Intendo esternare alcune modeste riflessioni sull’applicabilità o meno delle misure di salvaguardia di un Piano degli Interventi (p.i.) solo adottato nei confronti del progetto di ampliamento di una cava da esercitare nel territorio del Comune oggetto della suddetta iniziale fase di pianificazione.
Occorre al riguardo precisare che la disciplina del settore urbanistico è del tutto autonoma e distinta da quella propria del settore estrattivo, ammettendosi limitate interconnessioni tra l’uno e l’altro ambito.
Lo puntualizza la Corte Costituzionale che ha affrontato l’argomento affermando che:
“La materia delle cave torbiere riservata alle competenza delle Regioni, non può essere confusa con quella dell’edilizia , disciplinata dalla L. 28.1.1977 n. 10 e riservata ai Comuni” (Corte Costituzionale 25.2.1988 n. 221).
In conformità a tale principio di distinzione e differenziazione nella Regione Veneto, come nella maggior parte delle altre Regioni, la legge quadro in materia urbanistica (L.R. 2004/11) è distinta da quella in materia estrattiva L.R. 82/44; e da quella ora, da poco vigente, 13/2018.
Per quanto concerne la incidenza delle previsioni di uno strumento urbanistico, non si dimentichi al riguardo che il legislatore regionale Veneto sin dalla L.R. 82/44 stabilisce che le attività estrattive debbono essere collocate nella zona E (agricola) così qualificata dal PRG, purché approvato. In particolare così recita l’art. 13 della L.R. 82/44 (aree di potenziale escavazione e tutela dell’agricoltura):
“Costituiscono aree di potenziale escavazione le parti del territorio comunale definite zona E ai sensi del D.M. 2 aprile 1986 n. 1444 dallo strumento urbanistico generale approvato e non escluse dall’attività di cava ai sensi della presente legge”.
Ciò implica, in primis, che vi è una scelta organica e preordinata rimessa al legislatore nella ubicazione preferenziale o meglio privilegiata dell’attività estrattiva, essendosi, a priori, ritenuta la zona agricola (E) la più funzionale e compatibile con l’apertura dei bacini di escano.
Significa, ancora, che lo strumento urbanistico, in forza di una espressa statuizione di rango legislativo, può contenere disposizioni limitatrici dell’attività di cava; disposizioni che si traducono non già nella regolamentazione diretta dell’attività estrattiva, ma nella sola individuazione delle aree agricole, come tali ricettive delle cave.
Ciò comporta in terzo luogo, che lo strumento urbanistico, ai fini della individuazione della zona agricola, potenzialmente idonea all’ubicazione delle cave, e quindi della sua incidenza sul progetto estrattivo, è ritenuto prescrittivo in tanto in quanto vigente e cioè, in tanto in quanto approvato e pubblicato.
Con la conseguenza che gli strumenti urbanistici in itinere, ovvero meramente adottati, non esplicano alcuna efficacia sulla rilasciabilità o meno dell’autorizzazione estrattiva (la quale deve unicamente risultare conforme alla vigente prescrizione di zona).
Pertanto, se la presenza di uno strumento urbanistico , in itinere, è del tutto ininfluente (per volontà, ripetesi, del legislatore) in ordine al rilascio della autorizzazione estrattiva è, oltremodo, evidente che non può neppure venire ipotizzata la applicabilità delle misure di salvaguardia a tutela del citato strumento urbanistico.
Volendo, peraltro, ammettere che – venuta meno la scelta preferenziale codificata dall’art. 13 della “vecchia” legge regionale 82/44 – uno strumento urbanistico possa contenere limitazioni all’attività estrattiva, quanto alla sua ubicazione, potenzialità e/o durata, è senz’altro da escludere che tale incidenza si verifichi ad opera di uno strumento semplicemente adottato ed assoggettato alle misure di salvaguardia.
Non vi è dubbio infatti che muovendo dalla legislazione nazionale (L.N. 1952/1902) ed approdando a quella regionale (2004/11) le misure di salvaguardia si applicano soltanto nei confronti delle attività edilizie e, cioè, degli interventi che presuppongo il rilascio di un titolo edilizio.
