1. – Ci troviamo di fronte all’ennesimo intervento “di emergenza” sul processo amministrativo e, visto l’andamento del contenzioso in questo periodo di epidemia, coltivo il sospetto che quasi vi siano stati più provvedimenti recanti una nuova disciplina che controversie trattate.
L’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020 si presta a molti dubbi interpretativi e introduce non pochi interrogativi sull’opportunità delle decisioni assunte, dei quali vorrei dare conto in questa mia analisi.
2. – In primo luogo, credo che si debba porre una questione di metodo.
La disciplina del processo era stata affidata, da ultimo, all’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18.
Per il vero, lo stesso art. 84, cit. è stato fatto oggetto di parziale riforma implicita, ad opera del successivo art. 36, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, il quale non è stato ancora fatto oggetto di conversione e ciò reca, come cercherò di indicare, un problema di successione di norme nel tempo.
Successivamente ancora, il d.l. n. 18/2020 è stato convertito, ad opera della legge 24 aprile 2020, n. 27, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il giorno 29 aprile 2020, lasciando sostanzialmente inalterato (salvi alcuni interventi di maquillage ortografico, forse non meno discutibili del testo originario) il testo dell’art. 84.
Il giorno successivo alla pubblicazione della legge n. 27/2020, il Governo ha ritenuto, tuttavia, d’intervenire nuovamente sulla materia, modificando il regime dell’art. 84, cit.
Se riferisco tutto ciò, non è perché non sia consapevole del fatto che la lettera dell’art. 77 Cost. – nella parte in cui esso subordina l’assunzione di provvedimenti provvisori del Governo con forza e valore di legge formale alla sussistenza di “casi straordinari di necessità e d’urgenza” – è sempre stata fatta oggetto di una interpretazione a dir poco elastica.
Tuttavia, un minimo di rispetto del dettato costituzionale dovrebbe forse essere mantenuto.
Nel caso di specie, risulta davvero difficile comprendere quali emergenze, per di più straordinarie e tali da imporre interventi necessitati, possano essere sopravvenute rispetto alla data del 24 aprile, vale a dire rispetto al giorno in cui è stata promulgata la legge n. 20, approvata dal titolare in via ordinaria del Potere legislativo (vale a dire dal Parlamento.
A giudizio di chi scrive, il decreto-legge non può trasformarsi in una sorta di mezzo accelerato e ordinario di esercizio, da parte del Governo, del potere iniziativa legislativa, per di più con effetti immediatamente vigenti, quasi ad anticipare, in via cautelare, gli effetti della futura e, in tesi, del tutto ipotetica legge.
Il tutto a tacere del senso di disorientamento che crea il constatare che il Governo, a pochi giorni dalla sua approvazione, ritenga inopportuna – e perciò abroghi – una norma di legge (l’art. 84, cit.) che era stata da lui stesso voluta e sostenuta fino al punto di porre la questione di fiducia.
3.- Nel merito della disciplina, il primo problema che si pone è quello dell’individuazione del momento in cui cesserà il periodo di sospensione dei termini processuali.
Il problema, per la verità, non si pone con riferimento al decreto-legge n. 28/2020, ma ai rapporti tra il decreto-legge n. 18/2020, il successivo decreto-legge n. 23/2020 e, infine, la legge n. 27/2020. Questo, per il vero, è un problema che riguarda – e in maniera anche più preoccupante – anche il contenzioso civile. Per ragioni di completezza della trattazione ritengo comunque utile farvi cenno.
Ebbene, l’art. 84 del d.l. n. 18/2020, al suo primo comma poneva termine al periodo di sospensione alla data del 15 aprile 2020.
L’art. 36 del successivo d.l. n. 23/2020, che reca la data del giorno 8 aprile 2020, ha però stabilito che i termini “sono ulteriormente sospesi, dal 16 aprile al 3 maggio 2020 inclusi”, precisando che ciò vale solo per il termine di notificazione del ricorso. Dunque, il d.l. n. 23/2020 non ha operato una riforma esplicita dell’art. 84 del d.l. n. 18/2020. Sembra tuttavia innegabile che, implicitamente, abbia inciso sulla stessa materia, in parte qua abrogandola o modificandola.
In data ancora successiva (24 aprile 2020), però, il d.l. n. 18/2020 è stato convertito nella legge n. 27/2020, con la conseguenza che la legge si è sostituita al decreto-legge stesso, diventando fonte diretta e sopravvenuta di disciplina.
Per effetto della legge di conversione, pertanto, il giorno 27 aprile 2020 è nuovamente entrato in vigore il testo originario dell’art. 84, d.l. n. 18/2020, come recepito nella legge stessa. E l’art. 84 fissava la conclusione del periodo di sospensione di tutti i termini processuali al 15 aprile e non già al 3 maggio. Con la conseguenza chesi dovrebbe reputare abrogato l’art. 36 del d.l. n. 23/2020 e che si dovrebbe ritenere che il termine di sospensione è retroattivamente scaduto il giorno 15 aprile.
Si obietterà forse che questa interpretazione, se avanzata, sarebbe troppo formalistica e che, almeno per quanto attiene al termine di notificazione del ricorso, continui a valere la data del 3 maggio.
