 comma 1 lett. dd) n. 2 del D.lgs. 11.9.2008 n. 152) potrebbe determinare talune criticità, in quanto l’operatore subentrante sarebbe chiamato a realizzare le prestazioni a condizioni diverse da quelle da questo ritenute convenienti in sede di gara[26].
Quanto sopra senza lasciare in disparte l’osservazione che, nel caso in cui l’offerta originariamente aggiudicataria (ai sensi della quale l’operatore economico subentrante dovrà realizzare le attività) sia stata caratterizzata da elementi di anomalia, l’Amministrazione dovrebbe rinnovare, prima della aggiudicazione definitiva, e quindi della stipula del contratto, il sub-procedimento di verifica di congruità, risultando evidente che l’operatore economico subentrante dovrà essere in grado di dimostrare la capacità di realizzare le prestazioni alle condizioni a suo tempo offerte dall’operatore economico estromesso dall’esecuzione per effetto della sopravvenuta procedura concorsuale.
D’altra parte, se le giustificazioni finalizzate a comprovare la congruità di un’offerta risultata anormalmente bassa sono rivolte a dimostrare, ai sensi dell’art. 97 comma 4, che l’offerente è in grado di realizzare le attività[27], deve giocoforza concludersi che il subprocedimento di verifica in contraddittorio dell’offerta non potrà essere pretermesso, proprio perché le giustificazioni che consentono di chiarire che l’operatore economico è in grado di assicurare le prestazioni alle condizioni offerte[28], si appuntano sulla capacità imprenditoriale dell’Appaltatore, con il corollario che non potrebbe la Stazione Appaltante superare la questione opinando che l’originario contraente sia stato a suo tempo in grado di comprovare la congruità e affidabilità della proposta presentata in gara.
In sostanza, il rilievo soggettivo della capacità di eseguire le prestazioni alle condizioni offerte appare elemento decisivo e deve risultare anche nel caso dello scorrimento della graduatoria.
3.3 La conservazione dei contratti in corso in capo all’operatore economico soggetto a procedure
Da quanto sopra discende, dunque, la considerazione che l’obbligo di fare ricorso allo scorrimento della graduatoria non è elemento idoneo ad incidere sulla conservazione del contratto in capo all’operatore economico fallito, qualora ricorrano le fattispecie declinate dai commi 3 e 4.
La disposizione contenuta nel richiamato comma 3 stabilisce che possono partecipare alle procedure preordinate all’aggiudicazione di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi (ovvero, essere affidatari di subappalto), nonché eseguire i contratti già stipulati, gli operatori economici falliti, qualora il Curatore del fallimento sia autorizzato all’esercizio provvisorio e acquisisca, altresì, specifica autorizzazione dal Giudice Delegato a procedere nell’esecuzione del contratto, ovvero a presentare offerta per l’aggiudicazione di ulteriori appalti.
La norma si pone, evidentemente, in continuità con le previsioni introdotte nella Legge Fallimentare di cui si è dato conto nei precedenti paragrafi.
Ed infatti, se – come già riferito – l’opzione di consentire l’esercizio provvisorio, al fine di salvaguardare appieno il compendio aziendale, è soluzione prescelta dal Legislatore in materia concorsuale, sarebbe stato poco agevole comprendere la mancata considerazione di tale esercizio provvisorio nell’ambito della specifica disciplina volta a regolare gli appalti pubblici quale alternativa possibile per la liquidazione dell’attivo.
In altre parole, la norma dell’art. 110 è stata modellata tenendo conto delle modifiche introdotte con l’art. 104-ter L.F. con la L. 132/2015, di conversione del D.L. 83/2015.
La riferita norma del comma 3 consente – e non avrebbe potuto essere altrimenti – anche agli operatori economici ammessi a concordato con continuità aziendale di partecipare alle pubbliche gare e a eseguire i contratti già stipulati.
Analogamente, la facoltà di procedere nell’esecuzione dei contratti è riservata agli operatori economici ammessi al concordato con cessione di beni o che abbiano presentato domanda di concordato a norma dell’art. 161 comma 6 del R.D. 267/1942 (concordato prenotativo in bianco), ferma la necessità dell’autorizzazione del Giudice Delegato.
Vale osservare che l’originaria previsione dell’art. 110 consentiva all’operatore fallito e a quello ammesso a concordato con cessione di beni, ovvero che avesse presentato domanda ex art. 161 comma 6 RD 267/1942, di procedere nel senso indicato dalle norme “sentita l’ANAC”.
In altre parole, non era sufficiente l’autorizzazione del Giudice Delegato, ma risultava necessario anche il parere dell’ANAC che, peraltro, secondo la portata letterale della disposizione, doveva ritenersi obbligatorio, ma non vincolante.
Ebbene, l’obbligo di coinvolgere in tale fase l’Autorità di settore è stato espunto dalla disposizione con la norma dell’art. 74 del D.Lgs. 56/2017.
Tale opzione legislativa appare senz’altro coerente, in considerazione dell’osservazione che una volta acquisita l’autorizzazione del Giudice Delegato non sarebbe certo risultato agevole comprendere la necessità (o anche solo l’utilità) di acquisire il parere dell’ANAC che ove, in astratto, fosse stato contrario alle conclusioni dell’Autorità Giudiziaria, avrebbe potuto determinare un conflitto non facilmente sanabile, ovvero idoneo a determinare una criticità, quantomeno sul piano dei tempi, nell’evoluzione della posizione dell’operatore economico rispetto alla partecipazione alle gare e all’esecuzione dei contratti.
In sostanza, per effetto delle norme introdotte con il richiamato art. 110, i soggetti falliti, ovvero ammessi a concordato con continuità, potranno legittimamente procedere nell’esecuzione dei contratti in corso, dovendo, in tal caso, acquisire l’autorizzazione del Giudice Delegato e sempreché, per quanto attiene all’operatore economico fallito, il Curatore sia stato previamente autorizzato all’esercizio provvisorio.
Nel caso di concordato con cessione di beni, sarà sempre possibile per l’operatore economico preservare i contratti in corso procedendo nell’esecuzione delle prestazioni che ne costituiscono l’oggetto.
Ciò con l’osservazione che la norma precisa che, in caso di ammissione a concordato in continuità, l’operatore economico non dovrà ricorrere all’avvalimento di altra impresa, come viceversa previsto nei casi di fallimento e concordato con cessione di beni e, quindi, di concordato liquidatorio (e qualora disponga in tal senso l’ANAC, ove ricorrano le condizioni declinate dal comma 5, lett. a) e b)).
La norma del comma 4 del citato art. 110 precisa, inoltre, che i contratti già stipulati possono essere eseguiti, sempre su autorizzazione del Giudice Delegato, previo parere del Commissario ove già nominato, anche dall’operatore economico che abbia presentato domanda di concordato ai sensi del comma 6 dell’art. 161, cioè che abbia depositato una domanda di concordato prenotativo in bianco.
Si è dato conto che il contratto d’appalto è, nella Legge Fallimentare, un contratto tipizzato, con la conseguenza che a questo si applicano le previsioni dell’art. 81 e non quelle dell’art. 72 L.F., dettate in via generale per tutti i negozi cui la stessa Legge Fallimentare non ha riservato specifica regolamentazione.
Ebbene, la norma dell’art. 81 dispone che nell’ambito dell’appalto privato, qualora il fallimento colpisca l’appaltatore, il contratto si scioglie nell’ipotesi in cui le qualità personali dell’esecutore delle prestazioni siano state determinanti ai fini della conclusione del contratto, salva la volontà del Committente di proseguire nel rapporto. Per quanto attiene ai contratti di opere pubbliche, valgono le specifiche regole dettate per tale settore.
Ne deriva che, alla stregua delle sopravvenute disposizioni introdotte con il D.lgs. 50/2016 e relativo Decreto correttivo, i contratti non potranno essere sciolti una volta verificatesi le condizioni previste dalla norma. E ciò quantunque il contratto d’appalto pubblico sia stato configurato dal Consiglio di Stato addirittura quale contratto personale[29], che costituisce categoria nella quale la qualità del contraente è addirittura accentuata, quale elemento determinante la conclusione del negozio, rispetto a quelli sussunti nell’ambito della categoria del contratto intuitu personae.
Per completezza vale osservare che l’Alto Consesso Amministrativo, sul presupposto che il contratto d’appalto pubblico va collocato nella predetta categoria dei contratti personali, ha concluso che questo non avrebbe potuto essere oggetto di trasferimento, unitamente all’azienda (o a un suo ramo), nel caso di cessione del compendio aziendale, sul presupposto che la norma dell’art. 2558 c.c. prevede (salvo patti contrari) che l’acquirente l’azienda (o un suo ramo) subentra nei contratti stipulati per l’esercizio della stessa (o dello stesso), salva l’ipotesi in cui questi abbiano carattere personale.
Tale approdo ermeneutico, significativamente impattante, determinò il Legislatore, in vigenza della L. 109/1994[30] a introdurre specifica disposizione (art. 36, poi refluito nell’art. 116 del D.lgs. 163/2006 e ora nell’art. 106 del D.lgs. 50/2016) preordinata a consentire il subentro, nei contratti pubblici, dell’acquirente l’azienda o un suo ramo, ovvero il soggetto imprenditoriale risultante da altre operazioni societarie (fusioni e scissioni).
In altri termini, se nell’appalto “privato” il contratto concluso a ragione delle qualità soggettive dell’appaltatore si scioglie in caso di fallimento di quest’ultimo, salva diversa volontà della Committente, nel contratto di appalto “pubblico”, addirittura qualificato quale contratto personale, ogni valutazione della Stazione Appaltante è pretermessa, assumendo rilievo determinante esclusivamente la posizione del Giudice Delegato.
3.4 La partecipazione alle gare
Posto quanto sopra, devono svolgersi alcune considerazioni relativamente al rapporto tra l’eventuale autorizzazione acquisita dal Curatore ammesso all’esercizio provvisorio dell’impresa fallita e l’autorizzazione del Giudice Delegato ad espletare le attività consentite dall’art. 110 comma 3.
Invero, la prosecuzione dei contratti in essere non sembra di per sé questione che presenta particolari criticità (salvo quanto si dirà nel successivo paragrafo 3.5 alla stregua dell’osservazione che, se la gestione diretta dell’impresa è preordinata alla salvaguardia del compendio aziendale ai fini della sua liquidazione e, conseguentemente, ottimizzazione dell’attivo a tutela dell’interesse pubblico (salvaguardia dei livelli occupazionali e conservazione della capacità d’impresa) e privato dei creditori, l’eventuale partecipazione alle gare ha determinato la Dottrina a rilevare diverse problematiche che non possono essere sottovalutate.
In particolare, con riferimento all’ipotesi di fallimento, muovendo dal presupposto che uno degli elementi caratterizzanti l’esercizio provvisorio consiste nella valutazione dell’opportunità di continuare le attività sulla base di una positiva considerazione delle prestazioni in corso, in merito alla quale il Giudice Delegato è tenuto a verificare eventuali elementi negativi conseguenti all’interruzione di un’attività economica in itinere, perché potenzialmente idonea a determinare la perdita di valore degli assets aziendali è stato affermato che la partecipazione alle gare si porrebbe al di fuori dei riferiti parametri in quanto la verifica della convenienza a intraprendere nuove attività, da cui evidentemente deriva l’assunzione di nuove obbligazioni e il correlato rischio d’impresa, sfuggono ai compiti del Curatore e anche alle finalità cui l’azione a questo rimessa è finalizzata[31].
In altre parole, la partecipazione a una gara si porrebbe in contrasto con gli obiettivi stessi dell’esercizio provvisorio implicando valutazioni che sfuggono al mero mantenimento del plesso produttivo.
In ordine alle funzioni cui deve attendere il Curatore, preordinate a ricollocare sul mercato il complesso aziendale, ovvero suoi rami, è stato ritenuto che l’esercizio provvisorio è direttamente connesso “all’esistenza stessa della struttura organizzativa al momento della dichiarazione di fallimento poiché, considerata la funzione conservativa della procedura, il curatore non potrebbe ricostruire ciò che è stato distrutto, avventurandosi in operazioni di riconversione o ristrutturazione aziendale” dovendosi limitare “a recuperare l’economicità di ciò che esiste”. Il limite dell’azione del Curatore, se ammesso all’esercizio provvisorio (nel corso del quale non può svolgere attività preordinate al risanamento dell’azienda), andrebbe dunque rinvenuto nel “divieto di de-economizzare la produzione cercando di mantenere in vita una struttura che abbia perso ogni capacità di economica produzione”[32].
Da qui l’osservazione che la partecipazione alle gare d’appalto da parte del Curatore Fallimentare (ammesso all’esercizio provvisorio) risulterebbe opzione del tutto residuale in considerazione della circostanza che, in tal caso, il fallimento dovrebbe essere in grado di impegnare risorse per fare fronte alle obbligazioni conseguenti all’eventuale aggiudicazione della gara e ciò evitando il pregiudizio dei creditori per effetto dell’insorgenza di ulteriori debiti che, ovviamente, assumerebbero il carattere di crediti prededucibili.
Inoltre, è stato rilevato che la partecipazione alle procedure preordinate all’aggiudicazione di ulteriori appalti mal si concilia con il carattere provvisorio dell’esercizio dell’attività d’impresa da parte del Curatore, nonché con le facoltà riservate all’organo giudiziario di disporre l’interruzione in qualsiasi momento.
L’analisi critica rinvenibile in Dottrina la quale si è, invece, espressa positivamente in merito alla conservazione dei contratti nel corso dell’esercizio provvisorio, incontra, ad avviso di chi scrive, un limite nelle finalità cui la normativa fallimentare, e conseguentemente quella regolatoria degli appalti pubblici, è protesa.
L’ammissibilità della partecipazione alle gare, pur nel quadro delle cautele disposte dall’art. 110, che si compendiano, oltreché nell’acquisizione delle autorizzazioni di legge, anche nei poteri riservati all’ANAC (di subordinare la partecipazione alle gare all’avvalimento cd. “rinforzato” di altro operatore, finalizzato a garantire l’Ente aggiudicatore alla prosecuzione della procedura concorsuale, nonché alla stipula e all’esecuzione del contratto), è direttamente finalizzata a garantire che la fase liquidatoria possa essere conclusa attraverso l’ottimizzazione dei beni tra cui va ricondotto l’avviamento rappresentato, evidentemente, anche dal portafoglio ordini vantato dall’operatore economico.
La partecipazione alle gare, eventualmente subordinata all’avvalimento di un operatore economico terzo, è, dunque, opzione offerta dalla legge al fine di rafforzare il patrimonio oggetto di liquidazione che, evidentemente, nella sua unitarietà, non può prescindere dalla prospettiva di eseguire lavori, forniture o servizi in carenza dei quali gli asset aziendali dovrebbero essere liquidati senza comprendere un elemento fondamentale, rappresentato proprio dall’avviamento.
È chiaro che nella fase di valutazione della convenienza a partecipare a una procedura concorsuale, o per meglio dirsi della convenienza a rimanere aggiudicatari dell’appalto, il Curatore Fallimentare e l’Autorità giudiziaria saranno tenuti ad attente previsioni in guisa da evitare le criticità prospettate in Dottrina.
In altri termini, e semplificando la questione: la partecipazione alle gare sembra essere uno strumento offerto dal Legislatore allo scopo di consentire al Curatore Fallimentare, la cui gestione operativa deve essere limitata nel tempo ed evidentemente protesa esclusivamente alla liquidazione dei beni aziendali, di poter porre sul mercato un plesso operativo strutturato e appetibile da parte degli operatori economici che, ovviamente, effettueranno le loro valutazioni anche, e pervero soprattutto, alla stregua del portafoglio ordini che potrà essere trasferito unitamente all’azienda o ai suoi rami produttivi.
Peraltro, le rassegnate considerazioni non escludono che il Curatore Fallimentare provveda ai sensi dell’art. 104 bis della Legge Fallimentare che consente al Giudice Delegato, su proposta del Curatore stesso, e previo parere favorevole del Comitato dei creditori, di autorizzare l’affitto d’azienda o di specifici rami qualora tale soluzione appaia più proficua ai fini della vendita dell’azienda o di parti di questa.
Senza entrare nel merito delle questioni prettamente fallimentari, sottese all’applicazione dell’art. 104-bis, sembra che una tale soluzione non sia incoerente con l’ammissione all’esercizio provvisorio.
Piuttosto, deve rilevarsi che solo l’ammissione all’esercizio provvisorio consentirebbe di concludere proficuamente un contratto d’affitto d’azienda, o di suoi rami, salvaguardando il compendio aziendale.
Tale conclusione discende dall’osservazione che se non può essere revocato in dubbio che anche nel sistema normativo previsto dal nuovo Codice dei Contratti è consentito il subentro dell’acquirente l’azienda o un suo ramo (ovvero dell’affittuario) nel contratto, ai sensi dell’art. 106 comma 1 lett. d) punto 2, è altrettanto evidente che la novazione sul piano soggettivo del contratto stesso potrà intervenire solo se questo sia in essere al momento della conclusione dell’affitto d’azienda o di un suo ramo (cui il contratto stesso acceda).