Esse non possono concernere le operazioni estrattive le quali, anche in sede di rilascio, sono assoggettate ad una propria disciplina demandandosi l’adozione del titolo autorizzatorio alla Regione (o meglio al Dirigente), mentre i Permessi di Costruire sono riservati al Sindaco che, se del caso , applica per essi e soltanto per essi le misure di salvaguardia.
Si è in presenza di due potestà assolutamente autonome e diverse tra di loro: Sindaco e Presidente della Giunte regionale.
Il che porta ad escludere che le misure di salvaguardia a garanzia della conservazione della disciplina urbanistica, previa sospensione dell’emanazione dell’eventuale titolo edilizio, possano riguardare ambiti che hanno una propria normativa e che prevedono l’intervento di autorità diverse ed estranee rispetto a quella sindacale.
Le disposizioni, invero, sulle misure di salvaguardia hanno natura speciale e non possono applicarsi al di fuori dei casi espressamente previsti.
D’altro canto si è affermato:
“Le misure di salvaguardia, per lo specifico presupposto di fatto che ne condiziona l’esercizio, sono applicabili alle sole domande dirette ad ottenere un assenso per la realizzazione di opere edilizie in senso tecnico e non possono riguardare altre forme di trasformazione urbanistica che abbiano carattere non edilizio” (TAR Toscana 6.8.1983 n. 724 Foro Amm. 1984, n. 445)
Nonché più specificatamente:
“L’adozione da parte del Comune, di un nuovo strumento urbanistico non legittima l’ordine di sospensione dell’attività di coltivazione di una cava regolarmente autorizzata, potendo solo l’Amministrazione applicare le misure di salvaguardia, ove ne ricorrano i presupposti “ (TAR Lombardia , Sez, Brescia, 18.6.1982, n. 217 Tar 1982, I, 2812).
Egualmente:
“Le misure di salvaguardia per la loro natura eccezionale e derogatoria rispetto al principio generale tempus regit actum e per il sacrificio che comportano alle aspettative legittime risposte sulla disciplina urbanistico-edilizia vigente all’atto delle istanze di concessione, hanno carattere eccezionale non sono applicabili per analogia ad ipotesi non espressamente previste dalla legge; pertanto, è da escludere che gli organi regionali abbiano il potere di applicare misure di salvaguardia di quel genere nell’ipotesi di asserito contrasto tra la domanda di coltivazione di una cava e il regime previsto per l’area dal piano territoriale provinciale in itinere” (TAR Veneto, 23 settembre 1997, n. 1396).
Orientamento del TAR del Veneto anche di recente ribadito da Cons. Stato sentenza n. 3577/03.
Con una considerazione finale che risolve ogni dubbio in punto.
E’ noto come sia entrata in vigore una nuova legge regionale -2018/13- in materia estrattiva che ha sostituito la precedente L.R. 82/44.
Per disciplinare la successione normativa l’art. 30 della L.R. 2018 n. 13 così recita:
“Ai procedimenti amministrativi in materia di coltivazione di cava, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti alla data in cui i procedimenti hanno avuto inizio”.
L’articolo che pone l’accento sui procedimenti amministrativi e sulle disposizioni applicabili fa riferimento per i primi a quelli in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e per le altre alla loro vigenza al momento in cui i procedimenti hanno avuto inizio.
Pertanto, il nuovo legislatore regionale, con la richiamata norma transitoria ha voluto congelare la situazione dei procedimenti e delle disposizioni al momento in cui erano in corso o comunque sussistevano all’inizio, si badi bene, del procedimento stesso.
Si è inteso escludere che rispetto alla data di inizio del procedimento possano influire atti amministrativi, anche regolamentari, adottati ad hoc, atti tali che interferiscono sul regolare prosieguo del procedimento iniziato sulla scorta di norme e disposizioni successivamente assunte, quasi ad ostacolare il perfezionamento del procedimento stesso.
Ma allora se così stanno le cose non può essere preso in considerazione un Piano degli Interventi adottato successivamente all’inizio del procedimento relativo al rilascio della autorizzazione in questione.
E tutto ciò ovviamente a prescindere dalla tematica principale che esclude in via tassativa la applicabilità delle misure di salvaguardia di uno strumento urbanistico al procedimento di rilascio della autorizzazione estrattiva.
Franco Zambelli