Ma il rilievo, se pur condivisibile alla luce del c.d. “buon senso”, non sarebbe a mio giudizio esso stesso meno allarmante. Perché esso si inserirebbe in quella deriva che porta l’interprete a favorire una esegesi più incline a tenere conto dello “stato di fatto” delle cose, anziché riferirsi alle regole formali sull’esegesi normativa che, a quanto consta, non dovrebbero reputare destituite di effettività.
4. – Passando, più da vicino, alle novità introdotte dal d.l. n. 28, quella più significativa riguarda il prolungamento del periodo “di emergenza” fino alla data del 31 luglio 2020, rispetto alla data, originariamente prevista dall’art. 84, d.l. n. 18/2020, che era fissata invece nel giorno 30 giugno 2020.
Accanto a questo differimento, l’art. 4, d.l. n. 28/2020, prevede l’ennesimo nuovo regime intermedio, reintroducendo, ma solo per le udienze che saranno celebrate dal giorno 30 maggio 2020, la c.d. “discussione orale” delle controversie, tanto nella fase cautelare tanto in quella di merito, con formalità da remoto.
La c.d. udienza telematica, invero, era stata prevista già dall’art. 3, d.l. 8 marzo 2020, n. 11, salvo risultare poi soppressa dall’art. 84, d.l. n. 18, che aveva appunto abrogato il medesimo art. 3.
La soppressione – solo per il processo amministrativo – della possibilità di celebrare, sia pur con le ridotte forme che la telematica consente, un simulacro di udienza era stata fatta oggetto di critica piuttosto accorate; il nuovo art. 6 sembra, perciò, aver voluto tenere presenti queste esigenze.
Tuttavia, la disciplina della nuova “udienza telematica” lascia non pochi dubbi.
Innanzi tutto, la decisione di celebrare la discussione orale spetta al Presidente del singolo Collegio giudicante (non più al Presidente del Tribunale o al Presidente della Sezione del Consiglio di Stato) che dovrà, tuttavia, tenere conto “dei limiti delle risorse attualmente assegnate ai singoli uffici”.
Già questo rilievo potrebbe, nei fatti, risultare fortemente pregiudizievole per la possibilità effettiva di celebrare l’udienza, dal momento che, se i mezzi tecnici non consentissero (secondo il giudizio del Presidente), di favorirla, semplicemente la discussione non si terrebbe.
Si dirà che ad impossibilia nemo tenetur. Ma, a mio giudizio, se le dotazioni tecniche non consentissero di celebrare l’udienza con modalità telematiche, la soluzione non dovrebbe essere – almeno per quanto concerne l’udienza di merito – quella di stabilire che la discussione non si celebri affatto, Forse sarebbe stato più opportuno prevedere, per il tal caso, un dovere di differimento dell’udienza a data in cui, cessato il periodo emergenziale o dotatosi l’apparato giudiziario di migliori attrezzature tecniche, questa si possa effettivamente tenere.
Un secondo aspetto di una certa importanza che si desume dall’art. 6 è il fatto che l’udienza non viene, in linea generale, convocata d’ufficio, ma è fissata all’esito di un’istanza proveniente dalle parti costituite.
Rispetto ai testi informali della bozza di decreto-legge che circolavano il giorno stesso della sua emanazione, è da salutare con favore il fatto che non sia stato confermato quello che dette bozze, appunto, prevedevano.
Vale a dire che non è più necessario che l’udienza telematica – per essere fissata – dovesse essere richiesta “congiuntamente” da tutte le parti costituite.
Se tale previsione fosse rimasta, si sarebbe, in realtà, consegnata a ciascuna delle parti una sorta di diritto di veto alla celebrazione dell’udienza telematica, così da alterare sostanzialmente il principio costituzionale di parità delle armi.
L’art. 6, come approvato, sulla questione introduce una distinzione tra il caso in cui l’istanza di celebrazione dell’udienza provenga da tutte le parti oppure provenga solo da alcune tra le stesse.
Nella prima ipotesi, il Presidente sarà tenuto a celebrare l’udienza (fatti salvi gli eventuali impedimenti tecnologici e strutturali).
Diversamente, se l’istanza provenisse solo da alcune delle parti, spetterebbe al Presidente, nell’esercizio di una sorta di potere discrezionale, decidere se celebrare l’udienza “anche sulla base delle eventuali opposizioni espresse dalle altre parti alla discussione da remoto”. Se lo ritenesse “necessario”, inoltre, lo stesso Presidente potrebbe convocare una discussione della controversia “da remoto” anche in via d’ufficio.
Nonostante gli evidenti miglioramenti che il testo effettivamente approvato dell’art. 6 introduce, rispetto alle bozze che erano state informalmente diffuse, anche questo regime non può dirsi del tutto esente da critiche.
Il fatto che, in difetto di una istanza congiunta, s’introduca una fase del processo del tutto eventuale e che spetti al Giudice valutare se detta fase debba svolgersi o no solleva qualche perplessità perché, a rigore, prima che la controversia sia matura per la decisione, non dovrebbe essere consentito al Giudice compiere un sindacato prognostico sul fatto che una discussione orale possa o non possa aggiungere utile materiale argomentativo e defensionale alla controversia.