Ebbene, poiché la possibilità di conservare in capo all’impresa fallita (rectius: al Curatore Fallimentare) il contratto in corso è conseguenza diretta dell’ammissione all’esercizio provvisorio dovendo, in diversa ipotesi, ritenersi prevalere la norma dell’art. 80 del D.lgs. 50/2016, con conseguente doverosa applicazione dell’art. 110 comma 1 del medesimo decreto (che impone lo scorrimento della graduatoria nel caso di fallimento del contraente), deve concludersi che solo l’esercizio provvisorio potrà essere strumento idoneo a preservare, nella sua integrità, il compendio aziendale, anche ove intenda procedersi mediante l’affitto dell’intera azienda o di suoi rami.
Appare a chi scrive che se, sul piano teorico, è condivisibile la tesi per la quale nel sistema fallimentare gli istituti dell’esercizio provvisorio e dell’affitto non debbono necessariamente coesistere, nel senso che astrattamente l’Autorità giudiziaria può autorizzare il Curatore a fare ricorso all’affitto d’azienda o dei suoi rami ai sensi dell’art. 104-bis L.F., senza autorizzare l’esercizio provvisorio, nello specifico comparto dei contratti pubblici l’affidamento a terzi della gestione di un plesso produttivo, sia esso l’intero compendio aziendale o un suo ramo, non può, in concreto, prescindere dalla conservazione dei contratti che presuppone, necessariamente, l’autorizzazione all’esercizio provvisorio.
D’altra parte, osservando ciò che accade nella pratica, affermare che nel settore degli appalti pubblici sarebbe comunque possibile procedere all’affitto d’azienda o di suoi rami senza conservare (e trasferire) i contratti che a questi accedono, risulterebbe un mero esercizio astratto, atteso che, in carenza di prospettive produttive, il ramo d’azienda o il compendio aziendale, verrebbe a subire un pregiudizio in termini di valore che riverbererebbe in danno ai creditori, non consentendo di perseguire le finalità ispiratrici le riforme in materia fallimentare che hanno posto al centro del sistema anche, e soprattutto, la conservazione di beni, non immediatamente riferibili al ceto creditizio, quali i livelli occupazionali che prescindono dalla tutela dei creditori del fallimento.
Per quanto attiene alla diversa ipotesi del concordato con continuità aziendale, la norma dell’art. 110 si è posta nell’alveo del sistema previgente, e dunque delle previsioni rinvenibili nella Legge Fallimentare, introducendo, però, significative novità per quanto attiene alle condizioni alla stregua delle quali è consentita la partecipazione alle gare dell’operatore economico ammesso alla procedura di che trattasi.
Ed infatti, la norma fallimentare contenuta nel comma 5 dell’art. 186-bis prescrive che l’ammissione al concordato preventivo in continuità non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici quando l’impresa presenti in gara, a corredo della documentazione richiesta dalla lex specialis:
- una relazione di un professionista che attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto;
- la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di legge che si impegni quale soggetto ausiliario.
La norma dell’art. 110 del nuovo Codice degli Appalti, nel confermare che all’Impresa ammessa al concordato in continuità aziendale è consentito partecipare alle gare su autorizzazione del Giudice Delegato, non ha reiterato le previsioni della norma fallimentare; piuttosto, il comma 4 specifica, con disposizione opposta a quella sopra riportata, che “l’impresa ammessa al concordato con continuità aziendale non necessita di avvalimento dei requisiti di altro operatore economico”.
In sostanza, la partecipazione alle gare è subordinata all’autorizzazione del Giudice, non richiesta dalla norma della L.F., escludendo la necessità di fare ricorso all’avvalimento, viceversa considerata dalla L.F..
Deriva, dunque, l’esigenza di coordinare le previsioni contenute nella Legge Fallimentare con quella introdotta dal nuovo Codice degli Appalti.
Ebbene, alla stregua della sopravvenuta normativa che regola il comparto degli appalti pubblici sembra doversi concludere che l’operatore economico ammesso al concordato in continuità non sia onerato di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento con le peculiarità indicate dal comma 5 lett. b) dell’art. 186-bis L.F. (avvalimento rinforzato).
Dubbi interpretativi avrebbero potuto essere sollevati ove l’art. 110 non avesse dedicato alcuna particolare attenzione alla fattispecie concreta. Ove la norma, infatti, si fosse limitata a ribadire la possibilità per le imprese ammessa al concordato di che trattasi di concorrere per l’aggiudicazione di nuovi appalti, previa autorizzazione del Giudice, si sarebbe dovuta porre questione in ordine all’integrabilità di tale previsione con quella della Legge Fallimentare.
Poiché, però, la norma del Codice degli appalti ha inteso espressamente escludere – con la prima parte del comma 4 dell’articolo in rassegna – che il soggetto imprenditoriale ammesso a concordato in continuità debba avvalersi dei requisiti di altro operatore economico, può affermarsi che la previsione del comma 5 del citato art. 186-bis L.F. in punto avvalimento deve intendersi superata.
Per effetto del combinato disposto delle norme dell’art. 110 commi 3 e 4 prima parte, sembra doversi affermare che la previsione dell’art. 186-bis comma 5 L.F. è stata senz’altro abrogata per quanto riguarda l’obbligo del concorrente di avvalersi di un’impresa ausiliaria.
Residua la necessità di verificare se l’operatore economico ammesso a concordato in continuità sia comunque tenuto a presentare in gara la relazione del professionista attestante la conformità al piano (della partecipazione alla gara) e la ragionevole capacità di adempimento del contratto in caso di aggiudicazione.
Orbene, ad avviso di chi scrive, dovrebbe concludersi che anche tale incombente sia venuto meno per effetto dell’art. 110 del D.lgs. 50/2016 che, definendo le linee dell’istituto, non ha inteso reiterare la previsione contenuta nella Legge Fallimentare. E ciò in base al principio per cui lex posterior derogat priori.
D’altra parte, l’esigenza che il Giudice Delegato autorizzi la partecipazione alla gara, deve far concludere che la verifica di conformità al piano e la valutazione in merito alla capacità di adempiere alle obbligazioni derivanti dal contratto da stipularsi per effetto dell’aggiudicazione sia assorbita dalla fase autorizzatoria riservata all’Autorità Giudiziaria.
A conforto di tale orientamento rinviene l’osservazione che l’art. 186-bis comma 5 L.F. non subordinava la partecipazione alle gare dell’operatore economico ammesso a concordato in continuità alla autorizzazione del Giudice Delegato, viceversa indispensabile alla stregua della sopravvenuta normativa in materia di contratti pubblici, con l’evidente conseguenza che anche la previsione di cui alla lett. a) della norma fallimentare deve ritenersi abrogata, e in tal senso superata, dalle statuizioni dell’art. 110.
Il sistema previsto dalla Legge Fallimentare, secondo il quale l’operatore economico ammesso a concordato in continuità poteva partecipare alle gare a condizione che presentasse la relazione di un professionista ai fini di confermare la corrispondenza al piano dell’eventuale aggiudicazione e la disponibilità di un operatore economico in bonis a fungere da ausiliario, è stato, dunque, sostituito da quello che prevede, quale condizione della partecipazione, l’autorizzazione del Giudice. In tale prospettiva, è evidente che, unitamente alla documentazione richiesta dalla lex specialis, il concorrente dovrà allegare l’autorizzazione giudiziale (e ciò sia nel caso di fallimento che di concordato in continuità).
In caso di mancata produzione di detta autorizzazione il concorrente non potrebbe essere escluso dalla gara.
Vengono, al riguardo in rilievo i principi generali.
È chiaro che in sede di presentazione della documentazione il concorrente dovrà dichiarare di essere nella condizione di presentare l’offerta e, conseguentemente, in possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 80 (che esclude la partecipazione degli operatori economici soggetti a procedura, salvo che questa non sia costituita dal concordato in continuità e ferma l’applicazione dell’art. 110, che consente la partecipazione all’operatore economico fallito).
Conseguentemente, l’eventuale mancata allegazione della autorizzazione del Giudice dovrà comportare il ricorso, da parte dell’Amministrazione, al dovere di soccorso, declinato dalla norma dell’art. 83 del D.lgs. 50/2016.
Solo nell’eventualità in cui l’Impresa non sia nella condizione di ostendere, nel termine assegnato dall’Amministrazione aggiudicatrice o dall’Ente aggiudicatore, l’autorizzazione, la Stazione Appaltante potrà legittimamente adottare il provvedimento di esclusione dalla gara.
Rinviene un’ulteriore questione.
Potrebbe astrattamente accadere che l’Appaltatore ammesso a concordato in continuità, in esito all’applicazione del dovere di soccorso da parte dell’Ente Appaltante, produca l’autorizzazione giudiziale acquisita solo in esito alla richiesta avanzata dall’Ente.
In tale ipotesi, la posizione dell’operatore economico dovrebbe essere negativamente valutata, con conseguente applicazione della sanzione di estromissione dalla procedura, in quanto, in virtù del principio per cui il concorrente deve possedere i requisiti di partecipazione alle gare per tutta la fase concorrenziale, non potrebbe utilmente essere fatta valere una autorizzazione postuma. Tanto più ove si consideri che la norma dell’art. 110 prescrive che la partecipazione alla gara è ammessa su autorizzazione del Giudice Delegato che deve, ontologicamente, precedere la richiesta di ammissione alla procedura, ovvero la presentazione dell’offerta.
Le ragioni che hanno suggerito la modifica introdotta con la norma dell’art. 110, che ha innovato la precedente disciplina contenuta nella Legge Fallimentare, in punto condizioni alla stregua delle quali all’operatore economico è consentito partecipare alle gare, sembrano derivare dalla considerazione che il concordato non attua lo spossessamento dell’impresa la cui gestione permane in capo all’imprenditore che è tenuto ad agire nei limiti del programma concordatario approvato dall’Autorità giudiziaria, allo scopo di perseguire gli obiettivi individuati da tale programma, con la conseguenza che il Commissario Giudiziale è tenuto a esercitare, per conto e nell’interesse degli organi della procedura, un potere di vigilanza sull’imprenditore e il Giudice Delegato ad assumere la determinazione di consentire di concorrere per l’aggiudicazione di nuovi appalti ove ciò sia, evidentemente, coerente con il piano ed, anzi, funzionale alla sua realizzazione (ovvero all’ottimizzazione della liquidazione dell’attivo nel caso di fallimento).
Conclusivamente, va rimarcato che nell’ipotesi di ammissione all’esercizio provvisorio in caso di fallimento, ovvero di concordato con continuità aziendale, è, dunque, sempre ammessa la partecipazione alle gare (oltreché la continuazione dei contratti in corso).
Significativa differenziazione rinviene dalla circostanza che nel caso di partecipazione alle gare (o esecuzione dei contratti in essere) da parte del Curatore Fallimentare, a questo può essere imposto dall’ANAC (ai sensi del comma 5 dell’art. 110) di avvalersi dei requisiti di un altro operatore economico (ovviamente in bonis), che è tenuto non solo a garantire la messa a disposizione delle risorse necessarie per la realizzazione delle prestazioni, analogamente a quanto previsto in via generale dall’art 89 del nuovo Codice in materia di avvalimento, ma anche ad assumersi l’impegno a subentrare nella fase di sottoscrizione del contratto o di esecuzione dello stesso, qualora il Curatore Fallimentare non sia, per sopravvenute ragioni, nella condizione di proseguire nell’attività (da qui la definizione di “avvalimento rinforzato”).
Riguardo alle modalità di concreta applicazione delle previsioni del comma 5 dell’art. 110, deve darsi conto che nel documento di consultazione dello schema di Linee Guida recanti “Requisiti aggiuntivi delle imprese fallite o ammesse al concordato ai sensi dell’art. 110 comma 5 lett. b) del Codice” l’ANAC ha affrontato la questione del rapporto tra disposizione dell’art. 186 bis comma 5 L.F. e art. 110 comma 3 con riferimento all’ipotesi di operatore economico ammesso a concordato con continuità aziendale, tracciando tre linee interpretative alternative, che destano non poche perplessità.
Secondo l’Autorità di settore, una prima linea ermeneutica potrebbe condurre alla conclusione secondo cui, in applicazione del criterio della successione cronologica delle leggi, deve applicarsi il regime delineato dall’art. 110 comma 3, talché l’autorizzazione del Giudice Delegato sarebbe sempre necessaria.
Tale prospettazione appare corretta ove la conseguenza di detta tesi fosse quella per cui l’autorizzazione del Giudice esaurirebbe ogni incombente necessario per la partecipazione alla gara.
Sennonché, l’ANAC si è limitata a sostenere che l’autorizzazione è “sempre necessaria”, senza chiarire se per effetto della norma del nuovo Codice dei Contratti verrebbero meno gli obblighi imposti dal comma 5 lett. a) e b) dell’art. 186-bis, lasciando aperta la questione se, oltre alla autorizzazione giudiziale, possa anche essere disposto l’obbligo di ricorrere a un’Impresa ausiliaria.
Invero, non sarebbe ragionevole e in linea con il sistema ipotizzare che l’autorizzazione del Giudice dovrebbe aggiungersi agli altri adempimenti cui l’operatore economico sarebbe tenuto in base alle regole fallimentari, e segnatamente quelle declinate dalla lett. b) del comma 5 dell’art. 186-bis L.F..
In sostanza, l’opzione ermeneutica delineata dall’ANAC risulterebbe senz’altro condivisibile ove la conseguenza fosse quella che l’operatore economico è tenuto inderogabilmente ed esclusivamente ad ottenere l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria senza che, in assenza di questa, possa partecipare alle gare, mentre si porrebbe fuori dal sistema ove il comma 5 lett. b) dell’art. 186-bis fosse ritenuto comunque applicabile, imponendo un onere aggiuntivo a carico dell’operatore economico in concordato con continuità aziendale rispetto a quanto indicato dall’art. 110 del D.lgs. 50/2016 che esclude tale incombente.
Ulteriore prospettazione resa dall’Autorità di Settore, e da questa intesa quale “interpretazione armonizzata”, è preordinata ad affermare che l’autorizzazione del Giudice non sarebbe necessaria nell’ipotesi in cui l’impresa ammessa al concordato preventivo in continuità presenti, in sede di gara, la documentazione prevista dall’art. 186 bis comma 5 L.F.; ciò sul presupposto che, in tale ipotesi, l’impresa verrebbe a fornire garanzie idonee a superare la necessità del controllo giudiziale che si esaurisce attraverso il rilascio dell’autorizzazione.
Altra opzione ermeneutica, qualificata “interpretazione intermedia”, è quella per cui l’autorizzazione del Giudice Delegato sarebbe indispensabile fermo restando che ove l’appaltatore fornisca già in sede di istanza autorizzatoria la documentazione declinata dal comma 5 dell’art. 186 bis L.F. allo scopo di agevolare la valutazione del Giudice Delegato, eviterebbe l’intervento dell’ANAC ai sensi dell’art. 110 comma 5 del nuovo Codice dei Contratti.
Ad avviso di chi scrive, le cosiddette interpretazioni “armonizzata” e “intermedia” non colgono nel segno.
La norma, infatti, impone l’autorizzazione giudiziale di talché sostenere che l’autonoma determinazione dell’operatore economico di fornire la documentazione ex comma 5 dell’art. 186 bis non potrebbe in alcun modo far venire meno l’obbligo di ottenere il provvedimento, imposto ex lege, dell’Autorità Giudiziaria oltre a essere coerente con la disposizione che esclude l’obbligo di fare ricorso all’avvalimento rinforzato.
La cd. “interpretazione intermedia” non appare in linea con la norma della prima parte del comma 4, secondo cui in caso di concordato preventivo con continuità l’operatore economico non è tenuto ad avvalersi di imprese ausiliarie. Ed infatti sostenere che la presentazione della documentazione di cui all’art. 186 bis comma 5 sarebbe protesa a agevolare il Giudice Delegato nella fase valutativa pre-autorizzatoria evitando altresì l’intervento dell’ANAC presuppone che nel caso di concordato in continuità sia applicabile il comma 5 che detto intervento disciplina.
È di piana evidenza che una volta affermato che nel caso di concordato in continuità l’impresa non necessita di avvalimento di requisiti di altro soggetto deve escludersi che sia possibile opinare che il comportamento dell’operatore economico possa essere proteso ad evitare un intervento dell’Autorità di Settore, escluso dalla legge.
In sostanza e per concludere, delle tre opzioni interpretative alternative delineate dall’ANAC e sopra sinteticamente riepilogate, appare accoglibile solo la prima, sempreché sia rivolta ad affermare – come si rinviene dalla norma dell’art. 110 comma 3 e comma 4 prima parte – che l’unico incombente posto a carico dell’operatore economico è quello di acquisire l’autorizzazione del Giudice Delegato.
