La locandina del Convegno esordisce dicendo che in materia di cambiamento climatico si contrappongono nettamente due fazioni, quella degli allarmisti e quella dei negazionisti. In proposito credo che l’occasione sia propizia per precisare che non si tratta di allarmismo, ma solo di dare atto di una oggettiva e documentata realtà. È vero infatti che mutamenti climatici ce ne sono sempre stati, ma il dato odierno è caratterizzato dalla velocità del cambiamento, che si verifica nel giro di anni e non di millenni come in passato.

Ciò posto, va precisato che l’espressione comunemente usata di “consumo di suolo” è erronea, perché il suolo non è un bene consumabile; può essere trasformato quindi, non consumato.

Sono note le numerose proposte volte a vietare o comunque a limitare l’utilizzazione a fini edilizi di aree esterne all’abitato. A livello statale le proposte sono rimaste tali, mentre a livello regionale sono già state approvate varie leggi, tra le quali la legge veneta n. 14 del 2017 e quella dell’Emilia Romagna n. 24 sempre del 2017.

La ragione profonda di tale ormai affermato orientamento dell’opinione pubblica non è tanto, o almeno non è soltanto, costituita dall’opportunità di non esaurire quel bene non riproducibile che è, appunto, il territorio, quanto soprattutto quella per un verso di non aumentarne la impermeabilizzazione, causa di frane e di inondazioni, e per altro verso di non aggravare ulteriormente la dispersione abitativa e produttiva.

L’attuale diffusa dispersione dà luogo invero a gravissimi inconvenienti, quali: i) l’evidente antieconomicità della creazione di infrastrutture necessarie ad “inseguire” a volte anche una sola abitazione o una sola officina; ii) la impossibilità di raggiungere i vari insediamenti con la ferrovia, con il conseguente dilagare del trasporto su gomma, fonte di inquinamento dell’aria.

Resta da definire il regime del suolo mantenuto permeabile, ma non coltivato (si ricorda che la popolazione dedita all’agricoltura era nel 1942 pari al 40 per cento del totale, mentre oggi è scesa a circa il 4 per cento). Si tratta di un bene comune analogo a quello proprio degli usi civici o invece una nuova forma di demanio naturale?

Il problema è ancora aperto. Nessuna delle proposte formulate va oltre il divieto di consumo di suolo; sarebbe invece opportuna una norma che ne fissasse positivamente la disciplina, anche perché lo stesso piano paesaggistico si limita generalmente a stabilire ciò che non si può fare, in quanto alterante il carattere identitario dei luoghi, ma non si preoccupa di stabilire quale uso possano fare i cittadini dei viali, dei parchi e delle piazze delle loro città.

Paolo Stella Richter

 

*Relazione di sintesi tenuta al XXIX Convegno annuale dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti, sul tema : “Cambiamenti climatici, tutela del suolo e uso responsabile delle risorse idriche” (Cortina d’Ampezzo, 5 luglio 2019).

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