Non dovrebbe essergli consentito perché, preliminarmente allo svolgimento discussione, il Giudice non può ancora sapere che cosa verrà effettivamente trattato in quella sede.
E se il Giudice, in quella sede, ritenesse che la discussione sarebbe inutile, compirebbe una sorta di “pre–giudizio” in merito all’esito della causa, che, astrattamente, potrebbe essere forse anche motivo di ricusazione.
Tanto più la cosa lascia perplessi, poi, perché tale preliminare valutazione non sarebbe compiuta dal Collegio nella sua interezza, vale a dire dall’organo deputato a decidere la lite, ma monocraticamente da un suo solo componente, vale a dire dal solo Presidente, con risultati, però, che potrebbero compromettere il risultato della decisione stessa.
5. – Il regime della fissazione dell’udienza “da remoto” lascia perplessi, inoltre, anche sotto un ulteriore profilo, questa volta attinente ai termini da rispettare, affinché la parte possa chiederne il compimento.
In particolar modo, per quanto riguarda i processi cautelari, l’istanza dovrà essere depositata entro il termine di “cinque giorni liberi prima dell’udienza” (e qui il termine udienza, ai sensi dell’art. 84, d.l. n. 18/2020, deve intendersi la data in cui il Collegio si “convoca” senza le parti per decidere la controversia sulla base delle memorie scritte). L’art. 6 aggiunge, inoltre, che tale termine deve essere rispettato “in qualunque rito”. Dunque, il termine dei cinque giorni vale anche nei processi a termini dimidiati, disciplinati dagli artt. 119 e 120 c.p.a.
Tuttavia, nei processi a rito accelerato, il termine di cinque giorni liberi coincide con il termine dilatorio a ritroso che deve decorrere tra il deposito dell’istanza cautelare e la data in cui essa può essere decisa (art. 55, comma 4, c.p.a., in combinato disposto con l’art. 119).
Ciò significa che, nei processi a termini dimidiati e guardando la cosa dal punto di vista del ricorrente che depositi il ricorso insieme alla contestuale domanda cautelare, egli dovrà chiedere la discussione “alla cieca”, quando ancora non può conoscere le difese avversarie.
Quanto invece alle parti resistente e controinteressata, esse saranno onerate di chiedere la discussione il giorno stesso in cui il ricorrente avrà depositato l’istanza cautelare e in un momento in cui, verosimilmente, queste non avranno ancora potuto svolgere le proprie memorie scritte (che, tuttavia, dovrebbero ritenersi contenutisticamente insufficienti, visto che si avvertirebbe l’esigenza di integrarle con una effettiva discussione).
Viene, così, a generarsi un regime piuttosto complicato, ma anche irragionevole.
6. – Vi è, infine, un altro punto su cui, sulla base di una prima lettura dell’art. 6, ritengo utile soffermarmi e che riguarda quelle modifiche che la nuova disposizione introduce sulla disciplina ordinaria del rito, quale varrà anche dopo la conclusione del periodo emergenziale.
Di esse danno atto i commi 2 e 3 dell’art. 6, che intervengono sull’art. 13 del secondo allegato al Codice, riformandolo integralmente.
Per conseguenza di tali previsioni, la disciplina tecnica del processo amministrativo telematico, in tutti i suoi aspetti, viene completamente trasferita dal Presidente del Consiglio dei Ministri (da cui dipende l’organizzazione burocratica del sistema di giustizia amministrativa), che vi provvedeva con proprio decreto, al Presidente del Consiglio di Stato.
Sul punto, formulo un solo rilievo.
È mia opinione che le discipline processuali – anche quelle di dettaglio – debbano trovare fonte integrale direttamente nella legge e ritengo che fosse già in sé discutibile l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei Ministri di una competenza in tal senso.
Reputo, tuttavia, ancor più discutibile che la disciplina del processo possa essere affidata allo stesso Giudice che poi dovrà applicarla, sia perché ciò potrebbe portare a una conformazione del processo che tiene conto – più che della esigenza della lite – delle esigenze personalistiche dell’apparato giurisdizionale, sia perché la stessa disciplina processuale potrebbe dover essere contestata nella sua validità. Ma è facile intuire quali sarebbero le difficoltà concrete di sollevare questioni di tal genere se, a decidere sulle stesse, dovesse essere poi lo stesso soggetto che ha elaborato la disciplina in contestazione.
7. – A conclusione di questa sommaria esegesi, l’auspicio è che il Legislatore – o chi in questo momento agisce in via surrogatoria dello stesso – riveda le disposizioni testé introdotte.
A questo auspicio, ci si permette di unire il voto affinché siano evitati ulteriori interventi emergenziali, se essi non siano dettati dalle più strette necessità e auspico comunque che chi vi si accinga valuti se considerare l’apporto che il Foro o gli studiosi possano eventualmente recare, senza decidere con un atteggiamento che, talvolta, è sembrato forse un po’ solipsistico o confinato in ambienti troppo circoscritti.
Francesco Volpe