3.5 L’avvalimento di altro operatore economico: l’avvalimento rinforzato
Come sopra anticipato, la partecipazione alle gare da parte dell’operatore economico ammesso al concordato in continuità non è più subordinata al ricorso di un operatore terzo quale ausiliario, atteso il superamento della disposizione di cui al comma 5 dell’art. 186-bis L.F., di cui si è dato conto.
L’esigenza di ricorrere all’istituto dell’avvalimento è declinata nel comma 5 dell’art. 110, che prescrive che l’ANAC, sentito il Giudice Delegato, può subordinare sia la partecipazione alle gare del fallito, che la stipulazione – da parte di questo – dei contratti di appalto (o di subappalto) alla necessità che il Curatore si avvalga di altro operatore in possesso dei requisiti di legge.
Va, altresì, osservato che la possibilità – per l’Autorità di settore – di intervenire imponendo l’ausilio di altro operatore economico ricorre non solo nei confronti del fallito, ma anche nei confronti della “impresa in concordato”.
Tale disposizione, evidentemente, non può riguardare il caso di ammissione a concordato in continuità, in considerazione della circostanza che, come sopra chiarito, l’impresa che sia stata ammessa a tale procedura non necessita di avvalimento per l’inequivocabile previsione della prima parte del comma 4.
Ne deriva che per “impresa in concordato” deve intendersi esclusivamente quella che sia stata ammessa al concordato liquidatorio, che, ai sensi dello stesso comma 4 seconda parte, è abilitata esclusivamente a eseguire i contratti stipulati prima dell’apertura della procedura sempre su autorizzazione del Giudice Delegato.
Residuerebbe l’esigenza di valutare se, anche nell’ipotesi di mera presentazione di domanda di concordato prenotativo ex art. 161 comma 6 L.F., l’ANAC possa esercitare il potere di imporre il ricorso all’avvalimento.
Al riguardo, va osservato che se è vero che la stessa norma del comma 4 seconda parte dell’art. 110 consente alle imprese che abbiano presentato istanza di concordato in bianco di proseguire nella esecuzione dei contratti, è altrettanto indubitabile che nella fase temporale che intercorre tra la presentazione della domanda e il decreto di ammissione l’impresa non può ritenersi in concordato, con l’ovvia conseguenza che la previsione del comma 5 in punto avvalimento non sembrerebbe potersi estendere agli operatori economici nell’arco temporale compreso tra il deposito della richiesta di concordato prenotativo e il decreto di ammissione.
Posto quanto sopra, e fermo che si tornerà nel prosieguo a trattare specificatamente delle criticità correlate alla presentazione di istanza di concordato prenotativo, va osservato che nel caso in cui l’ANAC prescriva l’obbligo di fare ricorso a un operatore ausiliario, questo deve impegnarsi, nei confronti dell’impresa ausiliata e della Stazione Appaltante, a mettere a disposizione, per l’intera durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione delle prestazioni e a subentrare alla impresa ausiliata nel caso in cui questa, in corso di gara, ovvero successivamente alla stipula del contratto (e quindi anche nel corso della realizzazione delle prestazioni oggetto del contratto), non sia, per qualsiasi ragione, nelle condizioni di dare regolare esecuzione all’appalto o alla concessione, ove ricorrano determinate condizioni.
In particolare, l’ANAC può determinarsi nel senso indicato dalla norma qualora:
- L’impresa fallita non sia in regola con i pagamenti delle retribuzioni dei dipendenti e con i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali;
- nel caso in cui l’impresa non sia in possesso dei requisiti aggiuntivi che l’ANAC è tenuta a individuare con apposite Linee Guida.
Va rilevato che “l’avvalimento” di altro operatore economico previsto dal comma 5 dell’art. 110 si pone in difformità rispetto all’istituto attualmente declinato dall’art. 89 del Codice (e prima dall’art. 49 del D.lgs. 163/2006), tanto che è stata coniata la definizione di “avvalimento rinforzato”.
L’istituto dell’avvalimento, introdotto nell’ordinamento nazionale con l’art. 49 del D.lgs. 163/2006 in sede di attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, consente a un operatore economico non dotato dei requisiti necessari per la partecipazione alle gare di ricorrere all’ausilio di altro soggetto imprenditoriale opportunamente qualificato.
Senza entrare nel merito delle diverse criticità che la concreta applicazione dell’istituto ha determinato, risolte mediante l’intervento dell’Autorità Giudiziaria Amministrativa, ciò che deve essere rimarcato è che mentre l’ordinario ricorso all’avvalimento impone che l’ausiliario assuma una responsabilità solidale nei confronti della Stazione Appaltante per la corretta esecuzione delle opere, dei servizi o delle forniture oggetto del contratto, limitandosi il suo apporto a porre a disposizione dell’ausiliato i requisiti e l’insieme delle risorse necessarie per l’esecuzione delle prestazioni, nel caso di avvalimento (rinforzato) a favore di un operatore economico fallito, l’ausiliario deve impegnarsi anche a subentrare nella posizione dell’ausiliato – per provvedere alla realizzazione delle prestazioni – qualora l’operatore economico soggetto a procedura non sia in grado di concludere la gara o, all’esito della stessa, qualora risulti aggiudicatario, ovvero nel corso del contratto, non sia nella condizione di perfezionare il contratto stesso, ovvero realizzare le prestazioni che ne costituiscono l’oggetto.
La costruzione operata dal Legislatore con la norma dell’art. 110 richiama, per certi versi, la figura del “supplente”, codificata dall’art. 9 del DM 29.6.1895, recante il Capitolato Generale d’Appalto per le opere del Ministero dei Lavori Pubblici.
Ed infatti, se l’ausiliario deve impegnarsi a subentrare nell’esecuzione del contratto, deve concludersi per l’assimilazione della sua posizione proprio a quella del supplente di cui alla richiamata norma del 1895, che onerava l’appaltatore a indicare, in sede di sottoscrizione del contratto, un’impresa che in caso di suo fallimento avrebbe assunto l’esecuzione dei lavori, subentrando nella posizione di contraente della P.A..
Se da un lato la diversità delle norme va rinvenuta nella circostanza che il “supplente” era estraneo alla fase di gara, alla quale l’appaltatore aggiudicatario avrebbe dovuto partecipare in bonis, dall’altro ulteriore diversità va colta nel fatto che l’Amministrazione, in presenza del supplente, non era onerata a proseguire nella esecuzione del contratto avvalendosi dell’impresa impegnata a subentrare all’operatore economico fallito (potendo, comunque, prescegliere la soluzione dello scioglimento del contratto), mentre nell’attuale assetto normativo tale subentro è automatico.
L’applicazione dell’istituto dell’avvalimento rinforzato va esaminata anche alla stregua della previsione di cui all’art. 89 comma 11 del nuovo Codice dei Contratti, secondo cui non è ammesso che l’operatore economico in bonis possa fare ricorso all’ausilio di altra impresa (per soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui sia sprovvisto, al fine di poter partecipare a una singola procedura concorsuale), ove nell’oggetto dell’appalto, o della concessione, rientrino opere per le quali siano necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica quali strutture impianti e opere speciali.
La medesima norma ha, da un lato stabilito che l’elenco delle opere rientranti nella sfera di applicazione del divieto di fare ricorso all’avvalimento avrebbe dovuto essere definito con Decreto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e, dall’altro che devono intendersi rilevanti (ai fini del divieto di fare ricorso all’avvalimento) quei lavori (rientranti tra quelli individuati dal MIT) il cui valore superi il 10% dell’importo totale dell’appalto.
Il riferito provvedimento ministeriale è stato adottato in data 10.11.2016[33], con la conseguenza che alla previsione del comma 11 dell’art. 89 è stata data completa attuazione.
Ebbene, c’è da chiedersi se il limite di applicazione dell’istituto, codificato dal menzionato comma 11 dell’art. 89, assuma rilievo anche nel caso dell’avvalimento rinforzato.
La questione non è di secondario rilievo in considerazione delle conseguenze correlate alle diverse opzioni interpretative.
La tesi protesa a sostenere la precettività del divieto di applicazione dell’avvalimento anche nel caso di avvalimento rinforzato, ove l’appalto sia caratterizzato dalla esecuzione di lavori rientranti nelle categorie declinate dal richiamato D.M. 248/2016, comporterebbe che l’ANAC non potrebbe disporre l’obbligo per l’operatore economico di fare ricorso all’ausilio di un’impresa terza, con il corollario che il Curatore Fallimentare, ovvero l’impresa ammessa a concordato liquidatorio, non potrebbero procedere nell’esecuzione del contratto. In sostanza, si perverrebbe alla impossibilità di dare corso alle prestazioni, con un’evidente vulnerazione delle finalità di conservazione del plesso produttivo.
La riferita impostazione ermeneutica confliggerebbe, dunque, con l’assetto complessivo della normativa che il regolatore ha definito alla stregua delle finalità cui le procedure concorsuali protendono sulla spinta dell’impostazione europea.
Sembra, allora, preferibile una diversa interpretazione fondata sul presupposto che l’avvalimento rinforzato previsto dall’art. 110 del D.lgs. 50/2016 è istituto direttamente rivolto a conseguire gli obiettivi di salvaguardia del complesso produttivo in un quadro di tutela della Amministrazione Appaltante.
La disposizione dell’art. 110 comma 5 è ispirata dall’esigenza di tutelare l’Ente Committente a ottenere la corretta e tempestiva realizzazione delle opere qualora il Curatore Fallimentare, ovvero l’impresa in concordato liquidatorio, non sia in grado, successivamente all’autorizzazione del Giudice Delegato, a proseguire nell’esecuzione del contratto e, quindi, adempiere alle obbligazioni negoziali, con la conseguenza che non dovrebbe trovare ingresso il divieto dell’art. 89 comma 11, invero finalizzato ad escludere la possibilità di fare ricorso all’avvalimento da parte dell’operatore economico che non sia in possesso dei requisiti di legge allo scopo di partecipare alle gare per le quali non sia qualificato.
Le norme si muovono – ad avviso di chi scrive – su due piani diversi: l’una è protesa ad evitare che l’appaltatore non in possesso dei requisiti di qualificazione possa sanare tale carenza ricorrendo all’apporto di un’impresa ausiliaria; l’altra rivolta a garantire che l’Ente appaltante sia tutelato sul piano dell’esecuzione dell’opera che, comunque, risulterebbe essere stata aggiudicata a un soggetto imprenditoriale che, al momento della celebrazione della gara, risultava in possesso di detti requisiti.
Deve conclusivamente ritenersi che, nel caso di avvalimento rinforzato, la norma del comma 11 dell’art. 89 non possa essere applicata con il corollario che, indipendentemente dalla circostanza che le opere da realizzare rientrino nelle categorie individuate dal ricordato D.M. 248/20165, l’ANAC dovrebbe, ove ricorrano le condizioni di cui alle lett. a) e b) del comma 5 dell’art. 110, esercitare le proprie attribuzioni eventualmente imponendo al Curatore Fallimentare, o all’operatore economico in concordato liquidatorio, l’obbligo di fare ricorso a un operatore economico ausiliario.
Sembra peraltro chiaro che ove l’impresa fallita, ovvero sottoposta a concordato preventivo con effetti liquidatori, abbia partecipato alla gara di cui sia rimasta aggiudicataria facendo ricorso all’avvalimento ex art. 89, ovviamente con riferimento a lavorazioni diverse da quelle di cui al D.M. 248/2016, l’ANAC dovrebbe solo pretendere che l’ausiliario assuma l’ulteriore impegno di subentrare nel contratto con la conseguenza che ove tale impegno non sia reso l’Autorità dovrebbe richiedere la sostituzione dell’ausiliario stesso senza potersi opinare che, all’indisponibilità dell’impresa terza di farsi carico degli obblighi imposti dall’art. 110 comma 5 (rappresentati dal subentro nell’esecuzione dell’appalto), debba conseguire il divieto di sostituzione dell’ausiliario, eccependo la modifica del soggetto che, in sede di gara, ha apportato i requisiti di qualificazione.
Ulteriore questione rilevante sul piano giuridico attiene, ad avviso di chi scrive, alla posizione della Committente Pubblica.
Qualora l’ANAC, infatti, non ravvisi la necessità di subordinare la partecipazione alla gara alla conclusione, da parte del Curatore Fallimentare, di un contratto di avvalimento, con il contenuto indicato dal comma 5 dell’art. 110, l’operatore ammesso a partecipare alla procedura concorsuale – ove non sia in grado, per sopravvenuti motivi, di garantire la stipula del contratto, ovvero l’esecuzione dello stesso – verrebbe necessariamente escluso dalla procedura di gara, ovvero il contratto sarebbe oggetto di risoluzione per inadempimento.
Tale eventualità impone di interrogarsi se, a quel punto, l’Amministrazione aggiudicatrice o l’Ente aggiudicatore siano abilitati ad escutere la garanzia provvisoria, ovvero ad azionare la garanzia definitiva.
Pare a chi scrive che non sembrerebbe coerente con il sistema affermare che il Curatore Fallimentare possa essere oggetto di azioni risarcitorie, in considerazione dell’osservazione che la partecipazione alla gara, così come la stipula di contratti, è comunque attività autorizzata dal Giudice e che l’eventuale omessa imposizione di ricorrere all’avvalimento sarebbe ascrivibile all’Autorità di settore.
Da qui la conseguenza che, ove il Curatore Fallimentare non sia – successivamente alla partecipazione alla gara, ovvero all’aggiudicazione o alla stipula del contratto – nelle condizioni di concludere il negozio, ovvero di dare esecuzione alle attività che ne costituiscono l’oggetto, l’Ente non potrebbe azionare i rimedi ordinari previsti dal Codice.
Non sembrerebbe ragionevole che l’attività posta in essere sotto il controllo dell’Autorità Giudiziaria (oltreché dell’ANAC), al precipuo fine di conservare l’integrità del complesso produttivo per ottimizzarne la valorizzazione, sia ai fini della salvaguardia di interessi pubblici che degli interessi particolari dei creditori, possa determinare oneri aggiuntivi per la procedura qualora, per sopravvenute condizioni, questa non sia in grado di adempiere alle prestazioni autorizzate dal Giudice Delegato, e in ordine alle quali l’ANAC non abbia ritenuto di disporre l’obbligo di avvalimento.
È chiaro che una diversa tesi potrebbe essere altrettanto correttamente prospettata sul presupposto che, una volta che il Curatore Fallimentare (o il Commissario del concordato liquidatorio) abbia prescelto di procedere in determinate attività, sebbene autorizzato dal Giudice, pone in essere una vera e propria azione imprenditoriale, cui vanno correlati i rischi tipici di impresa, senza che la condizione determinata dalla sottoposizione alla procedura possa costituire un esimente di responsabilità nel caso di inadempimento.
D’altra parte, potrebbe anche essere opinato che la diversa conclusione sopra prefigurata lascerebbe senza alcuna tutela l’Amministrazione aggiudicatrice o l’Ente aggiudicatore, che vedrebbe pregiudicati gli interessi di cui è portatrice, senza poter dare ingresso ai rimedi che la legge gli riserva.
È indubbio che sarebbe stato preferibile che il Legislatore avesse regolato le riepilogate eventualità.
Per quanto attiene alle condizioni in presenza delle quali l’ANAC deve intervenire allo scopo di determinarsi nel senso di imporre o meno l’avvalimento, non ricorrono particolari questioni ermeneutiche ove il fallito, o l’operatore economico ammesso a concordato con cessione di beni (per la sola eventualità di prosecuzione dei contrati in corso), non sia in regola con il pagamento delle retribuzioni dei dipendenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali.
Viceversa, merita attenzione l’ulteriore caso nel quale l’ANAC ha il dovere di intervenire, rappresentato dal mancato possesso, da parte dell’impresa (rectius: del fallito o dell’operatore economico ammesso a concordato con cessione di beni), dei requisiti aggiuntivi che la stessa Autorità di settore è chiamata a declinare con apposite Linee Guida, ai sensi di quanto stabilito dalla lett. b) del comma 5 del più volte citato art. 110 del D.lgs. 50/2016.
Con il documento di consultazione datato 3.3.2018, recante “requisiti aggiuntivi delle imprese fallite o ammesse a concordato ai sensi dell’art. 110 comma 5 lett. b) del Codice”, l’ANAC ha definito lo schema di Linee Guida.
Dalla piana lettura della norma sembrerebbe che l’Autorità sia tenuta a stabilire talune particolari caratteristiche soggettive dell’Appaltatore, che ove possedute, eviterebbero, a regime, l’intervento dell’ANAC al fine di imporre il ricorso all’avvalimento.
Sennonché, l’Autorità di settore ha svolto una serie di argomentazioni preordinate, da un lato, a individuare le modalità di esercizio delle proprie attribuzioni (sulle quali si tornerà nel prosieguo) e, dall’altro, a illustrare la ratio della disposizione del comma 5, al fine di determinare i margini per il suo intervento regolatorio.
Per quanto viene in rilievo ai fini della presente trattazione, l’ANAC ha chiarito che la finalità perseguita dal Legislatore con la previsione in commento, è rinvenibile nella volontà di accrescere i margini di tutela della Stazioni Appaltante (attraverso il possibile subentro di altro operatore) e, al contempo, prevenire l’aggravarsi del danno per l’impresa (e, di riflesso, per i creditori).
In tale quadro, l’Autorità ha anche opinato che il confronto tra l’ipotesi già indicata dal Legislatore quale fattispecie che imporrebbe l’intervento dell’Autorità di settore (mancato pagamento degli stipendi e mancato versamento dei contributi previdenziali e assistenziali) e la competenza a questa riservata di individuare requisiti aggiuntivi, sembrerebbe lasciare intendere che detti requisiti potrebbero essere intesi nel senso di condizioni ulteriori (rispetto alla irregolarità nel versamento di stipendi e contributi) che, ove non possedute potrebbero palesare situazioni di criticità tali da far presumere che l’impresa non sarà in grado di eseguire correttamente il programma contrattuale.
D’altra parte, la medesima ANAC ha precisato che, ove si ipotizzasse di individuare effettivamente dei requisiti aggiuntivi che l’impresa dovrebbe possedere in termini positivi, rispetto a quelli già rinvenibili nel Codice o nella lex specialis, si rischierebbe di compromettere la finalità concorrenziale dell’assetto delineato dal legislatore, eliminando definitivamente dal mercato degli appalti pubblici le imprese che già si trovano in stato di decozione.
Nel documento di consultazione è stato peraltro sottolineato, con tesi condivisibile, che mentre il Giudice Delegato è tenuto – nell’esercizio dei poteri a questo conferiti, da esercitare nella fase di autorizzazione – a considerare essenzialmente l’azienda e i creditori, l’Autorità deve ad esaminare la fattispecie concreta sul piano delle ricadute sulla Stazione Appaltante in riferimento al contratto pubblico.
Posto che nello schema di Linee Guida è affermato che le competenze attribuite al Giudice Delegato e all’ANAC risulterebbero complementari, va osservato che, invero, le attribuzioni riservate dalla legge agli organi della procedura e all’Autorità di settore sembrano, comunque, rivolte al medesimo obiettivo: valutare quali siano le migliori condizioni per garantire l’operatività del fallito, ovvero dell’impresa ammessa a concordato.
Il Giudice Delegato dovrà, infatti, assumere le proprie determinazioni sulla base di un’attenta analisi preordinata a verificare l’utilità della partecipazione alla gara, ovvero della stipula dei contratti, ai fini del mantenimento del plesso produttivo, risolvendosi l’azione a questo riservata nell’accertamento dell’effettiva capacità di adempiere da parte dell’impresa.
Analogo compito è attribuito all’ANAC, ancorché la prospettiva valutativa sia preordinata ad assicurare che la Stazione Appaltante possa operare in un quadro di adeguata tutela.
Peraltro, l’ANAC ha chiarito che, ai fini dell’individuazione dei requisiti indicati in via generale dal comma 5 lett. b) dell’art. 110, potrebbe optarsi per una soluzione che “senza introdurre indici tecnici o finanziari puntuali, di difficile individuazione e applicazione per società comunque in decozione, si mantenga nell’alveo di una valutazione complessiva da parte dell’ANAC che valuti la concreta possibilità di un’evoluzione peggiorativa dello scenario aziendale in grado di compromettere la buona esecuzione del contratto e che, per l’effetto, richiede, a garanzia, l’avvalimento, anche sostitutivo, della capacità di un’impresa ausiliaria. Non si tratterebbe, dunque, di realizzare un’analisi di mera fattibilità dell’esecuzione, affidata al vaglio del Giudice Delegato, bensì un’analisi di scenario prudenziale, che tenga conto dei fattori che potrebbero determinare l’impossibilità per l’impresa di eseguire il contratto, in caso di evoluzione peggiorativa”[34].
Sennonché, appare a chi scrive che anche il Giudice Delegato dovrebbe improntare la propria valutazione prognostica alla stregua dell’effettiva capacità di adempimento.
L’Autorità di settore ha ipotizzato che quali indici potrebbero essere considerati, alternativamente o congiuntamente: la congruità delle dotazioni strumentali (ossia verificare che il complesso aziendale sia ancora integro), la capacità finanziaria (verificare se l’impresa ha liquidità da utilizzare per pagare i propri fornitori o vi sia necessità di fare investimenti), o quella relativa alle risorse umane (se possiede il management per elaborare un piano industriale), tenendo conto ovviamente dell’indicazione del Giudice Delegato e, verosimilmente, della particolarità dell’appalto.
Nel riferito Schema di Linee Guida l’ANAC si è poi esercitata in opzioni ermeneutiche in merito al rapporto tra le norme fallimentari e quella dell’art. 110, nonché tra le previsioni dell’art. 80 del nuovo Codice in punto requisiti generali e partecipazione alle gare e conservazione dei contratti in caso di sottoposizione dell’operatore economico alle procedure concorsuali che consentono, comunque, l’attività di impresa di cui si è dato in parte conto nel paragrafo 3.4 che precede.
In sostanza, lo Schema di Linee Guida dovrà ricevere definitivo contenuto, con specifico riferimento ai requisiti in presenza dei quali l’ANAC potrà omettere di intervenire evitando così di imporre all’operatore economico fallito o ammesso a concordato con cessione di beni (liquidatorio), di ricorrere all’avvalimento.
Questione rilevante afferisce al rapporto tra intervento del Giudice Delegato e esercizio dei poteri riservati all’ANAC.
La norma dell’art. 110, infatti, nulla dispone riguardo ai tempi e alle modalità dell’intervento dell’ANAC.
Sussiste una questione di natura procedimentale che afferisce alle modalità con cui dovrebbe innescarsi in esito all’autorizzazione rilasciata dal Giudice Delegato o nell’ambito della fase di valutazione riservata al Giudice, l’intervento della Autorità di Settore che è peraltro tenuta, nella fase di definizione delle condizioni cui subordinare la partecipazione del fallito o dell’operatore economico ammesso a concordato (liquidatorio), alle gare, ovvero la stipula dei contratti (anche di subappalto), a “sentire” il Giudice Delegato.
Ne deriva che l’applicazione pratica dell’istituto imporrebbe che sia il Giudice Delegato a dare impulso all’intervento dell’Autorità di Settore non essendo certo possibile che l’ANAC intervenga ex officio (non potendo conoscere tutte le situazioni nelle quali ne sia necessario l’intervento).
Anche l’Autorità di Settore nel richiamato documento di consultazione ha concluso che il suo intervento dovrebbe essere di volta in volta richiesto dal Giudice e potrebbe riferirsi sia a una singola gara che a più gare nel caso in cui il Giudice ritenga di autorizzare, con un unico provvedimento, la partecipazione a molteplici procedure concorrenziali. Ciò sebbene l’ANAC abbia chiarito che sarebbe sempre preferibile la prima opzione.
Il sistema risulta particolarmente farraginoso soprattutto se posto in relazione ai tempi entro cui le offerte debbono essere predisposte.
Al riguardo viene in rilievo l’osservazione che l’autorizzazione del Giudice Delegato dovrebbe intervenire solo alla stregua di una attenta analisi, effettuata dal Curatore fallimentare, della convenienza di partecipare a una gara o di perfezionare un contratto ovvero proseguire nell’esecuzione; analogamente il Commissario di un concordato liquidatorio dovrebbe effettuare attente valutazioni in relazione alla convenienza di mantenere in essere, e quindi eseguire, un contratto in corso al momento dell’ammissione alla procedura.
Se non vi è dubbio che tale analisi può essere tempestivamente effettuata relativamente alla convenienza di proseguire nell’esecuzione dei contratti, non altrettanto è a dirsi per quanto attiene alla partecipazione alle gare. Inoltre, successivamente alla positiva opinione formatasi dal Curatore fallimentare (o dal Commissario), questo è tenuto a rimettere la questione al Giudice (al fine di acquisire la necessaria autorizzazione). L’Autorità giudiziaria, qualora ritenga di aderire alla richiesta, è a sua volta obbligata a sottoporre la questione all’ANAC ove ravvisi la sussistenza delle condizioni che impongono l’intervento nel procedimento dell’Autorità di Settore. L’ANAC sarebbe, poi, tenuta alle valutazioni di sua competenza al fine di assumere il provvedimento relativo (sentendo il Giudice Delegato).
Ne deriva che difficilmente l’iter sommariamente riepilogato sarà coerente con i tempi entro cui le offerte dovranno essere presentate.
Sarebbe stato preferibile che la norma contemplasse alternativamente, quale unico incombente, l’acquisizione dell’autorizzazione del Giudice Delegato o prevedesse tout court l’obbligo del Giudice Delegato di assentire l’autorizzazione solo imponendo al curatore fallimentare o al commissario giudiziale, ricorrendone le condizioni, di fare ricorso all’avvalimento rinforzato.
D’altra parte, è agevole rilevare che nella pratica le imprese fallite, ovvero ammesse al concordato con cessione di beni, risultano inadempienti quanto meno agli obblighi contributivi (previdenziali e assistenziali) e di pagamento delle retribuzioni in considerazione della circostanza che, una volta presentata l’istanza di fallimento ovvero di ammissione al concordato preventivo, si determina anche la sospensione dei pagamenti dovuti in forza di disposizioni di legge.
In altre parole, ricorrerà comunque la riferita condizione di mancato pagamento dei contributi proprio per effetto dell’istanza di accesso alla procedura con conseguente obbligo di azionare le previsioni del comma 5 dell’art. 110 del D.lgs. 50/2016.
Sarebbe stato, dunque, preferibile concentrare nel Giudice Delegato tutte le potestà previste dall’art. 110 oggi ripartite tra l’Autorità giudiziaria e l’ANAC il cui intervento appare invero un appesantimento procedurale.
3.6 Il rapporto tra l’art. 110 e gli artt. 80 comma 4 e 30 del D.Lgs. 50/2016
Per completezza di indagine, va affrontata la questione relativa al rapporto tra la disposizione dell’art. 110 del D.lgs. 50/2016 e quella dell’art. 80 comma 4 del medesimo nuovo Codice dei Contratti, ai sensi e per gli effetti del quale l’operatore economico che sia incorso in violazioni gravi, rappresentate dal mancato pagamento di imposte e tasse, nonché dei contributi previdenziali, tali da determinare il mancato rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), ovvero delle certificazioni rilasciate dagli Enti previdenziali di riferimento non aderenti al Sistema Unico Previdenziale, deve essere escluso dalle gare.
La norma, infatti, declina un obbligo per le Stazioni Appaltanti, cui le medesime non debbono ottemperare solo nell’ipotesi in cui l’operatore economico abbia provveduto a pagare, o si sia impegnato in modo vincolante a pagare, le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l’impegno a pagare siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione alle gare.
Va inoltre osservato che viene in rilievo anche la previsione dell’art. 30 del D.lgs. 50/2016, il quale declina il cosiddetto “intervento sostitutivo” della Stazione Appaltante qualora, nel corso dell’esecuzione dei lavori, risulti un’inadempienza contributiva, attestata dal DURC, dell’operatore economico esecutore delle prestazioni; intervento sostitutivo che si estende anche al pagamento delle retribuzioni dei lavoratori ove l’operatore economico non vi abbia regolarmente provveduto.
In particolare, ai sensi del richiamato art. 30, l’Ente Appaltante, nel caso in cui ravvisi i riferiti inadempimenti, è tenuto a trattenere dai Certificati di Pagamento quanto deve essere versato agli Enti previdenziali, compresa la Cassa Edile, ovvero ai lavoratori, a titolo di retribuzione, provvedendo al pagamento diretto[35].
Non vi è dubbio che la concreta operatività dell’art. 110 potrebbe risultare di complessa applicazione, in considerazione del mancato raccordo tra quanto ivi previsto e le richiamate norme degli artt. 80 comma 4 e 30 del Codice sopra richiamate.
Ne deriva l’esigenza di valutare le diverse questioni sottese al corretto coordinamento tra le disposizioni rassegnate, allo scopo di inquadrare le modalità applicative delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4 del D.lgs. 50/2016. Ciò muovendo dal presupposto che l’imprenditore che versi in una situazione di incapacità di fare regolarmente fronte alle proprie obbligazioni, tanto da accedere alle procedure concorsuali, è (nella quasi totalità dei casi) in una posizione di irregolarità rispetto all’obbligo dei pagamenti a favore dell’Erario, con la conseguenza che non potrebbe conseguire un DURC regolare, ovvero attestazioni di avere debitamente assolto agli oneri di pagamento delle imposte. Tanto più ove si tenga a mente che la norma dell’art 168 L.F. prescrive che, dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel Registro delle Imprese, è fatto divieto all’operatore economico di adempiere all’obbligo di pagamento dei crediti anteriori alla domanda, ivi compresi quelli contributivi.
Una prima linea interpretativa va nel senso di escludere che le previsioni del richiamato comma 4 dell’art. 80 possano trovare applicazione, in considerazione dell’osservazione che il comma 5 dell’art. 110 impone all’ANAC di disporre l’obbligo di avvalimento nel caso in cui l’operatore economico non sia in regola con il versamento delle retribuzioni a favore dei propri dipendenti e del pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
In altre parole, sarebbe la norma stessa dell’art. 110 a determinare l’inoperatività delle disposizioni dell’art. 80 comma 4 relative all’obbligo di estromissione dalle gare dei soggetti non in regola con i pagamenti verso l’Erario[36].
Sennonché la menzionata previsione del comma 5 ha portata limitata, in quanto l’Autorità di settore è tenuta ad esercitare il proprio intervento con riguardo alla partecipazione alle gare (ovvero alla stipula dei contratti) nel caso in cui le attività di impresa debbano essere esercitate dal Curatore Fallimentare, ovvero dall’Impresa in concordato, da intendersi quale concordato liquidatorio, atteso che la norma del comma 4, prima parte, esclude che l’operatore economico ammesso al concordato con continuità aziendale necessiti di avvalimento.
In sostanza, l’interpretazione per cui, per effetto dell’art. 110, sarebbe depotenziata la portata precettiva dell’art. 80 comma 4 – in quanto il mancato pagamento di somme dovute all’Erario è presupposto per l’applicazione dell’istituto dell’avvalimento, con la conseguenza che dovrebbe concludersi che lo stesso Legislatore ha disciplinato l’ipotesi di irregolarità contributiva – è opzione valida nell’ipotesi di partecipazione alle gare dell’operatore fallito, o di quello sottoposto a concordato liquidatorio, senza potersi estendere alla fattispecie di ammissione al concordato con continuità aziendale che non prevede l’applicazione delle previsioni del comma 5 dell’art. 110.
Ne deriva che una tesi protesa ad affermare l’autosufficienza dell’art. 110 non risolverebbe le criticità sottese ai limiti di applicazione delle previsioni dell’art. 80 comma 4, proprio a ragione della circostanza che la norma non è idonea a consentire l’estensione di detta conclusione all’ipotesi di concordato in continuità aziendale.
Le criticità connesse all’ipotesi di concordato in continuità devono essere vagliate muovendo dalla osservazione che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali[37] ha chiarito che il concordato preventivo di cui agli artt. 161 e ss. L.F. si fonda su un piano con il quale l’operatore economico delinea i tempi e le modalità di pagamento dei debiti sorti precedentemente alla presentazione della domanda di concordato, con la conseguenza che nell’ipotesi di procedura ex art. 186-bis L.F. deve trovare applicazione l’art. 5 comma 2 lett. b) del D.M. 24.10.2007, che dispone la regolarità contributiva nel caso in cui l’operatore economico non abbia provveduto al pagamento di quanto dovuto agli Enti previdenziali e assicurativi in caso di sospensione fondata su previsioni legislative, tra le quali va sussunta la norma dell’art. 168 L.F..
Secondo le indicazioni ministeriali, dunque, alle imprese ammesse alla procedura di concordato con continuità può essere rilasciato il DURC attestante la regolarità contributiva proprio a ragione delle finalità tipiche sottese a tale procedura concorsuale, che verrebbero vulnerate qualora si riconoscesse un’incidenza negativa alle situazioni debitorie sorte antecedentemente alla apertura della procedura stessa.
Ad analoga conclusione è pervenuta l’INPS[38], secondo cui “dopo il decreto di omologazione … deve essere dichiarata la regolarità contributiva”, pur in presenza di una parziale soddisfazione dei crediti previdenziali muniti di privilegio e fino a quando non sia adempiuto il concordato; e ciò proprio in dipendenza del verificarsi della sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative.
Orbene, le indicazioni rese dal competente Ministero e dall’INPS sembrerebbero disporre l’obbligo del rilascio del DURC attestante la regolarità contributiva solo successivamente alla adozione del decreto di omologa del concordato, con il corollario che potrebbe opinarsi che la mera presentazione del ricorso non risulterebbe condizione idonea a garantire l’ostensione di un DURC favorevole, con la conseguenza che l’Appaltatore potrebbe essere escluso dalle gare in forza della previsione dell’art. 80 comma 4.
A fortiori, la riferita impostazione interpretativa verrebbe in rilievo nel caso di presentazione della domanda di concordato prenotativo, per effetto della quale i contenuti della proposta concordataria possono essere definiti in un arco temporale di 120 giorni.
Sennonché, in via di armonizzazione delle norme, va considerato che la previsione dell’art. 186-bis comma 2 lett. c) L.F. consente all’operatore economico, che intenda superare lo stato di crisi attraverso il concordato con continuità aziendale, di prevedere nel piano concordatario una moratoria, fino a 1 anno dall’omologazione, per il pagamento dei crediti muniti da privilegio, pegno o ipoteca, tra cui vanno sussunti quelli contributivi e assicurativi (oltreché retributivi), con la conseguenza che l’esercizio di tale opzione può senz’altro integrare la fattispecie della sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative, già contemplata nel menzionato D.M. 24.10.2007 quale circostanza che abiliti gli Istituti Previdenziali al rilascio del DURC attestante la regolarità contributiva.
Nei predetti termini si è del resto espressa la Giurisprudenza, che ha sostanzialmente affermato che, nel caso di concordato (in continuità diretta o indiretta, ovvero liquidatorio, ovvero prenotativo), l’operatore economico deve intendersi in regola con gli obblighi contributivi, previdenziali e assistenziali, sul presupposto che un DURC negativo vulnererebbe la stessa possibilità dell’Impresa “di sopravvivere, di elaborare un piano e, contemporaneamente, di portarne a termine le previsioni” e della statuizione che, in caso di presentazione di istanza di concordato “il divieto di pagamento dei debiti pregressi stabilito dagli artt. 51 e 168 L.F. integra … la fattispecie di cui alla sospensione determinata da disposizioni legislative”[39].
Secondo l’orientamento giurisprudenziale, ove “si riconoscesse un’incidenza negativa alle situazioni debitorie sorte antecedentemente all’apertura della procedura”, verrebbe disattesa la ratio della procedura concorsuale finalizzata ad assicurare la prosecuzione dell’attività aziendale e a garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali[40].
Del resto, con riferimento all’ipotesi di concordato prenotativo, è stato affermato che è possibile ordinare all’INPS l’immediato rilascio, da parte del Giudice, con provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., della attestazione di regolarità contributiva positiva, qualora vi sia la necessità di partecipare a gare d’appalto indispensabili per assicurare la continuità aziendale ed ottenere i pagamenti degli appalti in corso o conclusi ed evitare, quindi, negative ed irreparabili conseguenze sulla fattibilità stessa dell’operazione di risanamento[41].
Alle prefate conclusioni è pervenuta anche l’ANAC che, nel richiamato Documento di Consultazione del 3.3.2018, ha sostanzialmente affermato che la sussistenza di condizioni che legittimino la sospensione dei pagamenti dovrebbe condurre ad attribuire al concorrente lo status di regolarità contributiva pro tempore.
Quanto sopra senza lasciare in disparte l’osservazione che l’Autorità di settore non ha svolto un’indagine puntuale rivolta a valutare la circostanza che l’avvalimento rinforzato costituisce opzione non applicabile nel caso di concordato con continuità aziendale, per espressa previsione del comma 4 prima parte dell’art. 110; né ha chiarito la posizione dell’operatore economico che abbia presentato domanda di concordato prenotativo o in bianco.
Peraltro, la stessa Autorità ha dato conto che la norma dell’art. 182-ter L.F. abilita il debitore, in sede di piano concordatario, a proporre il pagamento parziale o anche dilazionato dei tributi, nonché dei contributi amministrati dagli Enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, a condizione che un professionista abilitato attesti la convenienza della falcidia proposta, tenuto conto della realizzabilità sul ricavato e del grado di prelazione.
Ciò con il corollario che la soluzione delle questioni relative al rapporto tra la disposizione del comma 4 dell’art. 80 e dell’art. 110 vanno, allo stato, ricavate dai precedenti giurisprudenziali richiamati e dai principi generali in materia fallimentare.
Per quanto attiene alla previsione dell’art. 30 relativa all’intervento sostitutivo, va osservato che la norma dell’art. 110 nulla dispone, nel senso che non ha previsto alcuna particolare previsione idonea a delineare i doveri incombenti sulla Stazione Appaltante nel caso in cui l’operatore economico sia ammesso a una procedura concorsuale e, al contempo, non sia in regola col pagamento di quanto dovuto ai propri dipendenti a titolo di retribuzione e agli Enti previdenziali, ivi compresa la Cassa Edile.
La questione va risolta in base ai generali principi in materia fallimentare, come autorevolmente affermato in Dottrina e in Giurisprudenza. In particolare, è stato chiarito che “essendo precluso alla società in concordato preventivo” (e tanto più per la quale sia stato dichiarato il fallimento) il pagamento dei debiti previdenziali pregressi, e dovendo “i creditori previdenziali sottostare, nel rispetto della par condicio creditorum, alle regole dettate dalla normativa fallimentare in generale, e dalla procedura concorsuale in particolare, non è possibile, per la Stazione Appaltante, applicare la previsione di trattenimento delle somme di quanto spettante ai creditori previdenziali, dal momento che tale pagamento si configurerebbe come un pagamento di debiti maturati in data anteriore alla presentazione della domanda, con violazione dell’art. 168 L.F. e del principio della par condicio creditorum”[42].
In sede giurisprudenziale, sul presupposto che la regolarità contributiva sussiste in caso di sospensione dei pagamenti a seguito di disposizioni legislative, e quindi anche nel caso di sospensione derivante dalla applicazione del divieto di pagamenti residui della par condicio creditorum, è stato affermato che è consentito “alla procedura di incassare i crediti vantati per appalti di opere pubbliche, di forniture e servizi, nonostante il mancato rilascio del DURC, essendo invero contrario alla normativa un pagamento diretto dai creditori della procedura agli Enti previdenziali in evidente contrasto con le regole del concorso”[43].
Le riferite conclusioni vanno evidentemente applicate anche con riferimento all’intervento sostitutivo relativo al pagamento delle retribuzioni dei dipendenti dell’operatore economico.
3.7 L’Omologa del concordato in continuità e le fasi successive all’ammissione
Ulteriore questione che va affrontata afferisce alla posizione dell’impresa nei confronti della quale sia intervenuta l’omologa del concordato in continuità. La norma dell’art. 110 del D.Lgs. 50/2016, nel consentire alle imprese insolventi di partecipare alle gare d’appalto e di evitare l’automatico scioglimento dei contratti in essere, non ha, con riferimento al concordato in continuità aziendale, determinato l’arco temporale nel quale l’autorizzazione del Giudice è necessaria.
Vale preliminarmente osservare che l’A.G.A. ha chiarito che la norma dell’art. 167 L.F. dispone la vigilanza del Commissario Giudiziale e l’autorizzazione del Giudice Delegato “durante la procedura di concordato”, dovendosi intendere con tale espressione la pendenza della procedura e, precisamente, l’arco temporale che va dal decreto di ammissione fino al decreto di omologa.
Ne deriva che l’autorizzazione prevista dall’art. 110 va inquadrata nell’ambito dei principi generali in materia fallimentare, con il corollario che, una volta omologato il concordato, verrebbe meno la necessità della autorizzazione proprio in considerazione della circostanza che la procedura si esaurisce con l’omologa, come peraltro chiarito dall’art. 181 L.F.
Del resto, la Giurisprudenza di legittimità ha pacificamente individuato nel decreto di omologa il momento di cessazione della procedura di concordato preventivo, con la conseguenza che tutte le questioni attinenti all’esecuzione del concordato sono sottratte al potete decisionale degli organi della procedura dal momento dell’omologazione[44].
È stato inoltre precisato che “dopo l’omologazione del concordato preventivo non risulta necessaria l’istanza formulata dall’imprenditore presentata ai fini dell’autorizzazione alla partecipazione a gare …”. Ciò in quanto “con il decreto di omologa la procedura di concordato si esaurisce e, pertanto, viene meno il controllo del commissario giudiziale e l’autorizzazione del Giudice Delegato in essere durante le fasi della procedura antecedenti la fase di esecuzione del concordato omologato”[45].
In sostanza, in base alla riepilogata interpretazione la previsione dell’art. 110, che impone l’autorizzazione del Giudice Delegato per consentire all’impresa ammessa con continuità aziendale di partecipare alle pubbliche gare (e dare esecuzione ai contratti già stipulati), è previsione che esaurisce la propria forza precettiva una volta intervenuto il decreto di omologa rilevando, quale norma parametro, nell’arco temporale decorso dal decreto di ammissione al decreto di omologa.
Sull’argomento si è recentemente espresso anche il Consiglio di Stato[46] che, integralmente riformando la Sentenza del Giudice di primo grado, ha concluso che “dopo l’omologazione del concordato preventivo la procedura concorsuale si chiude e viene conseguentemente meno la causa ostativa alla partecipazione alla gara d’appalto”[47].
L’Alto Consesso Amministrativo, con tesi del tutto sovrapponibili a quelle del Giudice Ordinario sopra riepilogate, ha affermato che il decreto di omologa chiude la procedura di concordato preventivo con continuità aziendale e viene meno il regime di cd. “spossessamento attenuato” che opera esclusivamente durante la procedura di concordato. Ciò con conseguente cessazione delle funzioni di ingerenza attiva del Commissario Giudiziale e del Giudice Delegato, i quali con l’apertura della fase di esecuzione assumono la funzione di controllo dell’adempimento del concordato.
Da qui la considerazione che lo svolgimento dell’attività di impresa dopo l’omologa del concordato è una normale attività che l’imprenditore esercita in piena autonomia[48].
In sostanza, il Giudice Amministrativo ha aderito alle tesi dispiegate dal Giudice Ordinario e in Dottrina, secondo cui una volta omologato il concordato con continuità aziendale la Società torna in bonis ed è restituita all’organo gestorio, il quale deve operare nel rispetto del piano; in questa fase il Tribunale non è munito di poteri autorizzativi e il suo ruolo è limitato al controllo, tramite il Commissario Giudiziale, dell’attività svolta dagli amministratori[49]. La fase esecutiva del concordato preventivo, per espresso dettato normativo, deve, dunque, considerarsi estranea alla procedura concordataria in senso proprio, che si chiude con l’omologa.
È evidente che quanto sopra osservato risolve la questione relativa alla partecipazione alla gara (e alla conservazione dei contratti) nel periodo successivo all’omologa, atteso che intervenuto il relativo decreto deve intendersi definita la procedura, e dunque inapplicabile la previsione dell’art. 110 comma 3 del D.lgs. 50/2016.
L’autorizzazione, viceversa, sarà indispensabile nel periodo compreso tra il decreto di ammissione e il decreto di omologa nella quale si dipana (ai sensi del combinato disposto degli artt. 167 e 181 L.F.) la procedura concordataria. Ciò fermo restando che se si assume che la fase successiva all’omologa è estranea alla procedura, deve affermarsi che l’art. 110 si riferisce, quando ha riguardo all’impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, alla fase immediatamente successiva al decreto di ammissione.
Da quanto sopra deve, dunque, concludersi che se successivamente all’omologa del concordato nessun incombente è richiesto all’operatore economico ai fini della partecipazione alle gare, nel periodo immediatamente precedente, decorrente dal decreto di ammissione, questo dovrà acquisire l’autorizzazione del Giudice Delegato, senza dover però produrre la documentazione di cui all’art. 186-bis comma 5, atteso che la sopravvenuta norma dell’art. 110 non onera il candidato all’aggiudicazione ammesso a concordato preventivo in continuità di prestare la relazione e la dichiarazione di avvalimento di cui al comma 5 dell’art. 186-bis L.F. D’altra parte, si ripete, è lo stesso comma 4 del richiamato art. 110 che espressamente prescrive che l’impresa ammessa a concordato preventivo in continuità non deve ricorrere all’ausilio di un operatore economico terzo.
È ovvio che sarebbe stato preferibile che la norma del Codice degli appalti, ovvero quella contenuta nell’art. 217 del medesimo D.lgs. 50/2016, rubricato “Abrogazioni”, avesse declinato l’abrogazione del comma 5 dell’art. 186-bis della Legge Fallimentare.
3.8 Il Concordato prenotativo in bianco
Resta da chiarire quale sia la posizione, rispetto alla partecipazione alle gare, degli operatori economici successivamente alla presentazione di un’istanza di concordato prenotativo o in bianco, posto che la norma dell’art. 110 comma 4 si limita ad ammettere che l’operatore economico che abbia presentato domanda ex art. 161 comma 6 può proseguire nell’esecuzione dei contratti in corso.
A tale riguardo, la norma dell’art. 110 non è di ausilio alla soluzione della questione e delle relative criticità, in considerazione della circostanza che la fattispecie non riceve alcuna regolamentazione. Piuttosto, è la Legge Fallimentare che, con la norma del comma 4 dell’art. 186-bis (introdotta con il D.L. 145/2013, convertito in L. 9/2014), ha stabilito che “Successivamente al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal Tribunale, acquisito il parere del Commissario Giudiziale, se nominato”[50].
Alla stregua del riferito precetto normativo, l’Autorità di Vigilanza ha chiarito che, in caso di concordato prenotativo o in bianco, l’operatore economico può partecipare alle pubbliche gare[51].
Nei medesimi termini si è espresso anche il Giudice Ordinario che, coordinando la normativa fallimentare con quella introdotta con il nuovo Codice degli Appalti, ha affermato che in fase preconcordataria l’impresa è abilitata a partecipare alle pubbliche gare previa autorizzazione del Tribunale su parere del Commissario Giudiziale, ove nominato.
Ciò escludendo che alla mancata considerazione, nell’ambito del D.lgs. 50/2016 e segnatamente nell’art. 110, ai fini della partecipazione alle gare, della fattispecie del concordato in bianco, può attribuirsi implicita valenza abrogativa del comma 4 dell’art. 186-bis perché, opinando in tal senso, si andrebbe in assoluta controtendenza rispetto al trend giurisprudenziale e all’atteggiamento di dichiarato favore per le soluzioni negoziate della crisi incentrate sulla conservazione delle imprese.
Piuttosto, l’A.G.A. ha colto che l’introduzione nella Legge Fallimentare del comma 4 dell’art. 186-bis costituisce recepimento del più evoluto indirizzo interpretativo della Giurisprudenza Amministrativa, che aveva escluso che si potesse “inibire alle imprese di partecipare alle gare per l’affidamento dei pubblici contratti nel periodo intercorrente tra il deposito della domanda e l’ammissione al concordato (periodo che potrebbe protrarsi anche per un semestre)”. Ciò in quanto tale soluzione verrebbe a confliggere “con la finalità della norma volta a preservare la capacità dell’impresa a soddisfare al meglio i creditori attraverso l’acquisizione di nuovi appalti”[52]. In sostanza, il Giudice Ordinario ha aderito alla interpretazione per cui l’entrata in vigore del D.lgs. 50/2016 non ha inciso sulla previsione dell’art. 186-bis comma 4.
Quanto sopra fermo restando che è stato precisato che l’ANAC potrebbe sempre richiedere, ricorrendo le condizioni di cui alle lett. a) o b) del comma 5 dell’art. 110, l’avvalimento di operatore economico in possesso dei requisiti previsti per legge. Previsione, pervero, non rinvenibile né nel Codice dei Contratti né nella Legge Fallimentare.
Ebbene, la condivisibile conclusione cui è pervenuto il Giudice Ordinario in punto partecipazione alle gare degli operatori economici che hanno presentato istanza di concordato prenotativo o in bianco presenta un unico elemento di criticità.
Ed infatti, se l’applicabilità del precetto di cui all’art. 186-bis comma 4 deriva dall’osservazione che la norma non può ritenersi abrogata sul presupposto che la fattispecie non è contemplata nella regolamentazione degli appalti pubblici risulta più complesso comprendere come l’ANAC possa intervenire, nella fase di concordato in bianco, richiedendo che l’operatore economico debba ricorrere all’avvalimento.
Tale questione viene in rilievo in quanto la concreta situazione di concordato prenotativo, ai fini della partecipazione alla gara, non è regolata dalla legge sugli appalti e dalla considerazione che con il D.lgs. 56/2016 è stato eliminato l’obbligo di “sentire l’ANAC” da parte degli organi della procedura (ai fini autorizzativi), anche nell’ipotesi di concordato in continuità aziendale.
Sennonché, dovrebbe opinarsi che la disposizione del comma 5 dell’art. 110 integrerebbe le previsioni dell’art. 186-bis comma 4 per quanto riguardo la situazione degli operatori economici che abbiano presentato istanza di concordato prenotativo senza, però, che tale conclusione sia coerente con la lettera della Legge che non contempla l’ipotesi di cui all’art. 161 comma 6 L.F. relativamente alla partecipazione alle gare.
Risultano evidenti le criticità applicative.
Tentando una ricostruzione sistematica e aderendo alla tesi del Giudice Ordinario, dovrebbe sostanzialmente concludersi che nel caso della partecipazione alle gare dell’operatore economico che abbia presentato domanda di concordato prenotativo, il Giudice Delegato (sentito il Commissario se nominato) dovrebbe, ai fini del rilascio dell’autorizzazione, valutare se sussistono le condizioni di cui al comma 5 dell’art. 110 e, quindi, ravvisatane la presenza, dovrebbe richiedere all’ANAC specifico intervento allo scopo di comprendere se per la partecipazione alla specifica gara l’Autorità di settore ritenga di imporre, ai fini della tutela dell’Amministrazione aggiudicatrice o dell’Ente aggiudicatore, il ricorso all’avvalimento, ovvero potersi fare a meno dell’ausilio di altro operatore economico.
Sarebbe stato più agevole che la norma dell’art. 110 avesse previsto la fattispecie riservando ogni competenza al Giudice Delegato.
Per completezza, è opportuno segnalare che altro (e precedente) orientamento giurisprudenziale ha escluso che, in caso di concordato in bianco, il ricorrente possa legittimamente ottenere l’autorizzazione del Tribunale a partecipare a procedure di affidamento di appalti pubblici, sul presupposto che le norme dell’art. 186-bis commi 4 e 5 L.F. esplicherebbero la propria operatività limitatamente al periodo di tempo compreso tra il deposito della domanda di concordato pieno e l’ammissione alla procedura, con esclusione della facoltà di farvi ricorso prima della presentazione della proposta e del piano, nell’ambito del concordato con riserva, in quanto sfuggirebbe all’Autorità Giudiziaria valutare l’impatto dell’acquisizione del contratto (in caso di aggiudicazione) e la sua funzionalità alla prosecuzione dell’attività di impresa quale strumento per la migliore soddisfazione dei creditori. Ciò peraltro sul presupposto che l’art. 110 limita la considerazione del concordato in bianco (con la previsione del comma 4) solo con riferimento alla prosecuzione dei contratti già stipulati, facendo così presumere che risulti preclusa la possibilità di partecipare a nuove gare[53].
L’arresto giurisprudenziale sopra riepilogato presenta talune criticità in quanto l’Autorità Giudiziaria non sembra avere affrontato la questione nella giusta prospettiva. Ed infatti, ad avviso di chi scrive, avrebbe dovuto valorizzare la circostanza che l’art. 186-bis comma 4 L.F. non prescrive che l’autorizzazione alla partecipazione alle gare, da parte del Giudice, debba essere subordinata alla presentazione della proposta e del piano, consentendo, piuttosto, di concorrere per l’aggiudicazione di appalti pubblici nella fase successiva “al deposito del ricorso”, riferendosi evidentemente alla fattispecie del concordato in bianco (tenendo conto della circostanza che la norma dispone che deve essere acquisita l’autorizzazione del Giudice, che è tenuto a sentire il Commissario “ove nominato” e che l’eventualità della nomina può ricorrere solo in caso di concordato prenotativo.
Altra e diversa questione afferisce alla autonoma determinazione del Giudice in sede di analisi dell’istanza di autorizzazione. E infatti, una volta ammesso che l’operatore economico che abbia presentato domanda di concordato prenotativo in bianco può partecipare alle gare, deve concludersi che il Giudice, tenuto ad autorizzare tale partecipazione, ben potrebbe omettere di concedere il provvedimento ogniqualvolta non sia in grado di ricavare dallo stato della documentazione indici utili a prevedere l’effettiva convenienza ad acquisire l’appalto oggetto della procedura concorrenziale.
Da quanto sopra illustrato deriva che, con riferimento alla partecipazione alle gare, l’orientamento più evoluto della Giurisprudenza consente la partecipazione alle gare anche agli operatori economici che abbiano presentato istanza di concordato prenotativo o in bianco (in continuità aziendale); anche in questo caso previa autorizzazione del Tribunale, sentito il Commissario, ove nominato, e ciò ai sensi dell’art. 186-bis comma 4 L.F. Ciò peraltro costituisce una possibilità che può concretarsi solo a valle dell’autorizzazione dell’A.G.O., che potrebbe opinare, come peraltro illustrato dal richiamato arresto giurisprudenziale, in ordine alla possibilità di valutare l’effettivo beneficio determinato dall’eventuale aggiudicazione dell’appalto a valle della partecipazione alla gara.
Per quanto attiene alla sorte dei contratti in corso, è agevole rilevare che la norma dell’art. 110 consente, sempre su autorizzazione del Giudice Delegato, l’esecuzione delle prestazioni oggetto dei contratti stipulati dall’impresa nel caso di presentazione della domanda di concordato ai sensi dell’art. 161 comma 6 (concordato prenotativo).
Peraltro, la Giurisprudenza prevalente, formatasi prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti, ha chiarito che, successivamente alla presentazione della domanda, i contratti in corso possono essere oggetto di sospensione ma non di scioglimento[54] ai sensi dell’art. 169 bis L.F.. Ciò fermo restando che con alcune pronunce è stato ritenuto applicabile anche l’istituto dello scioglimento nella fase di concordato prenotativo[55].
In vigenza del nuovo Codice[56] è stato altresì affermato che, coordinando la disciplina fallimentare con quella riservata agli appalti pubblici, deve ritenersi che i contratti già stipulati al momento del deposito della domanda di concordato in bianco rimangono sospesi sino all’intervenuta autorizzazione del Tribunale, con l’osservazione che ove le parti proseguano nella reciproca esecuzione delle prestazioni senza che l’imprenditore abbia richiesto la preventiva autorizzazione al Tribunale, l’esecuzione delle prestazioni potrebbe comunque essere ritenuta efficace, salva la successiva ratifica dell’Organo giudiziale.
Al riguardo, vanno svolte per completezza talune osservazioni.
La norma del comma 3 dell’art. 186-bis dispone l’irrisolvibilità dei contratti in corso per effetto dell’apertura della procedura, dichiarando l’inefficacia di eventuali patti contrari rinvenibili nell’accordo contrattuale.
Della continuazione dei contratti può beneficiare anche la società cessionaria o conferitaria l’azienda o di rami d’azienda i cui contratti siano trasferiti.
Ne deriva che del tutto correttamente è stata affermata la sospensione dei contratti, in considerazione della osservazione che, ove si concludesse la sussistenza dell’obbligo di procedere all’esecuzione da parte dell’impresa che abbia presentato domanda di concordato preventivo in bianco, verrebbe inficiata la stessa finalità perseguita dalla norma.
È chiaro che se la fase preconcordataria può perdurare fino a 6 mesi, e se per poter proseguire nella realizzazione delle prestazioni oggetto di contratti precedentemente stipulati è comunque necessaria l’autorizzazione del Giudice, la mancata sospensione dei contratti potrebbe determinare l’Ente appaltante a dare impulso alle procedure solutorie previste dall’art. 136 del D.lgs. 163/2006, e dunque allo scioglimento del contratto per inadempimento dell’Appaltatore che, ovviamente, deve presumersi, difficilmente, nella fase immediatamente successiva alla presentazione della domanda di concordato prenotativo, sarebbe nelle condizioni di adempiere alle obbligazioni poste a suo carico dai contratti in essere.
Del resto, la decisione per cui i contratti devono intendersi sospesi, adottata alla stregua della normativa introdotta con l’art. 110 del nuovo Codice degli Appalti, è senz’altro applicabile anche per le fattispecie disciplinate dalla precedente regolamentazione, in considerazione dell’osservazione che dovrebbe essere comunque accordato rilievo alla norma del comma 3 dell’art. 186-bis, che stabilisce – come sopra riepilogato – che i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso non si risolvono per effetto della procedura e che l’ammissione al concordato preventivo non impedisce, a determinate condizioni, la continuazione dei contratti pubblici.
Sarebbe in sostanza contraddittorio, da un lato, avere previsto la “continuazione” dei contratti nei termini sopra rassegnati, per riservare comunque all’Amministrazione appaltante la facoltà di azionare il rimedio della risoluzione in via amministrativa, valorizzando, a tal fine, l’inadempimento dell’appaltatore che, senza dubbio, non avrà (almeno nella maggior parte dei casi) potuto correttamente adempiere alle prestazioni una volta depositata la domanda di concordato preventivo.
Né ad avviso di chi scrive la Stazione Appaltante potrebbe far valere inadempimenti maturati precedentemente al deposito della domanda di ammissione a concordato prenotativo, per i quali questa non abbia tempestivamente sollevato eccezioni e azionato il rimedio della risoluzione, sulla scorta dell’osservazione che la sopravvenuta domanda di concordato in continuità aziendale deve sterilizzare la situazione dell’impresa al momento del deposito del ricorso in guisa da consentire la predisposizione di una proposta e di un piano ragionato e motivato che tenga conto di tutte le potenzialità del compendio aziendale.
Giova peraltro valutare la particolare fattispecie rappresentata dall’intervenuta aggiudicazione a favore di un operatore economico che presenti istanza di concordato in continuità (o sia sottoposto a procedura fallimentare), nelle more della stipula del contratto. In sostanza, deve chiarirsi se in tale fattispecie si ricada nell’ipotesi di prosecuzione dei contratti in corso, ovvero nell’ipotesi di partecipazione alla gara, atteso il silenzio sia della Legge Fallimentare che della normativa in materia di contratti pubblici.
Ebbene, è agevole rilevare che una volta esaurita la fase di gara non potrebbe condividersi un’impostazione per cui si versi nell’ipotesi di contratto in corso. Deve, piuttosto, affermarsi il principio per cui, una volta esaurita la procedura di gara e non ancora stipulato il contratto a cui sia sopravvenuta una procedura concorsuale, ovvero la domanda di ammissione di concordato prenotativo, la posizione dell’operatore economico è del tutto analoga alla fattispecie di partecipazione a nuove gare, così come chiarito dall’A.G.O.[57].
C’è peraltro da chiedersi se, ove l’operatore economico partecipi a una procedura previa autorizzazione del Tribunale, nella fase in cui ha presentato la domanda prenotativa e l’aggiudicazione in suo favore intervenga allorquando è stato adottato il decreto di ammissione al concordato con continuità aziendale, l’Autorità Giudiziaria debba svolgere ulteriori controlli e verifiche ai fini della sottoscrizione del contratto.
Ad avviso di chi scrive, la soluzione dovrebbe essere affermativa, in quanto se è vero che l’autorizzazione alla partecipazione alla gara è intervenuta al di fuori della valutazione del piano concordatario (perché non presentato ai sensi del comma 6 dell’art. 161 L.F.), è evidente che una rivalutazione in merito all’esecuzione del contratto dovrebbe essere effettuata proprio alla stregua delle previsioni del piano.
3.9 La partecipazione alle gare dell’impresa in concordato con continuità in forma plurisoggettiva
La disposizione del comma 6 dell’art. 186-bis L.F. consente all’impresa in concordato con continuità aziendale di concorrente alle gare preordinate all’aggiudicazione di appalti pubblici in Raggruppamento Temporaneo di Imprese. Ciò con il limite rappresentato dalla impossibilità di rivestire la qualità di capogruppo mandataria e ferma l’esigenza che gli altri operatori economici componenti l’integrazione di imprese non siano, a loro volta, assoggettati a una procedura concorsuale[58].
La riferita disposizione pone talune criticità, in considerazione della circostanza che non troverebbe, in realtà, giustificazione l’impedimento per l’impresa in concordato con continuità aziendale di rivestire il ruolo di capogruppo dell’ATI, una volta che lo stesso operatore economico potrebbe, in realtà, aspirare a partecipare alla gara in forma singola.
Né potrebbe opinarsi che il Legislatore della Legge Fallimentare ha inteso preservare l’impresa ammessa a concordato con continuità da eventuali ricadute negative connesse e conseguenti alla responsabilità solidale che vincola, nell’ambito dell’ATI, la capogruppo mandataria alle imprese mandanti.
È noto, infatti, che in caso di ATI orizzontale la solidarietà si estende a tutti gli operatori economici raggruppati, mentre nell’ATI verticale ciascuna delle imprese che abbia assunto le parti dell’opera scorporabili, ovvero le prestazioni secondarie dei servizi, risponde comunque individualmente, ferma la responsabilità della capogruppo.
In sostanza, non appare che la ragione ostativa all’assunzione del ruolo e della funzione di capogruppo possa essere rinvenuta nel regime delle responsabilità che caratterizzano le ATI nell’ambito del rapporto contrattuale perfezionato con la Committente in quanto questo non aggrava la posizione dell’Appaltatore rispetto all’aggiudicazione di un appalto in forma singola e, per certi aspetti, la attenua.
Potrebbe opinarsi che la norma del comma 6 dell’art. 186-bis trovi ragione nella responsabilità solidale che vincola i partecipanti al Raggruppamento Temporaneo di Imprese nei confronti dei subappaltatori e fornitori. Anche tale opzione, però, non appare convincente, in considerazione che se l’impresa fosse stata ammessa singolarmente alla gara avrebbe evidentemente risposto delle obbligazioni perfezionate nei confronti dei subcontraenti.
Piuttosto, la norma sembra doversi giustificare con la finalità di evitare che l’impresa in concordato con continuità aziendale rivesta la funzione di mandataria di operatori economici in bonis. In tale prospettiva la previsione del 6° comma dell’art. 186 bis L.F. appare più una cautela finalizzata a tutelare le altre imprese componenti l’ATI, che rivolta a salvaguardare l’operatore economico in concordato con continuità.
Posto quanto sopra, va osservato che la norma dell’art. 110 nulla dispone relativamente alla partecipazione in Raggruppamento Temporaneo degli operatori economici falliti.
Sul punto occorre preliminarmente osservare che l’art. 48 del Dl.gs. 50/2016, con le norme contenute nei commi 17 e 18, contempla l’ipotesi di apertura di procedure concorsuali nei confronti, rispettivamente, della mandataria, ovvero della mandante, di un’ATI.
Le riferite disposizioni, facendo comunque salve le previsioni dell’art. 110 comma 5, consentono alle imprese mandanti di sostituire la mandataria, ovvero alla mandataria di sostituire la mandante con altro operatore economico, fermo restando che nel caso di mancata sostituzione dalla mandante la mandataria sarà tenuta ad assumere direttamente l’esecuzione delle prestazioni.
Se le norme dell’art. 48 commi 17 e 18 fanno, dunque, salve le previsioni dell’art. 110, deve concludersi che in caso di fallimento (in relazione al quale il Curatore sia ammesso all’esercizio provvisorio), ovvero di concordato in continuità aziendale che colpisca l’operatore economico capogruppo, questo potrà continuare ad esercitare la funzione di mandatario ove espressamente autorizzato dal Giudice Delegato alla continuazione del contratto proprio in dipendenza del corretto coordinamento tra le richiamate previsione legislative che non pongono limiti agli operatori economici autorizzati a proseguire nei contratti in ordine alla loro posizione di capogruppo o mandate di un’ATI.
Ne deriva che la norma del comma 6 dell’art. 186-bis, interpretata attraverso considerazioni di carattere sistematico, dovrebbe ritenersi superata dalla codificazione introdotta con il D.lgs. 50/2016, in quanto non sembrerebbe coerente ammettere che l’operatore fallito o in concordato con continuità aziendale sia abilitato a svolgere la funzione di capogruppo per i contratti in corso al momento dell’ammissione alla procedura, mentre non sarebbe facultizzato a rivestire il medesimo ruolo per nuovi contratti oggetto di gare cui sia stato autorizzato a partecipare dall’Autorità Giudiziaria.
D’altra parte, la stessa Autorità di settore, nel documento di consultazione relativo alle linee guida ex art. 110 comma 5 lett. b), ha osservato che il limite della partecipazione alle gare in forma plurisoggettiva, imposto dall’art. 186 comma 6 L.F., non sarebbe coerente con le previsioni del Codice, sul presupposto che queste non estendono tale limite alla Curatela Fallimentare autorizzata a partecipare alle gare.
Da qui la conclusione (fondata anche sull’art. 104 L.F., relativo all’esercizio provvisorio) che, “per il principio di non contraddizione e di coerenza dell’ordinamento”, la previsione dell’art 186-bis comma 6 L.F. non sia più applicabile alle imprese in concordato con continuità azienda, e pena l’evidente irragionevole sperequazione con l’ipotesi della partecipazione dell’impresa in regime di fallimento con autorizzazione all’esercizio provvisorio.
- I CREDITI DEI SUBAPPALTATORI ALLA STREGUA DELLE NORME INTRODOTTE CON IL D.LGS. 50/2016
Per comprendere le conseguenze della normativa attualmente vigente in materia di contratti pubblici sulla sorte dei crediti dei subappaltatori in caso di fallimento o ammissione a concordato del contraente della P.A., è utile brevemente riepilogare le regole via via scandite con riferimento al pagamento delle somme dovute dall’appaltatore ai subcontraenti.
La norma dell’art. 18 della L. 55/1990, con la disposizione del comma 3-bis, stabiliva che l’Amministrazione era legittimata a prevedere nel bando di gara la corresponsione diretta al subappaltatore, o al cottimista, del corrispettivo dei lavori da questi eseguiti o, in alternativa, l’obbligo per i soggetti aggiudicatari di trasmettere le fatture quietanzate relative ai pagamenti da questi via via corrisposti ai subcontraenti; ciò fermo restando che in caso di pagamento diretto da parte della Stazione Appaltante l’aggiudicatario avrebbe, di volta in volta, dovuto comunicare all’Ente la parte dei lavori eseguiti dai subappaltatori accompagnata dalla proposta del pagamento.
La riferita disposizione prevedeva, quindi, la facoltà, per le Amministrazioni aggiudicatrici – da esercitarsi previa apposita previsione inserita nel bando di gara –, di procedere direttamente al pagamento all’affidatario del subappalto (o del cottimo) di quanto a lui dovuto, ovvero di consentire che tale pagamento fosse effettuato dall’Appaltatore, imponendogli, in tal caso, di trasmettere, entro il termine ivi prescritto, copia delle fatture quietanzate attestanti l’avvenuta corresponsione, a favore del subappaltatore (o cottimista) del compenso per le prestazioni eseguite.
La prefata disposizione non prevedeva, tuttavia, alcuna sanzione nell’ipotesi in cui l’Appaltatore, onerato del pagamento diretto del sub-affidatario, non avesse provveduto tempestivamente all’invio delle riferite fatture quietanzate.
La suddetta disposizione normativa è confluita, pressoché inalterata, nell’art. 118, comma 3, del Codice dei contratti pubblici approvato con il D.Lgs. 12.04.2006 n. 163.
Tale norma prescrive che “Nel bando di gara la stazione appaltante indica che provvederà a corrispondere direttamente al subappaltatore o al cottimista l’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite o, in alternativa, che e’ fatto obbligo agli affidatari di trasmettere, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi affidatari corrisposti al subappaltatore o cottimista, con l’indicazione delle ritenute di garanzia effettuate. Nel caso di pagamento diretto, gli affidatari comunicano alla stazione appaltante la parte delle prestazioni eseguite dal subappaltatore o dal cottimista, con la specificazione del relativo importo e con proposta motivata di pagamento”.
Successivamente, con il D.Lgs. 31.07.2007 n. 113[59], il Legislatore, recependo una proposta contenuta nel parere consultivo della Camera dei Deputati volta a tutelare le piccole e medie imprese, ha integrato il comma 3 dell’art. 118 del D.Lgs. 163/2006 inserendo la previsione per cui “Qualora gli affidatari non trasmettano le fatture quietanzate del subappaltatore o del cottimista entro il predetto termine la stazione appaltante sospende il successivo pagamento a favore degli affidatari.”.
Attraverso la prefata integrazione normativa è stato, dunque, reso effettivo, mediante la previsione di una specifica sanzione (id est: la sospensione dei pagamenti in favore dell’affidatario), l’obbligo per gli appaltatori di trasmettere, entro 20 giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti corrisposti ai subappaltatori[60].
Vale aggiungere che con il D.P.R. n. 207/2010[61] è stato, poi, precisato che “in caso di mancato rispetto da parte dell’esecutore dell’obbligo di cui all’art. 118, comma 3, del codice, qualora l’esecutore motivi il mancato pagamento con la contestazione della regolarità dei lavori eseguiti dal subappaltatore e sempre che quanto contestato dall’esecutore sia accertato dal direttore lavori, la stazione appaltante sospende i pagamenti in favore dell’esecutore limitatamente alla quota corrispondente alla prestazione oggetto di contestazione nella misura accertata dal direttore lavori”[62].
La riferita norma regolamentare consentiva, quindi, di limitare la sospensione dei pagamenti in favore dell’Appaltatore alla quota corrispondente alle prestazioni eseguite dal subaffidatario oggetto di contestazione, previa verifica della Direzione Lavori.
Giova ricordare, inoltre, che con l’art. 13 comma 10 della L. 21.2.2014 n. 9 è stato inserito nell’art. 118 il comma 3-bis, per effetto del quale era consentito alla Stazione Appaltante, anche per i contratti in corso alla data di entrata in vigore del riferito provvedimento di legge, nella pendenza di procedure di concordato preventivo con continuità aziendale, “di provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dagli eventuali diversi soggetti che costituiscano l’affidatario (…) dai subappaltatori e dai cottimisti, secondo le determinazioni presso il Tribunale competente per l’ammissione alla predetta procedura”.
Ebbene, dal richiamato art. 18 della L. 55/1990, l’Autorità di settore (allora AVCP) ha ricavato il principio che nel caso in cui l’appaltatore non fosse in grado di trasmettere copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti a favore dei subappaltatori, l’aggiudicatario “sarebbe venuto meno a un obbligo nei confronti della Stazione Appaltante …”, con la conseguenza che l’incombenza non soddisfatta avrebbe configurato “un’ipotesi di inadempimento contrattuale dell’appaltatore, idonea a giustificare l’escussione della cauzione definitiva rilasciata da quest’ultimo”, “subordinata alla preventiva risoluzione del contratto d’appalto nel rispetto dei presupposti, delle modalità e dei termini di cui all’art. 119 del DPR 554/1999”[63].
In costanza del sopra richiamato art. 118 del D.lgs. 163/2006 e del comma 7 dell’art. 170 del DPR 207/2010, in caso di mancati pagamenti da parte dell’appaltatore a favore del subappaltatore, l’Amministrazione sarebbe stata onerata a sospendere i versamenti di propria competenza.
Sulla base delle previsioni risultanti dal combinato disposto degli artt. 118 del Codice degli Appalti ormai abrogato e del DPR 207/2010, la Suprema Corte[64] ha avuto modo di affermare che i crediti vantati dai subappaltatori nei confronti di operatori economici falliti devono essere ricompresi nella categoria dei crediti prededucibili ex art. 111 L.F., ai sensi del quale “sono considerati crediti prededucibili quelli qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali … ; tali crediti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma”.
Secondo il Giudice di legittimità, la corretta interpretazione del richiamato articolo porta ad affermare nel senso che questo ricomprende tra i crediti prededucibili anche quelli che, ancorché aventi natura concorsuale, rientrano negli interessi della massa e, dunque, rispondono allo scopo della procedura (in quanto ineriscono alla procedura fallimentare).
In questa prospettiva, la prededuzione attuerebbe – ad avviso della Suprema Corte – un meccanismo satisfatorio, destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte al suo interno, ma tutte quelle che interferiscono con l’amministrazione fallimentare ed influiscono, per l’effetto, sugli interessi dell’intero ceto creditorio.
È stato, dunque, declinato il principio che i crediti dei subappaltatori avrebbero dovuto essere considerati prededucibili sul presupposto che l’art. 118 del D.Lgs. 163/2006 obbligando la sospensione dei pagamenti dovuti all’Appaltatore nel caso di mancato pagamento dei subappaltatori, il soddisfacimento del credito da questi ultimi vantati, si sarebbe atteggiato “quale condizione di esigibilità del credito che la fallita vanta a sua volta nei confronti del Committente”.
Ad avviso della Corte ricorre, dunque, un necessario nesso di strumentalità del credito del subappaltatore che “solo se assistito da prededuzioni può essere eseguito con preferenza seppur a seguito di riparto, e la soddisfazione del credito della fallita in termini di funzionalità rispetto agli interessi della procedura di quel pagamento, meritevole del rispetto per quel rango preferenziale”.
Le riferite conclusioni hanno trovato seguito anche recentemente[65], con la precisazione, però, che il credito del subappaltatore non va ammesso “sempre e comunque in prededuzione (finendo per dare luogo ad una sorta di innominato privilegio) e ciò anche se la massa dei creditori non tragga alcuna concreta soddisfazione dall’esecuzione di quel pagamento (per il minore o nullo o incerto introito che a quel pagamento consegua). Al contrario, l’ammissione del credito del subappaltatore al passivo fallimentare in prededuzione potrà trovare riscontro solo se, ed in quanto, esso comporti per la procedura concorsuale un sicuro indubbio vantaggio conseguente al pagamento della Committente-P.A. il quale subordini il suo pagamento di una maggiore somma alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito …”.
Le prefate conclusioni sono state avversate dai Giudici di merito.
È stato precisato, infatti, che la prededucibilità dei crediti del subappaltatore andava esclusa in considerazione dell’osservazione che una volta intervenuto il fallimento (ovvero la liquidazione coatta amministrativa, nel caso di specie) il contratto di appalto, alla stregua della normativa (allora) vigente in materia di contratti pubblici, si scioglie irrimediabilmente, con la conseguenza che non avrebbe potuto trovare applicazione la disciplina dell’art. 118, in quanto non sarebbe stato possibile il pagamento diretto (neanche se previsto dalla lex specialis e dal contratto d’appalto) proprio per effetto del venire meno del contratto.
In sostanza, il Giudice di merito non ha condiviso l’orientamento della Cassazione ritenendolo errato sul piano dei presupposti[66]. È stato, in particolare, sostenuto che l’orientamento della Corte di Cassazione non poteva essere condiviso, in quanto le norme dell’art. 118 trovavano la propria ratio nell’esigenza di tutela della P.A., il cui interesse primario andava ricercato nella finalità di vedere realizzata l’opera pubblica nei termini e alle condizioni previste dal contratto d’appalto e di sapere che i denari versati all’Appaltatore via via maturati risultavano correttamente destinati ai subappaltatori.
Ebbene, proprio la circostanza che in caso di fallimento o liquidazione coatta amministrativa il contratto non avrebbe potuto proseguire ha fatto propendere per l’inapplicabilità dell’art. 118, che presupponeva l’esistenza di un contratto ancora in corso di esecuzione, da portarsi a termine sino al collaudo dell’opera.
Il meccanismo dell’art. 118 è stato, dunque, ritenuto non quale strumento di tutela per il subappaltatore quanto, piuttosto, di salvaguardia della P.A., finalizzato a evitare che i subappaltatori, non soddisfatti, potessero cessare l’esecuzione delle prestazioni a loro carico avvalendosi dei rimedi civilistici di cui agli artt. 1460 e 1453 e ss. c.c.. Da qui la non condivisione delle decisioni adottate dalla Suprema Corte[67].
Posto quanto sopra in termini di prededucibilità del credito vantato dai subappaltatori, occorre sottolineare che anche ove fosse stato riconosciuto tale carattere, non sarebbe comunque stato consentito alla Stazione Appaltante di versare a questi il corrispettivo loro spettante, una volta sopravvenuta una procedura concorsuale.
È stato, infatti, correttamente osservato che la sopravvenuta dichiarazione di fallimento (nel caso indagato di liquidazione coatta amministrativa) avrebbe imposto alla stregua della normativa di cui al D.lgs. 163/2006, comunque, il versamento degli importi dovuti alla fallita nelle mani del Curatore[68].
Ciò con l’evidente corollario che l’eventuale ammissione dei crediti di subappaltatori al passivo fallimentare in prededuzione avrebbe riguardato esclusivamente la procedura concorsuale, senza che alle prerogative e potestà della stessa potesse sovrapporsi l’azione della P.A.
In altre parole, una volta sopravvenuto il fallimento, o altra procedura concorsuale, la Committente, in vigenza del Codice abrogato e del relativo Regolamento, non sembra potesse provvedere al pagamento diretto dei subappaltatori, atteso che non sussisteva alcuna disposizione di legge che autorizzasse tale pagamento e in considerazione della circostanza che la natura di crediti prededucibili riguarda esclusivamente la graduazione operata dagli organi della procedura.
Del resto, è utile ricordare che l’AVCP (ora ANAC), pur attestandosi sulle conclusioni della Suprema Corte di Cassazione in tema di prededucibilità, avversate, come sopra riferito, dai Giudici di merito, ha precisato che “la Stazione Appaltante, in caso di fallimento dell’appaltatore, non può che procedere ai pagamenti accantonati e dovuti a favore della società fallita, relazionandosi con la procedura fallimentare la quale, a sua volta, in base al meccanismo della prededuzione, dovrà garantire, appunto nell’interesse dell’intero ceto creditorio, il soddisfacimento dei crediti dei subappaltatori”[69].
Le riepilogate conclusioni, e prima ancora la questione relativa alla natura dei crediti dei subappaltatori, debbono essere vagliate alla luce della disciplina del nuovo Codice degli Appalti che, con riferimento al pagamento dei subappaltatori, non ha rinnovato l’alternatività tra pagamento diretto e pagamento da parte dell’Appaltatore.
Ed infatti, l’art. 105 comma 13 prescrive che l’Amministrazione è tenuta al pagamento diretto (al subappaltatore, al cottimista, al prestatore di servizi e al fornitore di beni o lavori (estendendo così la portata della norma a tutti i subcontraenti) l’importo dovuto per le prestazioni da questi eseguite nell’ipotesi in cui:
- Il subappaltatore o cottimista è una microimpresa o piccola impresa;
- in caso di inadempimento dell’appaltatore;
- Su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente.
Analoga disciplina è contenuta nell’art. 174 che regola il contratto di concessione.
Da quanto sopra esposto, la nuova regolamentazione ha espunto dall’ordinamento l’obbligo dell’appaltatore di ostendere le fatture quietanzate dei propri contraenti alla P.A., che, in carenza di tale ostensione, era onerata a sospendere i pagamenti.
Il nuovo quadro normativo ha consentito alla Dottrina di ritenere che, venendo meno la sospensione dei pagamenti, verrebbe anche meno la condizione di esigibilità sulla base della quale era stata fondata la conclusione della cosiddetta “utilità concreta” del soddisfacimento dei subappaltatori ai fini della riscossione del credito dell’appaltatore[70].
In sostanza, l’attuale normativa ha sostanzialmente previsto il pagamento diretto dei subappaltatori (e più in generale dei subcontraenti) dell’affidatario del contratto, in quanto le ipotesi declinate dalla norma conducono o a considerarne la doverosità ex ante, ovvero in corso di rapporto, qualora il subappaltatore lamenti l’inadempimento dell’appaltatore.
È pur vero che potrebbe occorrere l’ipotesi in cui il subcontraente non denunci ipotesi di inadempimento, con il corollario che, invero, l’Amministrazione non avrebbe alcuno strumento normativo per incidere sull’appaltatore, ovvero per evitare che questo ometta i pagamenti dovuti al proprio subcontraente.
Va da sé che in tale ipotesi non risulterebbe azionabile alcuna tutela da parte del subcontraente, il cui credito rimarrebbe acquisito alla massa e senza alcuna possibilità di essere considerato prededucibile.
Per quanto attiene alle ipotesi di pagamento diretto, va osservato che, in costanza dell’art. 118 comma 3 del D.lgs. 163/2006 (che, come sopra ricordato, contemplava l’alternatività tra pagamento diretto e indiretto), tale istituto è stato ricondotto nell’alveo della delegazione di pagamento[71], ovvero dell’accollo ex lege.
Nell’attuale sistema l’istituto del pagamento diretto, come declinato dall’art. 105 comma 13 del D.lgs. 50/2016, è stato ritenuto dalla Dottrina[72], riconducibile alla delegazione di pagamento ex lege[73]. Ciò alla stregua delle norme sovranazionali. In particolare, l’art. 71.3 della Direttiva europea 2014/24/UE ha facultizzato gli Stati membri a prevedere regole secondo le quali l’Amministrazione aggiudicatrice “trasferisca i pagamenti dovuti direttamente al subappaltatore per i servizi, le forniture o i lavori forniti all’operatore economico cui è stato aggiudicato l’appalto …”; con la precisazione che i Legislatori nazionali avrebbero potuto “prevedere disposizioni più rigorose in tema di responsabilità in materia di pagamenti diretti ai subappaltatori, ad esempio prevedendo pagamenti diretti ai subappaltatori senza la necessità che questi ultimi ne facciano richiesta”.
Da quanto sopra esposto discende l’osservazione che, invero, il Legislatore del nuovo Codice, pur avendo dato attuazione (nei termini di cui all’art. 105 comma 13) alle facoltà a questo riservate dalla disciplina europea, non ha introdotto specifiche norme idonee ad attribuire ai subcontraenti un’azione diretta nei confronti della Stazione Appaltante, peraltro sempre esclusa dalla Suprema Corte[74].
Da qui l’osservazione che, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, ovvero di concordato, la Stazione Appaltante Pubblica non potrà dare corso ai pagamenti diretti a favore del subappaltatore, ancorché da effettuarsi sulla base di una delle fattispecie indicate dal comma 13 dell’art. 105.
Questione diversa afferisce all’ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 110 commi 3 e ss., sia consentita la prosecuzione dei contratti ad opera del Curatore Fallimentare, ovvero dell’impresa ammessa a concordato in continuità aziendale o liquidatorio.
Deve concludersi che in tali casi, operando un corretto raccordo delle disposizioni dell’art. 110 commi 3 e ss. con quelle della Legge Fallimentare, l’Amministrazione appaltante dovrà provvedere al pagamento diretto dei subappaltatori per i crediti sorti nel corso della procedura di concordato (o di fallimento), mentre per quelli maturati precedentemente alla domanda di ammissione a una procedura concorsuale il pagamento sarà possibile solo qualora sia attestata l’essenzialità delle prestazioni alla prosecuzione dell’attività di impresa e della loro finalizzazione al miglior soddisfacimento dei creditori.
Sul punto viene, del resto, in rilievo anche la norma dell’art. 182-quinquies comma 4 L.F., relativa alla posizione del pagamento di debiti pregressi alla presentazione della domanda con continuità aziendale, ovvero di concordato prenotativo in bianco.
Vale un’ultima considerazione relativa ai pagamenti diretti effettuati dalla Committente Pubblica a favore dei subcontraenti in un periodo sospetto relativamente al momento dell’apertura della procedura concorsuale.
Gli eventuali pagamenti effettuati in virtù di delegazione, ovvero di accollo (non allo scoperto), costituiscono tradizionalmente fattispecie ricondotte nei “mezzi anomali di pagamento”, pertanto assoggettabili a revocatoria ai sensi dell’art. 67 L.F.[75].
Sennonché, nell’ambito dell’attuale regolamentazione, ci si deve interrogare se sia applicabile la disposizione della Legge Fallimentare che consente la revocatoria, che si fonda sulla presunzione di conoscenza dell’insolvenza; deve cioè valutarsi se nel quadro normativo attuale, ove il pagamento diretto è disciplinato dalla legge in presenza delle condizioni di cui al comma 13 dell’art. 105, sia effettivamente ipotizzabile la riferita presunzione in presenza di una forma di pagamento prevista dalla legge.
Ad avviso di chi scrive, la questione dovrebbe semmai sorgere solo con riferimento al pagamento diretto disposto a seguito di richiesta del subappaltatore fondata sull’inadempimento dell’appaltatore, in quanto negli altri casi (nei quali costituirebbe modalità di pagamento prevista sin dall’insorgenza del rapporto), non dovrebbe porsi questione in ordine alla conoscenza dell’insolvenza dell’accipiens.
Sennonché, potrebbe fondatamente opinarsi che anche nel caso di pagamento diretto per inadempimento dell’appaltatore sarebbe applicabile la norma del comma 3 dell’art. 67 L.F., che esclude la revocatoria ove ricorrano le ipotesi ivi previste, prima tra tutti quella costituita da pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso, che verrebbe in rilievo in quanto il versamento del dovuto deriverebbe direttamente dalla applicazione della legge.
Alfredo Biagini
* Intervento svolto il 27 ottobre 2018 al Convegno su “Fallimento e procedure concorsuali in rapporto alle convenzioni urbanistiche ed ai contratti pubblici d’appalto” tenutosi a Padova a cura dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti e del Centro Studi Patavini di Diritto Concorsuale.
[1] Recante l’istituzione dell’Albo Nazionale dei Costruttori, costituito presso il Ministero dei Lavori Pubblici e sue articolazioni periferiche.
[2] DPR 25.01.2000 n. 34, recante “Regolamento per l’istituzione di un sistema di qualificazione unico dei soggetti esecutori di lavori pubblici, a norma dell’articolo 8, comma 2, della legge 11 febbraio 1994, n. 109”, che ha trasferito alle Società Organismi di Attestazione (SOA) la competenza a rilasciare la certificazione che abilita gli operatori economici a ottenere l’affidamento di lavori pubblici.
[3] Va ricordato che la norma dell’art. 9 del Capitolato Generale del Ministero dei Lavori Pubblici, approvato con D.M. 28.5.1895, onerava l’aggiudicatario, in sede di stipula del contratto, a “presentare un supplente”, il quale sarebbe divenuto il principale obbligato nel caso di fallimento dell’Appaltatore; all’Amministrazione era comunque riservata la facoltà di sciogliersi dal contratto senza alcun indennizzo.
[4] La norma dell’art. 72 riguarda le sorti dei contratti di scambio pendenti alla data di dichiarazione di fallimento e trova applicazione nei confronti di tutti i tipi contrattuali non espressamente disciplinati dalla Legge Fallimentare; il contratto d’appalto è uno dei tipi contrattuali cui la Legge Fallimentare riserva specifica disciplina, con la norma contenuta nell’art. 81.
[5] Trib. Roma 19.4.2002 in Giur. Romana 2003, 76; Trib. Treviso, 3.6.1999 in Foro Padano 2000.
[6] G.Racugno: gli obiettivi del concordato preventivo, lo stato di crisi e la fattibilità del piano, in giur. commentata 2009, I, 1897.
[7] Trib. Mantova 25.8.2005 in www.Ilcaso.it.
[8] Integrato con l’art. 13 comma 11-bis del D.L. 23.12.2013 n. 145, convertito con modificazioni dalla L. 21.2.2014 n. 9.
[9] Varie norme relative a comparti specifici hanno inciso sul Codice degli appalti: vedi riforma del T.U.L.B. in relazione all’art. 75 del D.Lgs. 163/2006, il cui tardivo adeguamento ha provocato non poche criticità nella fase di assegnazione dei contratti pubblici.
[10] Nel senso che nel caso di ammissione a concordato con continuità aziendale la Stazione Appaltante non avrebbe potuto fare ricorso all’istituto dello “scorrimento della graduatoria” ex art. 140 e le SSOOAA non avrebbe potuto dare ingresso al procedimento di decadenza dell’attestazione di qualificazione, né sottrarsi alle verifiche di legge in costanza di attestazione o al rinnovo ovvero rilascio di nuova attestazione.
[11] Introdotto nell’ordinamento dall’art. 33 comma 1 lett. b) n. 4 del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7.8.2012 n. 134, e modificato dall’art. 82 comma 1 lett. b) del D.L. 21.6.2013 n. 69, convertito con modificazioni nella L. 9.8.2013 n. 98.
[12] Il comma 5 prescrive che, in caso di ammissione alla procedura concordataria, la possibilità di concorrere per l’aggiudicazione di appalti è subordinata alla presentazione di: a) una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, lett. d) che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto; b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della Stazione Appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto. Si applica l’art. 49 del D.lgs. 163/2006.
[13] Come novellato dall’art. 33 del D.L. 83/2012, convertito dalla L. 134/2012.
[14] L. 21.2.2014 n. 9 di conversione del D.L. 23.12.2013 n. 145 che, con l’art. 13 comma 11-bis, ha introdotto il 4° comma dell’art. 186-bis, secondo cui “Successivamente al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal Tribunale, acquisito il parere del Commissario Giudiziale, se nominato; in mancanza di tale nomina, provvede il Tribunale”.
[15] Cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, 7.3.2013 n. 146 in www.Ilcaso.it 2013; Cons. Stato, Sez. V, 27.12.2013 n. 6672 in www.impresedilinews.it.
[16] Cfr. TAR Valle d’Aosta, 18.4.2013 n. 23 in Foro Amm. 2013, pag. 1097; Cons. Stato, Sez. III, 14.1.2014 n. 101 in www.giustizia-amministrativa.it; TAR Lazio, Sez. VI-ter, 4.6.2014 n. 5901 in “Il diritto fallimentare e delle società commerciali”, 2014, II, pag. 688.
[17] Cos. Stato, Sez. V, Ord. 2.2.2018 n. 686 in www.giustizia-amministrativa.it
[18] Trib. Mantova 10.9.2015 in www.Ilcaso.it.
[19] Cfr. relazione schema Decreto Legislativo recante “Riforma organica delle procedure concorsuali” Capo VII.
[20] Cfr. L. Carvelli, Il (difficile) rapporto tra procedure concorsuali e contratti pubblici.
[21] Abete: Il novello “esercizio provvisorio”: Brevi notazioni in Dir. Fall. 2006, 665.
[22] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 6.8.2001 n. 4241 in www.giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato, Sez. V, 17.11.2006 n. 6727 in www.giustizia-amministrativa.it; ANAC, Determinazione n. 1 del 12.1.2010 in www.anacanticorruzione.it
[23] Cfr. L. Carvelli Il fallimento nelle nuove Direttive e nella riforma dell’istituto in giust. Amm.it, giugno 2015.
[24] L.Imparato: la crisi di impresa nel nuovo Codice degli appalti pubblici, 23.1.2017 in Ilcaso.it, pag. 12.
[25] L.Imparato, op. cit.
[26] Precedentemente alla modifica introdotta con D.L. 11.9.2008, la previsione dell’art. 140 stabiliva che l’operatore economico sarebbe subentrato alle condizioni risultanti dall’offerta da questo presentata.
[27] In funzione: i) Dell’economia del processo di fabbricazione dei prodotti, dei servizi o del metodo di costruzione; ii) Delle soluzioni tecniche prescelte o delle condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l’offerente per fornire i prodotti, per prestare i servizi o per eseguire i lavori; e iii) Dall’originalità dei lavori, delle forniture o dei sevizi proposti dall’offerente.
[28] Sia economiche che tecniche, nel caso di gara aggiudicata con l’offerta economicamente più vantaggiosa fondata su una pluralità di elementi.
[29] Cons. Stato, Parere, Sez. II, 3.2.1993 n. 53/93 – Ministero dei Lavori Pubblici, in I contratti dello Stato e degli Enti pubblici, 1994, pag. 38.
[30] Legge quadro in materia di lavori pubblici.
[31] Cfr. L. Imparato op. cit., pag. 15.
[32] Cfr. Firmanò: Esercizio provvisorio dell’Impresa e riallocazione dell’azienda nella riforma della Legge Fallimentare in ilcaso.it.
[33] D.M. 10.11.2016 n. 248, secondo cui rientrano tra le opere per le quali non è possibile fare ricorso all’avvalimento ove il loro valore sia superiore al 10% dell’importo totale dell’appalto le seguenti categorie di intervento:
- a) OG 11 Impianti tecnologici;
- b) OS 2-A Superfici decorate di beni immobili del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico;
- c) OS 2-B Beni culturali mobili di interesse archivistico e librario;
- d) OS 4 Impianti elettromeccanici trasportatori;
- e) OS 11 Apparecchiature strutturali speciali;
- f) OS 12-A Barriere stradali di sicurezza;
- g) OS 12-B Barriere paramassi, fermaneve e simili;
- h) OS 13 Strutture prefabbricate in cemento armato;
- i) OS 14 Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti;
- l) OS 18-A Componenti strutturali in acciaio;
- m) OS 18-B Componenti per facciate continue;
- n) OS 21 Opere strutturali speciali;
- o) OS 25 Scavi archeologici;
- p) OS 30 Impianti interni elettrici, telefonici, radiotelefonici e televisivi;
- q) OS 32 Strutture in legno.
Le riferite lavorazioni rappresentano anche le opere per le quali, ai sensi dell’art. 105 comma 5 del D.lgs. 50/2016, l’eventuale subappalto non può superare il 30% del loro valore e non può essere, senza ragioni obiettive, suddiviso tra più subcontraenti. Il Decreto n. 248/2016 prevede anche che, successivamente a un congruo periodo di monitoraggio preordinato alla valutazione degli effetti prodotti da quanto ivi previsto, lo stesso Ministero potrà procedere a un conseguente aggiornamento.
[34] ANAC, documento di consultazione 3.3.2018, Schema di Linee Guida.
[35] La norma reitera quanto previsto dagli artt. 4 e 5 del DPR 207/2010.
[36] L’ANAC, con il Documento di Consultazione del 3.3.2018, ha precisato che la norma dell’art. 110 può essere letta quale disposizione derogatoria dell’art. 80 comma 4, senza peraltro escludere che la stessa possa essere interpretata quale disposizione unicamente rivolta a imporre il ricorso all’avvalimento rinforzato.
[37] Interpello n. 41/2012 del 21.12.2012.
[38] Circolare Direzione Centrale delle Entrate n. 5223 del 6.8.2015.
[39] Trib. Roma 5.12.2014 in www.ilcaso.it; Trib. Bergamo 23.4.2015 ibidem, secondo cui la presentazione della domanda di concordato non impedisce il rilascio del documento attestante la regolarità contributiva (DURC).
[40] Trib. Pavia 20.12.2014 in www.ilcaso.it.
[41] Trib. Firenze 21.7.2015 in www.ilcaso.it.
[42] L.Imparato, op. cit., pag. 30.
[43] Trib. Siracusa, 3.10.2013 in www.uniiuris.it.
[44] Cass. 27.10.2006 n. 23271; Cass. 18.6.208 n. 16598; Cass. 14.6.2016 n. 12265 in www.forumiuris.it.
[45] Trib. Trento 30.1.2017 in www.forumius.it.
[46] Cons. Stato, Sez. V, 29.5.218 n. 3225, in www.giustizia-amministrativa.it.
[47] Cons. Stato, Sez. V, n. 3225/2018 cit.
[48] Sul punto, cfr. A. Castagnola: La chiusura del concordato preventivo con continuità aziendale, Commento a Trib. Asti 7.4.2014 in giur. comm. 2015, II, 1287.
[49] Trib. Padova, 29.7.2015 in www.Ilcaso.it conforme a Trib. Pistoia, 31.3.2010 ibidem.
[50] Cfr. Trib. Bolzano 9.1.2018, in www.fallimentiesocieta.it.
[51] ANAC, Determina n. 5/2015.
[52] Cfr. Trib. Bolzano 9.1.2018 in www.fallimentiesocieta.it, ove è richiamato l’orientamento del TAR Friuli Venezia Giulia e del Consiglio di Stato citati in nota 15.
[53] Trib. Roma, 20.10.2017 in www.unijuris.it.
[54] Cfr. Trib.La Spezia 24.10.2012; Tribunale di Pistoia 30.10.2012; Tribunale Ravenna 24.12.2012 in www.studiorebecca.it.
Cfr [55] Tribunale Salerno 25.10.2012 ibidem
[56] Trib. Bolzano 9.1.2018 cit.
[57] Trib. Bolzano 9.1.2018 cit.
[58] In considerazione della previsione di cui alla lett. b) del comma 5, in punto “avvalimento rinforzato”, la norma del comma 6 prevede anche che l’impresa ausiliaria possa essere uno egli operatori economici riuniti in ATI. Ciò peraltro in piena adesione all’orientamento giurisprudenziale in tema di avvalimento formatosi sulla base dell’art. 49 del D.lgs. 163/2006, refluito nella norma dell’art. 89 del nuovo Codice.
[59] 2° Decreto correttivo del Codice dei Contratti.
[60] cfr. Camera dei Deputati, parere sullo schema di decreto correttivo – Atto n. 104.
[61] Regolamento di esecuzione ed attuazione del D.Lgs. n. 163/2006.
[62] cfr. art. 170, comma 7, del D.P.R. 207/2010.
[63] AVCP, Determinazione n. 7 del 28.4.2004 in www.anticorruzione.it.
[64] Cass., Sez. I, 5.3.2012 n. 3402, in Il Fallimento 2012.
[65] Cass., Sez. I, 16.2.2016 n. 3003, la quale ha però precisato che il credito del subappaltatore
[66] Trib. Milano, Sez. II, 17.7.2014, in Il Fallimento, 12, pag. 1289 e ss..
[67] Trib. Bolzano, Decreto 25.02.2014, estensore dott.ssa F. Bortolotti.
[68] L. Sadile Crediti dei subappaltatori pubblici e fallimento dell’Appaltatore.
[69] cfr. AVCP, Parere A.G. 7.3.2013 n. 26/2012 in www-anticorruzione.it.
[70] M.Attanasio: Procedure concorsuali e appalti pubblici in Fallimentiesocieta.it, pag. 14.
[71] AVCP, Determinazioni 26.3.2003 n. 8; 28.4.2004 n. 7; 23.11.2004 n. 16; 17.5.2012 n. 57 e Parere ANAC 17.5.2012 in www.anticorruzione.it.
[72] M.Attanasio, op. cit., pag. 14.
[73] L.Sadile, Crediti dei subappaltatori pubblici e fallimento dell’appaltatore, in www.Ilcaso.it, 2014, pag. 89.
[74] La Corte di Cassazione ha affermato, con reiterate pronunce, l’insensibilità al fallimento di azioni dirette nei confronti della P.A. ove esercitate prima della dichiarazione di fallimento (Cass. 15.5.2009 n. 11360; Cass. 24.10.2007 n. 22304; Cass. 9.5.2006 n. 10626), nonché anche in ipotesi di esercizio successivo a tale dichiarazione (Cass. 14.1.2016 n. 515 in Il Fallimento, 2016, 5, pag. 542 e ss.).
[75] Cass. 23.12.2015 n. 25928, in tema di pagamento effettuato dalla Committente a favore del subappaltatore (peraltro, caratterizzato dalla circostanza che il versamento era stato effettuato senza che tale modalità risultasse prevista dal Bando di gara).